Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-01-2011) 15-03-2011, n. 10447 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia (e procuratore speciale: verificare in atti) di S.G. avverso l’ordinanza emessa in data 5.3.2010 dalla Corte di Appello di Reggio Calabria che ha rigettato l’istanza del medesimo S. di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta.

Premesso che il richiedente ha subito restrizione per concorso in omicidio volontario e connessi delitti di armi, per i quali riportò anche condanna in primo grado, venendo poi assolto ex art. 530 c.p.p., comma 2, in appello, l’ordinanza impugnata enuclea la condotta del S. ostativa ex art. 314 c.p.p. con congrua ricognizione degli apporti probatori di riferimento, ravvisandola nel comprovato, diretto coinvolgimento del predetto nella fase dell’organizzazione dell’omicidio in questione, partecipando, in particolare, assieme ad altri coimputati all’appostamento finalizzato all’eliminazione della vittima, poi rinviata.

Il ricorrente deduce il vizio motivazionale assumendo, in primo luogo, che la richiamata condotta del richiedente è stata riferita dal collaborante F. ma, priva di riscontri, non può dirsi accertata.

Sostiene, poi, che detta condotta del S. è stata ritenuta erroneamente ostativa ex art. 314 c.p.p. in quanto ritenuta giustificativa di provvedimento restrittivo emesso per omicidio volontario consumato e non già tentato, come nel caso di specie.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.

E’ stata depositata una memoria difensiva di replica nell’interesse del ricorrente.

Il ricorso è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Inoltre, il giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima, sia dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza, che quest’ultimo abbia avuto, dell’inizio dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Cass. pen., Sez. Un., 26.6.2002, n. 34559, Rv. 222263; Sez. 4^, 15.2.2007, n. 10987, Rv. 236508).

Orbene, condividendosi in pieno le acute osservazioni del Procuratore generale, deve riconoscersi che la Corte territoriale ha fatto corretto uso degli anzidetti principi.

Invero, la prima censura, in punto di fatto, è infondata in quanto le parti testuali della sentenza riportate nel provvedimento gravato danno conto dell’accertamento della condotta del richiedente quale riferita dal collaborante e il riferimento che il ricorso fa, a sostegno della proposta censura, alla parte della sentenza che in appello ha assolto l’imputato richiedente e che, a differenza del giudice di prime cure, non ritiene "altamente attendibile l’accusa mossa dal F." non può che riferirsi alla valutazione complessiva delle dichiarazioni del predetto collaborante e peraltro viene, nello stesso brano testualmente citato in ricorso, desunta dalla mancata cognizione diretta del collaborante il quale, invece, sulla specifica circostanza dell’appostamento al quale partecipò il S., diverso da quello in cui la vittima rimase uccisa, ha avuto contezza diretta (v. pag. 7, riga terzultima, dell’ordinanza gravata).

Anche la seconda censura è infondata, dal momento che la qualificazione della condotta del richiedente come ostativa ex art. 314 c.p.p. dipende dalla sua intrinseca rilevanza come condotta dolosa – e quella in esame lo è – o gravemente colposa e dal concorso, anche solo parziale, della medesima all’emanazione del provvedimento restrittivo ingiusto.

Non occorre di certo che la condotta ostativa abbia connotati giuridico-penali identici a quelli della condotta contestata col provvedimento restrittivo e ciò, oltre tutto, in considerazione dei contesti giudiziali, distinti e diversificati, quanto ai criteri giuridici di riferimento, in cui le medesime vengono valutate.

Correttamente, quindi, è stata ravvisata a carico del S. una condotta tale, di natura prevalentemente dolosa, a ben vedere, che, disvelando, quanto meno, l’inserimento organico del S. nei piani organizzativi del nucleo antagonista della vittima designata ( Fo.An.), si pone quale insormontabile ostacolo all’invocato diritto della riparazione per la detenzione subita.

Il ricorso va, pertanto, rigettato e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., a tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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