T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 11-03-2011, n. 399 Espropriazione, Opere pubbliche Interesse a ricorrere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti impugnano la delibera 19. 1. 2009, n. 2 con cui la Giunta comunale di Chiari approvava il progetto definitivo per la realizzazione dell’opera pubblica definita "Nuovo polo della cultura" (che nelle intenzioni dell’amministrazione comunale doveva essere destinata a sostituire il vecchio Cinema teatro chiuso dal 2001, e demolito nel 2006). Il progetto definitivo comportava anche dichiarazione di pubblica utilità delle opere.

I ricorrenti sono proprietari o usufruttuari di immobili che si trovano nelle adiacenze del c.d. nuovo polo della cultura e avversano il progetto scelto dalla giunta comunale per le ragioni che si espongono di seguito:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo perché: a) l’opera in progetto non sarebbe di pubblica utilità in quanto in essa sarebbe prevalente la destinazione commerciale, mentre solo 700 mq su un totale di 8.309 mq avrebbero destinazione pubblica; b) l’opera in progetto sarebbe incompatibile con la destinazione urbanistica dell’area in quanto l’art. 42 delle n.t.a. del p.r.g. ha introdotto con delibera 83/06 una prescrizione speciale per l’area dell’ex Cinema teatro prevedendo la possibilità di destinazioni commerciali, ma in coerenza con il progetto preliminare C., progetto che verrebbe stravolto dal progetto definitivo (altezza massima da 11 m. a 18,5 m.; volume da 15.000 mc. a 27.0000 mc.; superficie lorda di pavimento da 3.229 mq a 8.309 mq; superfici per attività commerciali da mq. 385 a mq. 4.581); c) costituendo un diritto di superficie novantennale, il provvedimento sarebbe assimilabile ad un atto di traslazione di beni immobili per il quale vi sarebbe competenza del consiglio, e non della giunta; d) per avviare una procedura espropriativa, occorre che nello strumento urbanistico vi sia la previa localizzazione dell’opera, e qui non vi sarebbe perché nel piano era localizzata l’opera di cui al progetto C. e il progetto E. sarebbe altro da quello;

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 153 d.lgs. 163/06 perché la procedura di project financing, scelta dall’amministrazione per individuare la impresa che dovrà eseguire l’opera, è utilizzabile solo per le opere pubbliche in grado di autofinanziarsi, e questa si finanzierebbe solo con la parte a destinazione commerciale;

3. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 154 d.lgs. 163/06 perché la procedura di project financing avrebbe dovuto essere preceduta da una valutazione dell’amministrazione circa la conformità urbanistica che nel caso di specie manca, come si è spiegato al primo motivo;

4. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 7 l. 241/90 perché ai ricorrenti, che sono proprietari di immobili nel cui sottosuolo verranno posti dei tiranti necessari per la realizzazione dell’opera, non è stato data la comunicazione d’avvio;

5. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 9, co. 2, d.m. 1444/68, perché non sono rispettate le distanze tra gli edifici;

6. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 3 d.lgs. 114/98 perché autorizza la realizzazione di strutture commerciali per 4.500 mq senza prevedere il relativo provvedimento autorizzatorio così violando la normativa primaria sul commercio.

Si costituivano in giudizio il Comune di Chiari e la controinteressata E.C., che deducevano l’inammissibilità (per difetto di legittimazione), irricevibilità (per non essere stati impugnati tutti gli atti precedenti, in particolare la delibera del consiglio comunale 39/07 che dichiarava di interesse pubblico il progetto E.), e comunque l’infondatezza dei relativi motivi.

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza n. 300/2009 il Tribunale respingeva l’istanza per motivi attinenti il periculum in mora.

Con ordinanza n. 4443/2009 il Consiglio di Stato respingeva l’appello cautelare.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 23. 2. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

I. Vanno esaminate anzitutto le eccezioni preliminari.

In punto di ammissibilità del ricorso il Comune di Chiari e la controinteressata hanno dedotto che i ricorrenti non avrebbero interesse al ricorso sotto diversi profili (non sarebbero coinvolti in realtà nella procedura espropriativa; l’opera in progetto sarebbe meno impattante del vecchio teatro che va a sostituire; sarebbero state proposte censure del tutto avulse dagli interessi cui aspirano i ricorrenti e finalizzati soltanto a travolgere la procedura amministrativa).

L’eccezione si compone di profili diversi, perché sia il provvedimento che il ricorso cumulano aspetti diversi. In particolare:

– il provvedimento si compone di due aspetti: da un lato, è dichiarazione di pubblica utilità che avvia un procedimento espropriativo; dall’altro è titolo abilitativo per la realizzazione di un’opera di cui è da verificare la conformità urbanistica,

– per l’interesse a ricorrere in giudizio contro la procedura espropriativa, occorre soffrire una limitazione al diritto di proprietà a seguito della definizione di tale procedura; per l’interesse a ricorrere contro la realizzazione dell’opera sotto il profilo edilizio è sufficiente la vicinitas qualificata di elaborazione pretoria,

– nel caso in esame i ricorrenti sono titolari sia dell’interesse a ricorrere contro la dichiarazione di pubblica utilità (in quanto soggetti sotto le cui abitazioni verranno inseriti dei tiranti che serviranno per la costruzione dell’opera, e che quindi – pur non subendo un esproprio – subiscono una occupazione temporanea del sottosuolo, che è pur sempre una limitazione del diritto di proprietà che consegue alla procedura espopriativa), sia dell’interesse a ricorrere contro il progetto definitivo (in quanto soggetti che sono proprietari o risiedono – sul punto si cfr. il doc. A depositato in giudizio dalla difesa dei ricorrenti – nelle immediate vicinanze della struttura che verrebbe a sorgere a seguito dell’approvazione del progetto e nel concorso degli ulteriori provvedimenti necessari),

– i ricorrenti non hanno titolo invece a dedurre le ulteriori censure in tema di alienazione di bene pubblico (motivo 1c), violazione regole appalti pubblici (secondo e terzo motivo), distanze tra edifici diversi da quelli di proprietà (quinto motivo), autorizzazioni commerciali (sesto motivo),

– per sostenere in giudizio queste censure occorre un interesse ulteriore a quelli afferenti l’aspetto espropriativo ed edilizio, interesse che qui non c’è perché i ricorrenti non sono consiglieri comunali che possano dedurre la lesione del munus, non sono imprese che potevano concorrere all’aggiudicazione del progetto, non sono titolari di attività commerciali che non vogliono concorrenti in zona,

– i ricorrenti potrebbero vantare soltanto un interesse strumentale a travolgere comunque in un modo o nell’altro la procedura, ma l’interesse sufficiente a reggere una domanda non può essere costituito dal mero interesse strumentale a travolgere la procedura amministrativa (cfr. Tar Parma 583/2010: Il ricorso giurisdizionale amministrativo non è proposto per assicurare l’astratta corrispondenza a legalità dell’esercizio del potere pubblico, quanto piuttosto tende ad assicurare il risultato favorevole cui aspira parte ricorrente, cioè il bene della vita il cui mantenimento o conseguimento risulta pregiudicato dal provvedimento lesivo, onde l’invocata corretta reiterazione del potere si presenta strumentale alla rimozione della lesione arrecata alla sua sfera giuridica: pertanto, l’individuazione dell’interesse all’impugnazione va effettuata in rapporto al bene della vita cui il ricorrente aspira e non anche alla generica ed astratta pretesa al rispetto di norme procedimentali, avulsa dalla prospettazione di vizi dell’atto incidenti sulla posizione giuridicamente tutelata del privato, il che implica, quale inevitabile conseguenza, che l’interesse a ricorrere dev’essere, oltre che personale e diretto, anche attuale e concreto, ossia tale che, in caso di accoglimento del gravame, il soggetto consegua il vantaggio di vedere rimosso il pregiudizio effettivo ed immediato derivantegli dal provvedimento amministrativo). Le aperture all’interesse strumentale da parte della giurisprudenza amministrativa in materia di procedure di gara non possono essere estese, infatti, a materie diverse da quelle in cui erano state concepite (cfr. CdS, IV, 7439/2010: Nel contenzioso avente ad oggetto procedure di pianificazione urbanistica, non sono direttamente trasferibili le ricostruzioni sulla natura dell’interesse strumentale svolte nell’ambito delle questioni riguardanti gli atti di una procedura concorsuale o selettiva, trattandosi di situazioni profondamente differenti, in quanto, in queste ultime fattispecie, il ricorrente mira al perseguimento di un’utilità – aggiudicazione dell’appalto o posizionamento utile in graduatoria – che l’Amministrazione ha attribuito ad altro soggetto o ad altri soggetti specificamente individuati, nell’ambito di una procedura competitiva la cui ripetizione è ex se suscettibile di formare oggetto di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato, mentre tali considerazioni non possono estendersi alla pianificazione urbanistica che potrebbe anche non essere ripetuta), fermo restando che anche nella materia delle procedure di gara la sufficienza dell’interesse strumentale ad incardinare un ricorso giurisdizionale è stata ripensata dalla giurisprudenza più recente (CdS, IV, 7443/09, secondo cui l’interesse strumentale è irrilevante per fondare una posizione differenziata e qualificata che rechi con sé già di per sé solo la legittimazione a stare in giudizio, in quanto, trattandosi di nient’altro che del mero interesse alla legalità, è indistinguibile dall’interesse di mero fatto; si osserva, infatti, correttamente che, se avesse rilievo il mero interesse ad eliminare tutti i concorrenti per ottenere la rinnovazione della gara, allora nei pubblici appalti bisognerebbe ritenere ammissibile qualsiasi ricorso presentato da una impresa che non ha partecipato alla gara ma che appartiene alla stessa categoria merceologica oggetto del bando; contro il rilievo attribuito all’interesse strumentale alla mera rinnovazione della procedura di gara, in dottrina è stato anche evidenziato che esso non sarebbe comunque decisivo quando la mancanza di un requisito in capo al ricorrente principale o incidentale porterebbe comunque ad escludere la sua possibilità di partecipare anche alle operazioni rinnovate).

In definitiva, in base alla ricostruzione proposta in questo paragrafo sono ammissibili soltanto i motivi attinenti l’aspetto espropriativo (motivi 1a, 1d, e 4) ed edilizio (motivo 1b; il motivo 1d è peraltro una variante dell’1b), non sono ammissibili gli ulteriori motivi.

II. In punto di ricevibilità, non si può ritenere – come sostiene in particolare la controinteressata – che il ricorso sia afflitto da tardività per non essere stata impugnata a suo tempo la delibera 39/07 che aveva dichiarato di pubblico interesse il progetto E., perché si trattava di fase ancora troppo prematura della procedura.

La procedura espropriativa inizia con la dichiarazione di pubblica utilità, che è contenuta solo nel provvedimento impugnato; la procedura edilizia si compone anche di ulteriori provvedimenti che dovranno essere emessi successivamente a quello in esame; per cui non si può far risalire a ritroso gli oneri di impugnazione alla mera dichiarazione di pubblico interesse del progetto E., che – pur costituendo espressione della volontà dell’amministrazione comunale di investire sul progetto per cui è causa – di per sé non aveva ancora inciso in alcun modo sulle posizioni giuridiche dei ricorrenti, talchè – qualora essi l’avessero a suo tempo impugnata – sarebbero stati privi di un interesse attuale al ricorso.

III. Nel merito è fondato il motivo di ricorso che si è rubricato come 1b (nella congerie di profili diversi di ricorso che la difesa dei ricorrenti ha introdotto nel primo motivo).

Con tale censura la difesa dei ricorrenti deduce che l’opera in progetto sarebbe incompatibile con la destinazione urbanistica dell’area in quanto l’art. 42 delle n.t.a. del p.r.g. ha introdotto con delibera 83/06 una prescrizione speciale per l’area dell’ex Cinema teatro prevedendo la possibilità di destinazioni commerciali, ma in coerenza con il progetto preliminare C., progetto che verrebbe stravolto dal progetto definitivo (altezza massima da 11 m. a 18,5 m.; volume da 15.000 mc. a 27.0000 mc.; superficie lorda di pavimento da 3.229 mq a 8.309 mq; superfici per attività commerciali da mq. 385 a mq. 4.581). La difesa dei ricorrenti aggiunge che, pur essendo possibile in astratto approvare progetti di opere pubbliche in difformità dalle previsioni di piano, ciò occorre fare con una apposita procedura che nel caso di specie non sarebbe stata seguita.

Il Comune di Chiari e la controinteressata ribattono sostenendo, sia pure in base ad argomenti parzialmente diversi, che il progetto sarebbe del tutto conforme al piano.

La norma di piano applicabile al caso in esame è l’art. 42 n.t.a. p.r.g.. Si tratta di una norma costruita in un modo particolare.

Essa, infatti, prevede una parte generale, in cui per la zona in esame sono definiti come di consueto destinazioni ammissibili e destinazioni espressamente vietate, tipologia di titoli edilizi necessari per edificare, volumetrie massime realizzabili, altezze massime, e tutti gli altri parametri tradizionalmente propri delle norme di piano.

L’art. 42 si chiude, però, con una prescrizione speciale dettata apposta per l’area dell’ex teatro ed introdotta a seguito di variante dopo l’approvazione del progetto C. (il progetto preliminare che aveva vinto il concorso nazionale di architettura) e prima dell’entrata in scena del progetto E. (il progetto definitivo oggi impugnato).

Questa prescrizione speciale prevede che: "il riutilizzo dell’area dell’ex Cinema Comunale potrà riguardare anche interventi nel sottosuolo estesi all’ambito individuato nella tavola di azzonamento e si svilupperà in coerenza con la proposta progettuale vincitrice dell’apposito Concorso nazionale di architettura".

Una prescrizione di piano di questo tipo pone due problemi interpretativi: 1) come coordinare la parte generale dell’art. 42 con la parte speciale sull’area dell’ex cinema; in particolare, se la prescrizione speciale sia integrativa della parte generale, sostitutiva della stessa o cos’altro; 2) come interpretare la norma speciale sull’ex cinema, che non detta esplicitamente il regime di edificabilità dell’area, ma si limita ad individuarlo rinviando per relationem ad un progetto (per di più, limitandosi a chiedere la coerenza con lo stesso).

I ricorrenti sostengono che le difformità esistenti tra il progetto preliminare C. vincitore del concorso nazionale ed il progetto definitivo E. (che passa da un’altezza massima di 11 m. a 18,5 m.; da un volume di 15.000 mc. a 27.0000 mc.; da una superficie lorda di pavimento di 3.229 mq a 8.309 mq; da superfici per attività commerciali per mq. 385 a mq. 4.581) rendono privo di conformità urbanistica il progetto definitivo.

In fase cautelare questo Tribunale nel procedimento gemello 621/09 ha ritenuto che ad una prima prospettazione questa tesi non fosse corretta, in quanto il progetto preliminare è per sua natura destinato ad essere rivisto, approfondito e modificato nel corso della progettazione definitiva, e che quindi il riferimento al progetto preliminare nella norma di piano non poteva avere l’effetto di cristallizzare tutto al progetto C..

Nelle memorie conclusive le parti hanno sviluppato ulteriormente i loro argomenti e la difesa dei ricorrenti ha rimbrottato il Tribunale per la decisione presa in fase cautelare, focalizzando l’attenzione in modo particolare sulla questione della compatibilità urbanistica e mettendo in evidenza le critiche cui prestava il fianco l’adesione alla tesi opposta.

Il Comune non ha svolto sostanzialmente attività difensiva ulteriore in questa fase.

La difesa della controinteressata ha invece difeso la decisione cautelare con argomenti che, però, sono oggettivamente non condivisibili e che vanno oltre quanto delibato in fase cautelare dal Tribunale, che quindi – esaminate funditus le prospettazioni delle due parti – riconosce la correttezza delle tesi della difesa dei ricorrenti.

Il primo problema – lo si anticipava prima – è come coordinare la parte generale dell’art. 42 (con i suoi limiti di altezza e volumetria e destinazione) con la parte speciale dello stesso, contenente una prescrizione dettata appositamente per l’area dell’ex cinema.

Il primo dato certo è che il progetto E. non gode di conformità urbanistica in forza della parte generale dell’art. 42, perché la destinazione ammessa dalla parte generale dell’art. 42 è solo quella di servizi pubblici, sono esplicitamente non ammesse le attività commerciali. Inoltre, è molto dubbio anche che la volumetria da realizzare con il progetto E. goda di conformità urbanistica se si guarda solo alla parte generale dell’art. 42, in quanto il precedente cinema era di 23.028 mc, la costruzione E. è di 26.831 mc.; la difesa della E. sostiene che si sarebbe potuti arrivare a 27.633 mc. per via della possibilità di ampliamento fino al 20% prevista dall’art. 42 parte generale, ma si è in presenza di una demolizione integrale con ricostruzione che è tipologia costruttiva diversa dall’ampliamento.

Esaminando la sola parte generale dell’art. 42, il progetto E. non gode – pertanto – di conformità urbanistica, e quindi esso potrebbe essere giudicato conforme soltanto ricorrendo alla prescrizione speciale.

Ma la prescrizione speciale è una norma di piano della quale quantomeno si può dire che è ambigua, perché si limita a chiedere la coerenza con il progetto C., disponendo quindi per relationem, e per di più relazionandosi alla mera coerenza con il progetto in parola.

Ma una norma di piano non può essere così generica da consentire indifferentemente di realizzare nell’area in questione 15.000 mc. (progetto C.) o 27.0000 mc. (progetto E.); una norma di piano deve per sua natura fissare i carichi urbanistici, cioè individuare le destinazioni di zona ammissibili, le volumetria realizzabili, le altezze raggiungibili e così via. Se la prescrizione speciale dell’art. 42 non fa niente di tutto questo, esistono soltanto due possibili alternative logiche: o ritenere che per l’area ex cinema valgono le regole generali dell’art. 42, ed in più sarebbe stato aggiunto un vincolo tipologico ulteriore costituito dalla coerenza con il progetto C. di quanto edificando (ma in questo caso il progetto E. non gode di compatibilità urbanistica, perché, come si spiegava prima, è oltre i limiti della parte generale sia per le destinazioni ammissibili che per la volumetria); oppure ritenere che la prescrizione speciale trasformi in norma di piano i carichi urbanistici del progetto C., e cioè ammetta nell’area in esame una volumetria di 15.000 mc, un’altezza di 11.5 m, una superficie ad attività commerciale nelle dimensioni previste dal progetto C., e così via (ed anche in questo caso il progetto E. sarebbe fuori dai limiti perchè quasi raddoppia la volumetria rispetto al progetto C., e non rispetta neanche altri parametri urbanistici).

In definitiva, il problema non è il rapporto tra progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, e gli scostamenti che vi possono essere ordinariamente tra l’uno e gli altri (su cui si era soffermata, invece, l’ordinanza cautelare), perché tutto questo attiene alla disciplina dell’appalto e serve a salvaguardare gli interessi (trasparenza, parità di condizioni, ecc.) tutelati dall’evidenza pubblica. Il problema è invece di carattere strettamente urbanistico e deriva dal fatto che una variante di piano ha trasformato in strumento urbanistico un progetto, e una norma di piano non può essere soggetta agli scostamenti che vi possono essere ordinariamente tra progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, pena la completa genericità della stessa (in senso diverso sembrerebbe andare la recentissima Tar Lombardia, Milano, sez. III, 18 febbraio 2011, n. 499).

A differenza di come ci si era espressi in fase cautelare, occorre pertanto riconoscere che la prescrizione speciale dell’art. 42 delle n.t.a. non è interpretabile in altro modo, se non ammettendo che essa abbia recepito i carichi urbanistici del progetto C., carichi che il progetto E. non rispetta.

Ne consegue che il motivo di ricorso relativo alla mancanza di conformità urbanistica dell’opera è fondato e deve essere accolto.

IV. Gli altri motivi, che non sono stati travolti dalla dichiarazione di inammissibilità iniziale, vengono assorbiti. Infatti, "nel giudizio amministrativo, l’accoglimento di una censura, che sia in grado di provocare la caducazione dell’atto impugnato, fa venire meno l’interesse del ricorrente all’esame degli altri motivi da parte del giudice e la potestà di questi di procedere a tale esame, autorizzando la dichiarazione di assorbimento" (Cons. Stato, sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4829).

V. Le spese seguono la soccombenza (addossata sia al Comune che alla controinteressata) e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso, e, per l’effetto, annulla la delibera 19. 1. 2009, n. 2.

CONDANNA il Comune di Chiari e la controinteressata, in solido tra loro, al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese di lite, che determina in euro 3.000, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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