Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-01-2011) 15-03-2011, n. 10444 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia e procuratore speciale di P.G. avverso l’ordinanza emessa in data 16.10.2009 dalla Corte di Appello di Catania con la quale, in accoglimento dell’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione subita, veniva liquidata in favore del P. la somma di Euro 4.000,00 per 17 giorni di arresti domiciliari, stimando in essa "assorbite" le conseguenze personali, familiari, morali dirette o mediate, perchè conseguenti al fatto dell’essere stato l’odierno ricorrente sottoposto a procedimento penale e non per la detenzione in quanto tale, in sostanza concludendo nel senso che le conseguenze personali e familiari dell’istante debbano considerarsi già contemplate nei criteri cui è improntato il calcolo aritmetico, pur avendo il giudice computato – a tal riguardo – la somma di Euro 235,00 (cioè il parametro previsto per la detenzione carceraria, laddove per gli arresti domiciliari, avrebbe dovuto essere dimezzata).

Deduce la violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 314 c.p.p. per avere erroneamente ed immotivatamente determinato l’indennizzo in Euro 4.000,00 e disposto la compensazione delle spese processuali.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.

Il ricorso è infondato.

Il giudice deve attenersi ad un criterio equitativo nella determinazione dell’indennizzo (comprensivo anche del discredito e delle sofferenze morali) che non costituisce risarcimento del danno, essendo inapplicabili i principi della responsabilità da fatto illecito ( art. 2043 c.c.) alla determinazione della somma necessaria per l’"equa riparazione" della custodia cautelare subita (Cass. pen. Sez. 4^, n. 129 del 31.1.1994, Rv. 196974), e la giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione del quantum relativo alla riparazione per ingiusta detenzione, si è stabilmente orientata (v.

Cass. pen. Sezioni Unite, 9.5.2001, n. 24287 Rv. 218975) nella necessità di contemperare il parametro aritmetico – costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, (Euro 516.456,90) e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni (sei anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il periodo anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto, che non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito.

Quindi dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto presente, è costituito dal parametro aritmetico (individuato, alla luce dei criteri sopra indicati, nella somma di Euro 235,82 per ogni giorno di detenzione in carcere ed nella metà di tale somma per ogni giorno di arresti domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività di tale modalità di custodia restrittiva).

Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio che scaturisce dalla libertà personale a dati certi, costituisce certamente il criterio base della valutazione del giudice della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in senso ampliativo (purchè nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure restrittivo, a condizione però che, nell’uno o nell’altro caso, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento.

Nel caso di specie, come si è detto, la Corte di Appello ha adoperato il dato aritmetico riferito alla detenzione carceraria e quindi raddoppiato, sostanzialmente, l’importo di partenza dovuto per 17 giorni di arresti domiciliari: tale aumento non è stato casuale bensì espressamente rapportato ("valutando gli elementi sopra accennati") a quelle circostanze, richiamate in motivazione, relative all’incensuratezza del richiedente, all’attività lavorativa svolta di funzionario amministrativo quale Sindaco del Comune di (OMISSIS) che ricopriva all’epoca del fatto e dalla quale era stato sospeso.

Sicchè deve ritenersi che sia stata sostanzialmente data la dovuta priorità alla liquidazione equitativa, pur ancorandola ad un dato aritmetico, in ossequio all’indicazione della S.C., che ha rilevato come la delicatezza della materia e le difficoltà per l’interessato di provare nel suo preciso ammontare la lesione patita abbia indotto il legislatore a non prescrivere al giudice l’adozione di rigidi parametri valutativi, lasciandogli, al contrario, sia pure entro i confini della ragionevolezza e della coerenza, ampia libertà di apprezzamento delle circostanze del caso concreto, valutandosi la durata della custodia cautelare e, non marginalmente, le conseguenze personali, familiari, patrimoniali, morali, dirette o mediate, che siano derivate dalla privazione della libertà (Cass. pen. Sez. 4^ n. 30317 del 21.6.2005, Rv. 232025).

Per il resto, la Corte territoriale ha fornito adeguata spiegazione dell’inclusione nell’importo in questione della liquidazione del danno patrimoniale e delle conseguenze dirette o mediate personali, familiari, patrimoniali e morali che sono derivate dalla privazione della libertà escludendo correttamene da esse quelle conseguite alla sottoposizione al processo penale (che non rientra nell’oggetto dell’indennità riparatoria che attiene solo agli effetti dell’ingiusta detenzione).

Trovare elementi d’insufficienza della liquidazione dell’indennizzo in tale situazione significherebbe volere incidere nelle scelte discrezionali del Giudice di merito, che essendo sorrette da adeguata motivazione, non sono sindacabili nella presente sede di legittimità.

Infatti è stato affermato da questa Corte che "In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il controllo sulla congruità della somma liquidata è sottratto al sindacato di legittimità, potendo la Corte di cassazione soltanto verificare se il giudice del merito abbia adeguatamente motivato il suo convincimento, a meno che la decisione non si discosti in modo così rilevante dai criteri usualmente seguiti da risultare manifestamente arbitraria" (Cass. pen. Sez. 4^ n. 14986 del 17.2.2009 Rv. 243206).

Del pari insindacabile, in quanto sorretta da esaustiva e corretta motivazione, è la risoluzione di compensare integralmente tra le parti le spese del procedimento.

Il ricorso va, pertanto, rigettato e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., a tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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