Corte Costituzionale ordinanza N. 220 09 – 17 giugno 2010 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 25 del 23-6-2010

Ordinanza nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della liberta’), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Cuneo con ordinanza del 18 dicembre 2009, iscritta al n. 21 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, 1ª serie speciale, dell’anno 2010. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 26 maggio 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Cuneo, con ordinanza del 18 dicembre 2009, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della liberta’), nella parte in cui prevede che i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione possano avere colloqui con i propri difensori solo per un massimo di tre volte alla settimana, di persona o a mezzo del telefono, per la stessa durata stabilita quanto ai colloqui con i familiari; che il giudice a quo e’ investito del reclamo proposto da un detenuto per il quale e’ stata disposta, a norma dell’art. 41-bis ord. pen., la sospensione delle regole trattamentali; che detto reclamo, avanzato ai sensi dell’art. 35 ord. pen., avrebbe ad oggetto «la nuova disciplina» prevista dalla norma censurata, introdotta nel testo dell’art. 41-bis mediante l’art. 2, comma 25, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica); che il rimettente rileva, in via preliminare, come la giurisprudenza costituzionale abbia stabilito che la condizione detentiva non implica il difetto di tutela delle posizioni giuridiche soggettive degli interessati, anche nei loro rapporti con l’Amministrazione penitenziaria, e che tale tutela deve assumere carattere giurisdizionale (e’ citata la sentenza n. 26 del 1999); che lo stesso rimettente prosegue osservando come, nella perdurante assenza di una organica disciplina degli strumenti di tutela, la giurisprudenza ordinaria abbia provveduto ad individuare una sede processuale immediatamente utile all’esercizio della giurisdizione, e cioe’ il procedimento di reclamo disciplinato dall’art. 14-ter dello stesso ordinamento penitenziario (e’ citata la sentenza delle Sezioni unite penali della Cassazione n. 5 del 2003); che nella specie, dunque, il giudice a quo ha disposto procedersi nell’indicata sede giurisdizionale, con conseguente sua legittimazione a sollevare questione di legittimita’ costituzionale; che nei confronti del reclamante il Ministro della giustizia, con provvedimento del 19 novembre 2009, ha decretato la sospensione delle regole ordinarie, tra l’altro, quanto ai «colloqui con i familiari e conviventi con frequenza superiore complessivamente ad uno al mese e di durata superiore ad un’ora (art. 18, legge n. 354/1975) a prescindere dal numero di persone ammesse a colloquio», prescrivendo inoltre che «detti colloqui» avvengano «con le modalita’ di cui all’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b)» della stessa legge n. 354 del 1975; che, in base citato provvedimento ex art. 41-bis ord. pen., la Direzione della Casa circondariale di Cuneo avrebbe «applicato direttamente, dando avviso ai detenuti ristretti in tale regime, la normativa dettata dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009», limitando i colloqui con i difensori «ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari»; che la parte reclamante, con l’atto introduttivo del giudizio principale, ha eccepito in ordine alla legittimita’ costituzionale della disciplina introdotta nel 2009, per l’ingiustificata disparita’ di trattamento istituita tra i detenuti soggetti al regime speciale (si tratti di imputati o condannati) e tutti gli altri detenuti i quali, «pur trovandosi in identiche situazioni giuridiche, non sono soggetti a tale restrizione»; che il rimettente, facendo propri i rilievi difensivi, aggiunge che una discriminazione non giustificata sarebbe introdotta anche rispetto ai detenuti in espiazione di pena per i delitti elencati all’art. 4-bis ord. pen., per i quali le norme regolamentari prevedono restrizioni nei colloqui solo con riguardo ai familiari; che la sperequazione varrebbe a colpire – con violazione concomitante dell’art. 24, secondo comma, Cost. – detenuti generalmente protagonisti di plurime e complesse vicende giudiziarie, spesso ristretti lontano dai luoghi di origine e dalla residenza dei loro difensori, e cioe’ proprio persone che avrebbero il maggior bisogno di flessibilita’ e di libera durata nei colloqui con i difensori medesimi; che il diritto delle persone ristrette nella liberta’ a conferire con un difensore non potrebbe essere compresso, se non nei limiti eventualmente disposti dalla legge a tutela di altri interessi costituzionalmente garantiti, cosi’ come riconosciuto dalla Corte costituzionale anche con riguardo alla fase esecutiva del procedimento (e’ citata la sentenza n. 212 del 1997); che il giudice a quo, a tale proposito, rammenta come, prima della novella attuata con la legge n. 94 del 2009, soltanto i colloqui con persone appena private della liberta’ a fini cautelari, nei casi eccezionali indicati all’art. 104 del codice di procedura penale, potessero subire limitazioni; che, per altro, tali limitazioni consistono in una preclusione dalla durata assai breve, attuata mediante un provvedimento giudiziale a carattere individuale e non imposta, come nella specie, da una regola generale ed inderogabile; che, a parere del rimettente, contrasta con il principio di uguaglianza e con il diritto di difesa una disciplina che limita i contatti tra detenuto e difensore a tre colloqui settimanali della durata di un’ora, in alternativa ad altrettanti colloqui telefonici della durata di dieci minuti, salva la possibilita’ di corrispondenza epistolare; che l’illegittimita’ della norma censurata deriverebbe anche dalla violazione del terzo comma dell’art. 111, Cost., non assicurando la legge che la persona accusata disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la propria difesa; che le descritte limitazioni all’esercizio della difesa non potrebbero giustificarsi alla luce di un bilanciamento con altri interessi costituzionalmente garantiti, perche’ nella specie tali interessi non sarebbero «individuati»; che non potrebbe affermarsi, in particolare, l’esigenza di prevenire contatti tra i reclusi particolarmente pericolosi e le organizzazioni criminali di riferimento, perche’ in tal senso, valendo comunque il divieto assoluto di ascolto e di documentazione del tenore dei colloqui con i difensori, le limitazioni di carattere temporale non presenterebbero alcuna utilita’; che sarebbe irragionevole, d’altra parte, il necessario frazionamento delle comunicazioni, che a parere del rimettente impedirebbe finanche il «cumulo» dei tempi a disposizione degli interessati; che neppure ragioni di economia della spesa pubblica potrebbero sottendere ai limiti concernenti i colloqui telefonici, visto che l’onere relativo e’ posto a carico del detenuto; che nessuna delle indicate lesioni di principi costituzionali, secondo il giudice a quo, potrebbe essere evitata mediante una interpretazione «adeguatrice»; che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e’ intervenuto nel giudizio mediante atto depositato in data 2 marzo 2010, chiedendo che sia dichiarata la inammissibilita’ ovvero la infondatezza della questione sollevata; che il rimettente, infatti, non avrebbe dato alcuna concreta indicazione sull’oggetto del reclamo presentato dal detenuto, «riconducendo le censure di illegittimita’ costituzionale alla norma "in se’" e non in quanto applicabile al caso concreto pendente davanti al giudice»; che la questione, in ogni caso, sarebbe infondata, posto che le restrizioni connesse al regime speciale, comprese quelle concernenti i colloqui, sarebbero giustificate dall’esigenza di contenere la pericolosita’ di determinati soggetti, individuati non secondo una logica presuntiva, ma in esito ad una valutazione specifica ed individuale; che detta giustificazione varrebbe anche riguardo al nuovo regime dei colloqui difensivi, le cui restrizioni sarebbero compatibili con l’esercizio effettivo del diritto di difesa, e tuttavia concorrerebbero a garantire la necessaria riduzione dei rapporti tra detenuti di accertata pericolosita’ e «mondo esterno»; che si tratterebbe, in altre parole, di un bilanciamento la cui legittimita’ sarebbe gia’ stata riconosciuta dalla Corte costituzionale, di fronte all’esigenza di difendere «i cittadini e l’ordine giuridico», e a condizione che il diritto di difesa del singolo non sia sostanzialmente soppresso, con conseguente violazione dell’art. 24, Cost.; che andrebbe parimenti esclusa, secondo la difesa dello Stato, la pretesa violazione dell’art. 3, Cost., perche’ la situazione dei detenuti soggetti al regime speciale non potrebbe essere comparata a quella dei detenuti per i quali non sussistono, in astratto od in concreto, i presupposti per la sospensione delle regole trattamentali; che neppure sussisterebbe, infine, un contrasto tra la disposizione censurata e l’art. 111, Cost., poiche’, secondo l’Avvocatura generale, tale norma non attiene alla tutela dei rapporti tra la persona accusata ed il proprio difensore (tutela rimessa all’art. 24 Cost.), ma alla sola organizzazione del processo ed ai rapporti tra la persona inquisita ed il giudice; che la disposizione costituzionale citata garantirebbe, in ogni caso, le sole condizioni «necessarie» alla preparazione della difesa, cioe’ le condizioni indispensabili in vista d’una efficace azione difensiva, le quali sarebbero assicurate, in astratto come nel caso concreto, da una disciplina che pur sempre consente ripetuti colloqui settimanali tra i detenuti ed i rispettivi difensori. Considerato che il Magistrato di sorveglianza di Cuneo ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della liberta’), nella parte in cui prevede che i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione possano avere colloqui con i propri difensori solo per un massimo di tre volte alla settimana, di persona o a mezzo del telefono, per la stessa durata stabilita quanto ai colloqui con i familiari; che il procedimento principale, condotto in applicazione dell’art. 14-ter ord. pen., sembra introdotto da un reclamo direttamente rivolto «avverso la nuova disciplina prevista dall’art. 41-bis […] in materia di colloqui visivi e telefonici con i difensori», e dunque al solo scopo di sindacare la legittimita’ costituzionale di una norma di legge; che la coincidenza di oggetto tra giudizio principale e procedimento incidentale di incostituzionalita’, per costante giurisprudenza di questa Corte, e’ causa di inammissibilita’ della questione (da ultimo, sentenza n. 38 del 2009); che il rimettente, in ogni caso, ha precluso ogni possibile controllo sulla rilevanza della questione sollevata, omettendo di indicare se il reclamante avesse richiesto colloqui in eccesso rispetto al limite attualmente consentito, se detti colloqui fossero pertinenti a specifici procedimenti o adempimenti per i quali si ponessero esigenze difensive altrimenti non assicurabili, se fossero intervenuti provvedimenti di rigetto dell’Amministrazione penitenziaria; che l’assoluta carenza di motivazione in punto di rilevanza e’ causa di manifesta inammissibilita’ della questione (da ultimo, ex multis, ordinanza n. 311 del 2009).

Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta inammissibilita’ della questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della liberta’), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Cuneo con l’ordinanza in epigrafe. Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2010. Il Presidente: Amirante Il redattore: Silvestri Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 17 giugno 2010. Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *