T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 11-03-2011, n. 398 Bellezze naturali e tutela paesaggistica Impianti industriali e/o produttivi Atto impugnabile Legittimazione processuale associazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’odierna controinteressata A.A. S.p.a. gestisce, fra gli altri propri stabilimenti, principalmente un impianto per la produzione di acciaio tramite fusione di rottame ferroso, cd. acciaieria di seconda fusione, sito alla via Acquaviva 18 del Comune di Cremona ed estendentesi parte nel territorio di quel Comune, parte nel confinante territorio del Comune di Spinadesco, e nel quadro delle proprie politiche aziendali ne ha da lungo tempo programmato il potenziamento, detto nella prassi locale il "raddoppio", attraverso un complesso intervento che prevede la costruzione di nuovi fabbricati adiacenti agli esistenti, la demolizione di altro fabbricato preesistente, l’installazione di un nuovo forno fusorio con tecnologia consteel, l’installazione di due forni per ferroleghe, la realizzazione di un nuovo laminatoio, l’installazione di un nuovo impianto di abbattimento polveri per i nuovi forni, il miglioramento dell’impianto abbattimento fumi già esistente e l’integrazione di esso con il nuovo, il rifacimento dell’impianto di trattamento delle acque di processo, con recupero completo delle stese, la realizzazione di una vasca raccolta acque e di un impianto di trattamento chimico fisco delle acque stesse, la riorganizzazione della viabilità di stabilimento e dei relativi magazzini, la realizzazione di un deposito temporaneo di rifiuti e di barriere antirumore, nonché l’impianto di un bosco filtro verso l’abitato di Spinadesco, e tutto ciò allo scopo di aumentare la capacità di produzione, che passerebbe da novecentomila a due milioni e quattrocentomila t/a. In particolare, la citata tecnologia consteel comporta che si passi da una lavorazione discontinua, in cui i carichi di rottame da fondere vengono versati nel forno e fusi ad uno ad uno in arco voltaico, ad una lavorazione continua, in cui un forno di grande capacità a forma di barile coricato, cd. forno siviera, mantiene costantemente al proprio interno acciaio liquido e fonde per immersione nello stesso il rottame che lo alimenta senza interruzioni attraverso un nastro trasportatore a galleria, realizzando un considerevole risparmio in termini di consumo di energia e di emissione di fumi (per la descrizione dei vari impianti di cui consta l’intervento programmato, v. allegato tecnico al decreto screening 26 gennaio 2009 n°534, atto impugnato con il ricorso principale nel procedimento 370/09, doc. 1 ricorrenti prodotto il 12 aprile 2009 nello stesso; i dati ulteriori sull’A. sono non controversi in causa, e comunque costituiscono fatto localmente notorio; le caratteristiche del processo consteel sono da ultimo dato di comune esperienza).

Per realizzare l’intervento in parola, la A. ha intrapreso le necessarie procedure amministrative, e per quanto qui interessa ha ottenuto dapprima il decreto 18 maggio 2006 n°5155, ovvero un primo decreto screening, con il quale il Dirigente della Struttura prevenzione inquinamento atmosferico e impianti della Regione Lombardia ha in proposito escluso ai sensi degli artt. 1 comma 6 e 10 del D.P.R. 12 aprile 1996 la necessità di V.I.A. (doc. 5 ricorrenti in ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, copia di esso); ha ottenuto poi dal Comune di Cremona i titoli abilitativi necessari a realizzare gli edifici destinati ad ospitare i nuovi impianti, ovvero i permessi di costruire 3 luglio 2007 n°96/A e 19 luglio 2007 n°76/A; ha ottenuto ancora il decreto 14 dicembre 2007 n°15880, con il quale il Dirigente della Struttura prevenzione inquinamento atmosferico e impianti della Regione Lombardia le rilasciava in merito una prima autorizzazione integrata ambientale (doc. 6 ricorrenti in ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, copia di esso); ha ottenuto infine dal Comune di Spinadesco, ove come si è detto si trova parte dello stabilimento, nonché dallo Sportello unico associato per le imprese ad esso pertinente, l’approvazione di un conforme piano urbanistico attuativo, con apposita delibera consiliare 1 giugno 2007 n°30, nonché, in esecuzione di tale piano, il rilascio dei permessi di costruire 19 giugno 2007 n°430 e 19 giugno 2007 n°431, relativi rispettivamente alla costruzione delle citate barriere acustiche e di alcuni capannoni sempre previsti dal progetto (v. per tutto ciò doc. 2 ricorrenti in ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, copia sentenza TAR Lombardia Brescia 10 dicembre 2008 n°1739, di cui appresso).

Avverso tale complesso di atti, un gruppo di soggetti in massima parte coincidenti con gli odierni ricorrenti, ha proposto impugnazione, radicata avanti questo Tribunale con ricorsi rubricati ai nn°1425/2006, 802/2007 e 1103/2007, e decisa, previa riunione degli stessi con la sentenza della Sezione già citata, 10 dicembre 2008 n°1739, confermata in sede di appello da C.d.S. sez. V 26 agosto 2010 n°5950 (prodotta in copia dai ricorrenti nel ricorso 370/2009 il 24 dicembre 2010) e quindi passata in giudicato.

Tale sentenza, per quanto qui interessa, ha accolto in parte i ricorsi predetti ed ha disposto l’annullamento degli atti già citati, ovvero del primo decreto screening 18 maggio 2006 n°5155, dell’AIA 14 dicembre 2007 n°15880 e dei titoli edilizi, permessi di costruire 3 luglio 2007 n°96/A e 19 luglio 2007 n°76/A rilasciati dal Comune di Cremona, nonché deliberazioni 3 aprile 2007 n°15 e 1 giugno 2007 n°30 della Giunta comunale di Spinadesco e permessi di costruire 19 giugno 2007 nn° 430 e 431 rilasciati dallo Sportello unico delle imprese del Comune di Pizzighettone ed associati, il tutto con gli effetti conformativi di cui in motivazione, dei quali meglio si dirà in prosieguo (doc. 2 ricorrenti in ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, cit.).

Sul presupposto che tale sentenza di annullamento comportasse, in sintesi estrema, sostanzialmente un obbligo di rinnovare la procedura, la A. si attivava quindi in tal senso, e otteneva dapprima dalla Regione Lombardia un nuovo decreto screening, 26 gennaio 2009 n°534, con il quale la competente autorità, all’esito di una asserita nuova e più approfondita valutazione della fattispecie, giungeva alle medesime conclusioni del decreto annullato, ovvero nuovamente escludeva la necessità di VIA per l’intervento programmato (doc. 1 ricorrenti in ricorso 370/09 prodotto il 12 aprile 2009, copia di esso); otteneva poi nuovamente dal Comune di Cremona i titoli edilizi di competenza dello stesso, per realizzare le costruzioni pertinenti.

Avverso tali atti, meglio indicati in epigrafe, hanno allora proposto nuova impugnazione, rubricata al n°370/2009, le persone fisiche pure meglio elencate in epigrafe, le quali, come si è accennato, coincidono in gran parte con le persone fisiche ricorrenti nei pregressi procedimenti 1425/2006, 802/2007 e, come già avvenuto in tale occasione, si sono qualificate residenti nei Comuni di Cremona o Spinadesco, in area limitrofa all’impianto in parola, ovvero proprietari di immobili nella stessa posizione; assieme a loro ha parimenti proposto impugnazione l’ente giuridico Coordinamento dei comitati ambientalisti della Lombardia, anch’esso già ricorrente nei procedimenti 1425/2006, 802/2007 e 1103/2007, il quale si è qualificato, ora come allora, associazione volta a tutelare l’ambiente ed il paesaggio, fra l’altro nel sito interessato (cfr. ricorso introduttivo nel ricorso 370/2009, p. 5); tutti costoro hanno anzitutto articolato, nel ricorso principale depositato il 10 aprile 2009, otto censure, corrispondenti secondo logica ai seguenti quattro motivi:

– con il primo di essi, corrispondente alle censure prima a p. 14 dell’atto e quarta, rubricata questa per errore come terza, a p. 29, hanno dedotto violazione del disposto della citata sentenza 10 dicembre 2008 n°1739, ovvero eccesso di potere, in relazione a tutti gli atti impugnati (ciò è ribadito nel paragrafo a p. 41 come sesta censura), in quanto a loro avviso la riedizione dell’attività amministrativa compiuta dalla Regione e dal Comune di Cremona sarebbe non rispettosa degli effetti conformativi dell’annullamento disposto in tal sede, anche per esser stata compiuta ad impianti ormai realizzati;

– con il secondo di essi, rubricato come censura seconda a p. 17 dell’atto, premettono che nella zona interessata dall’intervento si trovano sia il Parco locale di interesse sovra comunale del Po e Morbasco, sia due Siti di interesse comunitario, protetti ai sensi delle direttive 79/409/CEE "Uccelli" e 92/43/CEE "Habitat", precisamente il SIC IT 20A0501 "Spinadesco" e la Zona di protezione speciale degli "Spiaggioni del Po" (si tratta di fatti notori, salvo quanto in prosieguo sulla loro esatta dislocazione). Deducono quindi violazione degli artt. 1924 del D. lgs. 3 aprile 2006 n°152, sostenendo che l’intervento ricadrebbe, almeno parzialmente, all’interno di aree naturali protette, e quindi andrebbe per ciò solo assoggettato a VIA;

– con il terzo di essi, corrispondente alle censure terza, rubricata per errore come seconda a p. 21 dell’atto, quinta, rubricata per errore come quarta a p. 31 dell’atto e sesta, pure rubricata per errore come quinta a p. 35 dell’atto, deducono ancora violazione degli artt. 19 e ss. del d. lgs. 3 aprile 2006 n°152, ovvero eccesso di potere anche sotto il profilo del mancato rispetto del principio di precauzione. In proposito, premettono in sintesi che premettendo che secondo le norme citate il decreto screening, nel decidere se sottoporre o no un intervento a VIA, deve tener conto di tutta una serie di elementi, in particolare di tutti gli effetti diretti e indiretti del progetto sull’ambiente, sotto il profilo della sua incidenza su aree protette limitrofe, sul reticolo idrogeologico, sulle vicine zone abitate, e nel far ciò deve tener presente anche la cd. alternativa zero, ovvero la possibilità di non realizzare affatto l’intervento, in particolare alla luce del principio di precauzione, che a loro avviso (p. 29 dell’atto, quarto e quinto rigo) imporrebbe di ritenere il rischio inaccettabile sino a prova positiva del contrario. Ciò premesso, affermano che al pari di quello già annullato di cui si è detto anche il nuovo decreto screening non rispetterebbe le norme citate, e risulterebbe invece carente sotto tutta una serie di profili rilevanti. Sempre a loro avviso, in dettaglio, il decreto impugnato non considererebbe la possibile incidenza dell’intervento sulle aree protette di cui si è detto, particolarmente il SIC Spinadesco, sul quale l’istruttoria sarebbe "mancata completamente" (pp. 2325 e 3235 dell’atto; a p. 35 terzultimo rigo è la citazione); non considererebbe poi gli effetti sulle risorse idriche, sulle emissioni sonore e sulla gestione dei rifiuti prodotti (p. 39 dell’atto) e risulterebbe in conclusione motivato con "mera formula di stile" (p. 36 dell’atto quartultimo rigo). Il motivo presente e quelli precedenti sono riferiti, come risulta dal paragrafo dell’atto a p. 41 rubricato come censura sesta, ma costituente in realtà la settima nell’ordine, sono riferiti a tutti gli atti impugnati;

– con il quarto motivo, infine, rubricato come settima censura, in realtà corrispondente all’ottava a p. 41 dell’atto, e relativo ai soli titoli edilizi, deducono violazione degli artt. 10 e 12 del TU Edilizia, premettendo che, come pacifico, lo stabilimento A. si estende tanto in Comune di Cremona, quanto in Comune di Spinadesco. Deducono quindi che illegittimamente il Comune di Cremona avrebbe assentito costruzioni che riguardano anche il territorio di altro ente.

Hanno resistito al ricorso principale la Regione Lombardia, con atto 14 aprile 2009 e memoria 28 aprile 2009, la Provincia di Cremona, con memoria 28 aprile 2009, il Comune di Cremona, con atto 15 aprile e memoria 28 aprile 2009, e la A.A., con atto 14 aprile e memoria 28 aprile 2009; le parti in questione:

– in via preliminare, hanno eccepito la inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, sotto un duplice profilo. Per quanto riguarda le persone fisiche, dato e non concesso che la semplice qualità di residenti, ovvero di proprietari di immobili, nei comuni interessati, sia sufficiente a radicare la legittimazione stessa, contestano che tale qualità, pur asserita, sia in fatto provata (memoria Provincia Cremona 28 aprile 2009 p. 10 in fine). Per quanto riguarda invece il Comitato, sostengono parimenti che nulla sarebbe provato in ordine alla sua rappresentatività e attività non occasionale a tutela dell’ambiente (ibidem, p. 14);

– sempre in via preliminare, hanno eccepito la inammissibilità del ricorso anche sotto diverso profilo, rappresentato dalla sostanziale indeterminatezza dei motivi dedotti, che non terrebbero conto dell’effettivo contenuto del decreto screening impugnato, e rappresenterebbero una pedissequa ripetizione di quelli già dedotti nel ricorso 1425/2006 (memoria A. 28 aprile 2009, p. 12);

– la Provincia di Cremona ha poi sostenuto, ancora in via preliminare, anche il difetto di propria legittimazione passiva, non essendo impugnati propri atti (memoria 28 aprile cit, p. 15);

– nel merito, hanno premesso in fatto che lo stabilimento A., come del resto accertato anche dalla sentenza 10 dicembre 2008 n°1739, si trova all’esterno delle aree protette citate dai ricorrenti (in particolare, memoria Provincia 28 aprile 2009 pp. 23 e 24; memoria Comune Cremona pari data p. 3; memoria A. pari data p. 17); il Comune di Cremona ha poi chiarito che i titoli edilizi impugnati sono rappresentati dai provvedimenti 9 febbraio 2009 prot. n°6800 e 6805, di conferma dei permessi di costruire 3 luglio 2007 n°96/A e 19 luglio 2007 n°76/A, provvedimenti di conferma adottati in quanto l’annullamento dei permessi di costruire in questione era stato operato soltanto per illegittimità derivata, e non per vizi propri (memoria Comune 28 aprile 2009 p. 4 e ss. nonché doc. Comune 5 e 6 in ricorso 370/2009, copia provvedimenti di conferma). Tutte le parti hanno poi difeso il contenuto del decreto screening, affermando che esso avrebbe congruamente considerato tutti i profili indicati dalla sentenza di annullamento di cui sopra.

In esito alla camera di consiglio del 30 aprile 2009, la Sezione disponeva istruttoria, prescrivendo con ordinanza 4 maggio 2009 n°91 alla Regione di depositare una relazione di chiarimenti, pervenuta nei termini il 5 agosto 2009; da tale relazione argomentavano la Regione, con memoria 9 novembre 2009, e la A., con memoria 6 novembre 2009, per ulteriormente sostenere la legittimità del decreto screening impugnato, specularmente contestata dai ricorrenti anche alla luce della relazione in parola con memoria 7 novembre 2009.

Alla successiva camera di consiglio del giorno 11 novembre 2009, le parti chiedevano rinvio, per consentire il decorso dei termini a difesa relativi ai primi motivi aggiunti di cui appresso; in seguito, con atto depositato il 13 novembre successivo, rinunciavano all’istanza cautelare, in vista di una sollecita trattazione del merito, del che la Sezione dava atto con ordinanza sempre del 13 novembre 2009 n°691.

In seguito, appunto con atto di motivi aggiunti depositato il 12 novembre 2009, i ricorrenti impugnavano dichiaratamente il " provvedimento 9 febbraio 2009 prot. n°6805, con il quale il Direttore del Settore gestione territorio e sviluppo economico – Sportello unico per le imprese e l’edilizia del Comune di Cremona ha confermato l’efficacia del permesso di costruire 28 giugno 2007 n°96/A", provvedimento che peraltro come si è già detto rappresenta uno dei titoli edilizi, già gravati con il ricorso principale, rilasciati dal Comune di Cremona per assentire l’intervento in parola; avverso tale provvedimento riproponevano come censura di vizi di illegittimità derivata tutti i motivi già dedotti con il ricorso principale; proponevano poi un motivo ulteriore, di violazione degli artt. 7 ed 8 della l. 7 agosto 1990 n°241, per omissione dell’avviso di avvio del procedimento, al quale affermano di avere avuto titolo.

Resisteva specificamente a tali motivi aggiunti il Comune di Cremona, con memoria 6 novembre 2009, nella quale eccepiva la loro irricevibilità in quanto rivolti tardivamente avverso un provvedimento già prodotto dal Comune stesso nel quadro delle proprie difese concernenti il ricorso principale. Per parte sua, anche la Regione, con memoria 11 giugno 2010, ribadiva le proprie difese.

Parallelamente, la A. continuava il rinnovo dei procedimenti necessari ad avviare l’impianto, e otteneva in tal senso il decreto 22 marzo 2010 n°184, con il quale il Dirigente del Settore agricoltura e ambiente della Provincia di Cremona le ha rilasciato l’autorizzazione integrata ambientale (doc. ti 1.1 e 2 ricorrenti prodotti il 30 luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso 370/09, copie del decreto e del pertinente allegato tecnico); otteneva parimenti un secondo provvedimento di AIA, il decreto 27 maggio 2010 n°544, sempre del Dirigente del Settore agricoltura e ambiente della Provincia di Cremona (doc. 4 ricorrenti prodotto il 30 luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso 370/09, copia di esso, completa di allegato tecnico), AIA relativa però, secondo la lettera del provvedimento stesso, ad un impianto diverso di pertinenza della medesima A., ovvero ad un nuovo complesso di trattamento superficiale di rotoli di nastro di acciaio laminato a caldo – in termini correnti, impianto di zincatura- sito nei Comuni di Cremona, Sesto ed Uniti e Spinadesco, nelle vicinanze dell’acciaieria per cui è processo, nuovo impianto per il quale era stata a suo tempo esclusa la necessità di VIA con il decreto screening 27 marzo 2008 n°3015 della Regione Lombardia, decreto che non consta impugnato (cfr. secondo ricorso per motivi aggiunti depositato il 30 luglio 2010 p. 78 ultimo paragrafo); sempre la A. otteneva infine dai Comuni di Spinadesco e Sesto ed Uniti, il cui territorio come si è detto è interessato dagli impianti in parola, il rilascio dei necessari titoli abilitativi necessari a realizzare le relative costruzioni (doc. ti 1.5 e 1.6 ricorrenti prodotti il 30 luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso 370/09, copie del piano attuativo e del permesso di costruire rilasciati dal Comune di Spinadesco per l’acciaieria; non constano prodotti i titoli pertinenti all’impianto di zincatura).

Nella pendenza del termine per impugnare tali provvedimenti, i ricorrenti, con istanza 11 giugno 2010, ottenevano anzitutto differimento dell’udienza pubblica fissata per il 23 giugno 2010; avverso i provvedimenti stessi, e avverso tutti gli altri meglio indicati in epigrafe, proponevano poi effettivamente impugnazione, con il secondo atto di motivi aggiunti, depositato il 30 luglio 2010 e articolato in ordine logico nei dieci motivi di cui appresso:

– con il primo di essi, rubricato come primo a p. 67 dell’atto, ripropongono come denuncia di vizi di illegittimità derivata tutti i motivi già dedotti contro gli atti impugnati con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti;

– con il secondo di essi, rubricato come decimo a p. 109 dell’atto, deducono ancora violazione degli artt. 7 ed 8 della l. 7 agosto 1990 n°241, per omissione dell’avviso di avvio del procedimento, al quale affermano di avere avuto titolo anche in tale fattispecie;

– con il terzo motivo, rubricato come secondo a p. 68 dell’atto, deducono ulteriore violazione del disposto della sentenza 10 dicembre 2008 n°1739, che a loro avviso avrebbe escluso la possibilità di rinnovare l’AIA di cui al decreto 184/2010 riutilizzando, come fatto nella specie, l’allegato tecnico pertinente all’AIA annullata;

– con il quarto motivo, rubricato come terzo a p. 70 dell’atto, deducono ancora violazione del disposto della sentenza 10 dicembre 2008 n°1739, che, sempre a loro avviso, avrebbe escluso anche la possibilità di rinnovare, come fatto nella specie, i titoli edilizi;

– con il quinto motivo, rubricato come quarto a p. 72 dell’atto, deducono violazione degli artt. 2, 5, 7 e 10 del d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59 quanto ad entrambi i provvedimenti di AIA impugnati, che a loro avviso rappresenterebbero il risultato di una illegittima e artificiosa scissione in due stabilimenti diversi, appunto l’acciaieria e l’impianto di zincatura, di una realtà produttiva unica, che quindi a loro avviso avrebbe dovuto essere considerata da un’unica AIA;

– con il sesto motivo, rubricato come quinto a p. 83 dell’atto, deducono ancora violazione degli artt. 2, 5, 7 e 10 del d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59 nonché degli artt. 2, 8 e 9 del d. lgs. 11 maggio 2005 n°133. Premettono in proposito in punto di fatto che, a loro avviso, l’acciaieria per cui è causa, in quanto acciaieria di seconda fusione, e quindi utilizzatrice di rottame come materia prima dovrebbe essere soggetta ai più rigorosi limiti di emissioni in atmosfera previsti dal Regolamento CE 304/2009 per gli impianti di termodistruzione di rifiuti. In tali termini, i limiti di legge previsti sarebbero nel caso di specie superati in entrambe le AIA per i parametri relativi alle diossine e ai furani, per i quali è autorizzata un’emissione di 0,5 nanogrammi/metro cubo contro i 0,1 nanogrammi/metro cubo consentiti, nonché per i parametri relativi ai metalli pesanti, con 6 milligrammi/metro cubo contro i 0,55 consentiti, e agli ossidi di azoto, con 400 milligrammi/metro cubo contro i 200 consentiti. Sempre a tal proposito, argomentando dalla relazione di un tecnico di parte, certo Caldiroli (doc. 10 ricorrenti prodotto il 30 luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso 370/09), i ricorrenti affermano che da notizie di stampa l’acciaieria avrebbe già raggiunto una produzione superiore a quella autorizzata, e che ciò qualificherebbe ulteriormente i decreti di AIA come "incompleti, lacunosi e contraddittori" (p. 90 atto, undecimo rigo);

– con il settimo motivo, rubricato come sesto a p. 90 dell’atto, deducono eccesso di potere per asserita mancata considerazione, da parte di entrambi i decreti AIA, dei pareri emessi nelle conferenze di servizi relative. In proposito affermano che in base al parere espresso dal Comune di Cremona in tal sede si ricaverebbe l’intento di prevedere un limite inderogabile di 5 milligrammi/metro cubo per l’emissione di polveri sottili totali, ma che di tal parere nel decreto AIA 184/2010 non si sarebbe tenuto conto, prevedendo invece senza ragione un limite doppio; affermano ancora che nessuno dei due decreti AIA impugnati si farebbe carico di individuare un limite massimo per le emissioni acustiche, che secondo ragione a fronte di un ampliamento degli impianti non potrebbero che aumentare;

– con l’ottavo motivo, rubricato come settimo a p. 96 dell’atto e relativo al solo impianto di zincatura, deducono violazione degli artt. 25 e 97 della l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12, che come è noto, ha introdotto per ciascun comune un nuovo tipo di strumento urbanistico generale, detto piano per il governo del territorio, e nelle more dell’approvazione dello stesso consente ad ogni Comune solo limitati interventi di pianificazione, tra i quali, per quanto interessa, l’approvazione di strumenti di programmazione negoziata ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998 n°447, purché conformi al PTCP. Nel caso di specie, rientra nella relativa previsione di strumento di programmazione negoziata il rilascio, da parte del Comune di Spinadesco, di un permesso di costruire in variante (per la precisione, quello di cui alla deliberazione 6 settembre 2010 n°19 del Consiglio comunale di Spinadesco), permesso per il quale la Provincia ha espresso parere di compatibilità con il PTCP con deliberazione della Giunta 17 marzo 2010 n°154 (doc. 9 ricorrenti prodotto il 30 luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso 370/09, copia di essa). Assumono allora in proposito i ricorrenti che il permesso di costruire in variante di che trattasi sarebbe illegittimo, in quanto il parere provinciale, essendo subordinato a prescrizioni, sarebbe in sostanza un parere negativo;

– con il nono motivo, rubricato come ottavo a p. 102 dell’atto, deducono violazione degli artt. 14 e 25 della citata l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12, perché il piano attuativo del Comune di Spinadesco necessario a realizzare l’ampliamento dell’acciaieria sarebbe stato approvato, con la ricordata deliberazione consiliare 11 marzo 2010 n°4 (doc. 1.5 ricorrenti prodotto il 30 luglio 2010 nei secondi motivi aggiunti al ricorso 370/09, copia di essa) in mancanza della necessaria scheda tecnica;

– con il decimo motivo, rubricato come nono a p. 106 dell’atto, relativo secondo logica anch’esso ai soli titoli edilizi, deducono, in modo simile a quanto esposto nel motivo quarto del ricorso principale, violazione degli artt. 10 e 12 del TU Edilizia, ricordando ancora che lo stabilimento A. si estende nel territorio di più comuni e quindi dovrebbe essere considerato come realtà unitaria. Deducono quindi che illegittimamente ciascuno dei comuni interessati avrebbe assentito costruzioni che riguardano anche il territorio di altro ente.

Con il terzo ed ultimo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 30 novembre 2010, i ricorrenti hanno infine impugnato gli atti ulteriori di cui meglio in epigrafe, rappresentati in sintesi da tutti gli atti ulteriori ottenuti dalla A. per completare l’intervento relativo all’impianto di zincatura, e in particolare dal permesso di costruire in variante di cui si è detto, effettivamente rilasciato dal Comune di Spinadesco solo con deliberazione consiliare 6 settembre 2010 n°19, e quindi ancora inesistente al momento in cui venne proposto il secondo ricorso per motivi aggiunti, che pure ad esso si riferisce (doc. 1 ricorrenti prodotto il 30 novembre 2010, copia permesso in questione; che esso si riferisca appunto all’impianto di zincatura e non all’ampliamento dell’acciaieria si ricava esaminandone gli allegati tecnici), e tutto ciò sulla base dei quattro motivi che in ordine logico si riassumono così come segue:

– con il primo di essi, rubricato come primo a p. 130 dell’atto, ripropongono ancora come denuncia di vizi di illegittimità derivata tutti i motivi già dedotti contro gli atti impugnati con il ricorso principale e con i predetti ricorsi per motivi aggiunti;

– con il secondo motivo, rubricato come quarto a p. 134 dell’atto, deducono nuovamente violazione degli artt. 7 ed 8 della l. 7 agosto 1990 n°241, per omissione dell’avviso di avvio del procedimento, al quale affermano di avere avuto comunque titolo;

– con il terzo motivo, rubricato come secondo a p. 131 dell’atto, deducono violazione dell’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998 n°447 in quanto il permesso di costruire in variante sarebbe stato rilasciato dopo la scadenza del termine di sessanta giorni previsto dalla norma, asseritamente perentorio;

– con il quarto motivo, rubricato come terzo a p. 132 dell’atto, deducono ulteriore violazione dell’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998 n°447, perché il permesso di costruire in variante sarebbe stato, in considerazione di tutti i vizi sin qui denunciati, rilasciato a fronte di un progetto non rispettoso della normativa ambientale, accostato alla forte mortalità per tumori registrata in zona (p. 133 dell’atto).

Con memorie e repliche 22 e 29 dicembre 2010 e 5 gennaio 2011, i ricorrenti hanno ribadito le proprie ragioni.

Resistono agli ulteriori motivi aggiunti l’amministrazione statale, con atto 6 dicembre 2010, la Regione, con memorie 22 e 31 dicembre 2010, la Provincia, con memoria 5 gennaio 2011, il Comune di Cremona, con memoria 4 gennaio 2011, il Comune di Spinadesco, costituitosi per la prima volta con memoria 5 gennaio 2011, e la A., con memoria 31 dicembre 2010. Tutti costoro hanno dedotto:

– in via preliminare (memoria Provincia 5 gennaio 2011, pp. 15 e ss.) hanno eccepito la inammissibilità dei secondi motivi aggiunti in quanto relativi ad un atto, l’AIA 544/2010, asseritamente estraneo al procedimento relativo all’acciaieria;

– sempre in via preliminare (memoria Comune Spinadesco, p. 7) hanno eccepito l’inammissibilità anche del terzo ricorso per motivi aggiunti, in quanto asseritamente rivolto avverso atti non connessi a quelli impugnati con il ricorso principale;

– nel merito, hanno ribadito la legittimità degli atti impugnati, sottolineando che la procedura per cui è causa è altra rispetto a quella per la quale il TAR ha pronunciato l’annullamento di cui alla più volte ricordata pronuncia 10 dicembre 2008 n°1739.

Avverso la deliberazione del Consiglio comunale di Spinadesco di approvazione del piano attuativo, delibera 11 marzo 2010 n°4 già gravata con il secondo ricorso per motivi aggiunti nel procedimento 370/2009, e avverso una serie di atti presupposti inerenti i titoli edilizi rilasciati dal Comune medesimo, tutti meglio indicati in epigrafe e non coincidenti con quelli gravati nell’ambito del medesimo procedimento 370/2009, hanno proposto a loro volta impugnazione, con autonomo ricorso rubricato al n°579/10 R.G. di questo Tribunale e depositato il giorno 11 giugno 2010, il medesimo Coordinamento dei comitati ambientalisti della Lombardia e alcune persone fisiche, in parte ricorrenti anche nel ricorso 370/09, i quali hanno allegato, quanto alla loro legittimazione, argomenti sostanzialmente identici a quelli già esposti, ed hanno articolato tredici censure, corrispondenti in ordine logico ai seguenti nove motivi:

– con il primo di essi, corrispondente alla censura prima a p. 15 dell’atto e riferito alla sola delibera 11 marzo 2010 n°4, hanno premesso quanto risulta dalla più volte citata sentenza TAR Lombardia Brescia 10 dicembre 2008 n°1739, ovvero che il Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Cremona prevede nel proprio ambito tre tipologie di area industriale, ciascuna da disciplinare in base a competenze diverse: è sufficiente l’intervento del Comune, con gli strumenti pianificatori suoi propri, per le aree di interesse, appunto, soltanto comunale; si deve procedere in accordo fra i Comuni interessati e la Provincia stessa per i poli di interesse intercomunale; sono infine di competenza della Provincia e vengono individuati e gestiti in accordo con i Comuni interessati i poli industriali di interesse provinciale, che sono quelli insistenti su aree superiori ai 250.000 mq, e richiedono quindi una apposita previsione del Piano territoriale provinciale. Hanno poi ricordato che il Comune di Spinadesco, nella precedente versione del piano attuativo di che trattasi, quella adottata e approvata con le deliberazioni 3 aprile 2007 n°15 e 1 giugno 2007 n°30 della Giunta comunale, aveva ritenuto che fosse di propria competenza autorizzare il progetto di che trattasi con propri atti, ritenendolo ampliamento di un polo provinciale già esistente, ovvero del polo "Porto canale di Cremona", e quindi per definizione compatibile con il vigente PTCP. Hanno ancora ricordato che tali originarie delibere erano state annullate dalla sentenza 1739/2008 proprio in relazione a tale presupposto, poiché dagli elaborati del PTCP non si traeva conferma alla premessa, non risultando l’acciaieria A. ricompresa nel perimetro del polo provinciale citato. Ciò premesso, i ricorrenti danno atto che con successiva deliberazione della Giunta 3 febbraio 2009 n°56 la Provincia ha provveduto a riperimetrare il polo provinciale in questione e a includervi anche l’acciaieria; affermano però che in tal modo non si sarebbe in alcun modo soddisfatta l’esigenza a loro dire sussistente di una "pianificazione unitaria" (atto, p. 20 dodicesimo rigo) e che quindi il piano attuativo sarebbe per ciò solo viziato per eccesso di potere, per mancanza della necessaria pianificazione di livello superiore;

– con il secondo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 21 dell’atto e relativo anch’esso alla sola delibera 11 marzo 2010 n°4, deducono violazione dell’art. 22 delle N.T.A. del P.R.G. di Spinadesco, nella parte in cui esso non consente nelle aree interessate la localizzazione di impianti industriali soggetti per legge a VIA. In proposito, premettono in fatto ciò che è pure incontroverso, ovvero che presso la acciaieria A. esistono alcuni impianti autorizzati a suo tempo dopo favorevole esperimento della procedura di VIA statale, in particolare un impianto di inertizzazione dei fumi e una discarica per le polveri recuperate tramite detto processo; premettono ancora che l’intervento in parola andrebbe a interessare anche detti impianti, nel senso che lo stabilimento andrebbe comunque considerato come un tutto unitario inscindibile; concludono quindi che, trattandosi di intervenire su impianti sottoposti a VIA statale, sarebbe stato necessario procedere nello stesso modo, e quindi con una nuova VIA statale prevista per legge, e quindi che secondo l’art. 22 delle N.T.A. l’intervento non sarebbe autorizzabile;

– con il terzo motivo, corrispondente alla terza censura a p. 26 dell’atto, relativo sempre alla sola delibera 11 marzo 2010 n°4 e identico nei propri contenuti al nono motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti nel procedimento n°370/2009, deducono appunto violazione degli artt. 14 e 25 della citata l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12, perché il piano sarebbe stato approvato in mancanza della necessaria scheda tecnica;

– con il quarto motivo, corrispondente alle censure quarta a p. 28 dell’atto, quinta a p. 31, decima a p. 43, dodicesima a p. 48 e tredicesima prima parte a p. 49, e concernente tanto la delibera 11 marzo 2010 n°4 quanto i titoli edilizi, identificati con i permessi di costruire 1002 e 1003/2010 di cui in epigrafe (doc. ti 17 e 18 ricorrenti in ricorso 579/2010, copie di essi) deducono sotto vari profili una presunta violazione del disposto della sentenza di annullamento 1739/2008. In proposito, premettono che a loro dire non sarebbe corretto quanto affermato negli atti amministrativi in questione, ovvero che la sentenza avrebbe annullato il piano attuativo e i titoli edilizi precedenti solo per illegittimità derivata; in realtà, sempre a loro avviso, la sentenza in parola avrebbe proceduto ad un annullamento per vizi propri di tali atti, e in tal modo avrebbe precluso di rinnovare la procedura utilizzando, come fatto nella specie, gli atti della precedente istruttoria. I ricorrenti in particolare affermano che per approvare il nuovo piano e rilasciare i nuovi titoli (censure quinta e dodicesima) non si sarebbe potuta utilizzare la precedente convenzione urbanistica conclusa il 5 giugno 2007 con la A. (doc. 14 ricorrenti in ricorso 579/2010, copia di essa). Affermano ancora (censura decima) che per approvare il piano attuativo non si sarebbe potuta per la stessa ragione utilizzare la precedente valutazione di incidenza sui siti SIC della zona, resa con il decreto provinciale 1 febbraio 2007 n°218 (nel doc. 7 ricorrenti in ricorso 579/2010 vi è copia di essa). Affermano infine (censura tredicesima, prima parte) che per rilasciare i titoli edilizi non si sarebbero potuti nemmeno utilizzare i pareri precedentemente rilasciati;

– con il quinto motivo, corrispondente alle censure sesta a p. 31 dell’atto e tredicesima ultima parte a p. 51 dell’atto e relativo tanto alla delibera 11 marzo 2010 n°4 quanto ai titoli edilizi, deducono eccesso di potere per difetto di istruttoria. Il piano attuativo infatti sarebbe stato approvato senza considerare gli impianti tecnici che negli edifici da realizzare troveranno sede, e ciò ad avviso dei ricorrenti sarebbe stato necessario, anche perché si tratta di impianti in parte già realizzati. Identica mancata considerazione vizierebbe, sempre a dire dei ricorrenti, i titoli edilizi, anche sotto il profilo dell’omessa acquisizione del parere dell’ARPA in ordine agli impianti stessi e alle barriere acustiche;

– con il sesto motivo, corrispondente alla settima censura a p. 35 dell’atto e rivolto contro la deliberazione 11 marzo 2010 n°4, deducono ulteriore violazione dell’art. 22 delle N.T.A., in quanto il piano attuativo non motiverebbe in modo congruo la possibilità, accordata agli edifici in progetto, di superare il limite massimo di altezza di 20 metri fino a raggiungere i 60 metri per i camini;

– con il settimo motivo, corrispondente alla ottava censura a p. 38 dell’atto e rivolto contro la deliberazione 11 marzo 2010 n°4 deducono eccesso di potere per carenza di istruttoria, in quanto il piano attuativo non terrebbe in alcun conto i flussi di traffico indotti dal nuovo insediamento, in particolare rispetto al realizzando raccordo autostradale del "Terzo ponte", ovvero da Cavatigozzi e Spinadesco fino a Castelvetro Piacentino, escluso anche dalla considerazione del decreto valutativo dell’incidenza ambientale 218/2007 di cui si è detto;

– con l’ottavo motivo, corrispondente alla nona censura a p. 40 dell’atto e rivolto contro la deliberazione 11 marzo 2010 n°4, deducono violazione della D.G.R. Lombardia 8 agosto 2003 n°VII/14106 art. 2 commi 4 e 7, nel senso che, ove come nella specie un piano attuativo interessi un SIC, dovrebbero essere individuate le "modalità più opportune" di consultazione del pubblico in merito, consultazione nella specie omessa;

– con il nono motivo, corrispondente infine alla undecima censura a p. 44 dell’atto e rivolto sempre contro la deliberazione 11 marzo 2010 n°4, deducono ancora eccesso di potere per difetto di istruttoria per omessa considerazione della presenza nelle vicinanze dell’impianto di altri impianti industriali, a rischio di incidente rilevante, in particolare, come è incontestato, di due ditte che immagazzinano GPL e gas vari;

Con memorie 22 dicembre 2010 e 5 gennaio 2011, i ricorrenti hanno ribadito le proprie argomentazioni.

Hanno resistito al ricorso n°579/2010 il Comune di Spinadesco, con atto 22 giugno 2010 e memoria 12 gennaio 2011, il Comune di Cremona, con atto 3 agosto 2010, e la A.A., con atto 18 giugno 2010 e memoria 31 dicembre 2010. Tutti costoro:

– in via preliminare, hanno eccepito (cfr. memoria Comune Spinadesco 12 gennaio 2011 pp. 217) l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, con argomentazioni identiche a quelle già esposte per il ricorso 370/2009;

– sempre in via preliminare (memoria A. 31 dicembre 2010 p. 3), hanno eccepito l’inammissibilità dei motivi corrispondenti alle censure dall’ottava alla undecima, ovvero dei motivi quarto, settimo, ottavo e nono, in quanto inerenti non agli atti dichiaratamente impugnati quanto al decreto screening;

– nel merito, hanno sostenuto la legittimità degli atti impugnati.

La Sezione all’udienza del 26 gennaio 2011 fissata in prima battuta per il ricorso n°579/2010 e su rinvio, nei termini spiegati, della precedente udienza del 23 giugno 2010 per il ricorso n°370/2009, tratteneva da ultimo entrambe le cause in decisione, dopo che i difensori, rispettivamente, della Provincia di Cremona e del Coordinamento dei comitati rinunciavano il primo ai termini a difesa sugli ultimi motivi aggiunti, il secondo ad ogni eccezione sull’asserito tardivo deposito delle memorie nel ricorso n°579/2010.
Motivi della decisione

1. In via preliminare, i ricorsi vanno riuniti, in quanto connessi per oggetto e soggetti intimati ovvero controinteressati, dato che riguardano i vari atti amministrativi complessivamente necessari a realizzare l’intervento per il quale è causa.

2. Incominciando la disamina dal ricorso n°370/09, vanno allora in proposito respinte tutte le eccezioni preliminari proposte dalle parti intimate e dalla controinteressata. In ordine logico, risulta anzitutto infondata l’eccezione di inammissibilità per asserito difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, ovvero delle persone fisiche e del Coordinamento di cui in epigrafe.

3. Sotto il primo profilo, la legittimazione di un ente associativo -quale è il Coordinamento ambientalisti- a impugnare atti amministrativi incidenti sull’ambiente, vanno richiamati i principi ribaditi da giurisprudenza anche recente. In proposito infatti esiste anzitutto un criterio legale di legittimazione, quello che la attribuisce agli enti a carattere nazionale iscritti nell’apposito elenco tenuto dal Ministero dell’ambiente, ai sensi dell’art. 13 della l. 8 luglio 1986 n°349; tale criterio peraltro è non sostitutivo, ma aggiuntivo rispetto all’altro, secondo il quale, caso per caso, la legittimazione può essere riconosciuta "ad associazioni locali, indipendentemente dalla loro natura giuridica", le quali "perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso": in tali termini, per tutte, C.d.S. sez. IV 8 novembre 2010 n°7907; concorde anche, fra le recenti, C.d.S. sez. VI 13 settembre 2010 n°6554, in base all’ovvio rilievo secondo il quale "altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all’ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione, in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste espressamente legittimate per legge".

4. Nel caso di specie, per il Coordinamento ricorrente, che in via pacifica non è ricompreso nel citato elenco ministeriale, vale quanto già ritenuto da questo Giudice nella propria sentenza 10 dicembre 2008 n°1739 più volte citata, passata in giudicato, non appellata sul punto specifico, comunque -come pure si è detto- confermata da C.d.S. sez. V 26 agosto 2010 n°5950, e resa fra le medesime parti su diversi provvedimenti relativi al medesimo intervento. In tal sede (cfr. Par. 6 del "diritto") si è osservato che il Coordinamento in parola è un’associazione in certo senso di secondo grado, dato che si propone per statuto, prodotto nel relativo pregresso giudizio, di coordinare l’attività di associazioni già esistenti.

5. Si è ancora osservato (ibidem) che a semplice lettura dello statuto in questione, il fine del Coordinamento è in sintesi quello di proteggere l’ambiente lombardo; i requisiti di legittimazione ulteriori, della costituzione non occasionale e della adeguata rappresentatività, si sono poi ritenuti sussistere, per implicito ma in modo non equivoco, argomentando da quanto scrisse, senza essere sul punto contestata, la Regione Lombardia, ente preposto al massimo livello di tutela del territorio, nelle proprie difese dispiegate in quella sede, ovvero che i comitati ambientalisti sono stati sempre, a tutti i livelli di istruttoria, coinvolti nel procedimento relativo all’impianto di che trattasi.

6. Rimane allora valida la conclusione raggiunta nella sentenza in questione: se detti comitati furono riconosciuti come legittimi interlocutori nell’istruttoria amministrativa, se ne deve dedurre che si tratti di enti rappresentativi nel senso richiesto dalla giurisprudenza, e pertanto che sia rappresentativo anche l’ente che, senza suscitare opposizioni di sorta, ha dichiarato di costituirsi e di agire per coordinarne l’operato. Si può quindi escludere che si tratti di comitato sorto "in funzione della impugnazione di singoli atti e provvedimenti", caso in cui la relativa legittimazione è esclusa, così come ritenuto da C.d.S. sez. IV 19 febbraio 2010 n°1001.

7. A tale conclusione induce anche altro profilo, pure già valorizzato nella sentenza 1739/2008, ovvero che il principio di sussidiarietà orizzontale, vigente a livello di Unione europea e comunque introdotto nel nostro ordinamento in modo esplicito dalla riforma del titolo V parte II della Costituzione, conduce nel dubbio ad affermare, e non a negare, la legittimazione ad impugnare un provvedimento amministrativo da parte di una realtà rappresentativa di cittadini associati, in quanto si tratta di realtà che i pubblici poteri debbono promuovere, non ostacolare: così a suo tempo anche TAR Puglia Lecce 5 aprile 2005 n°1847 e Liguria 11 maggio 2004 n°747 e 18 marzo 2004 n°267, proprio con riferimento all’impugnazione di provvedimenti in materia ambientale.

8. Sotto il secondo profilo, la legittimazione ad impugnare i medesimi atti amministrativi incidenti sull’ambiente, stavolta in capo a semplici cittadini, si ritiene che essa sussista in base alla cd. "vicinitas", descritta in termini semplici da ultimo da C.d.S. sez. V 18 agosto 2010 n°5819 come "il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione del nuovo impianto".

9. Il requisito, come chiarito sempre dalla giurisprudenza, va poi inteso in modo congruo. Anzitutto, ove i ricorrenti asseriscano, come nel caso di specie, di essere residenti ovvero proprietari di immobili nella zona interessata, per superare tale deduzione è necessaria una "contestazione ragionevolmente specifica", né basta opporre "la mancanza di una prova rigorosa di quello stabile collegamento": così in motivazione C.d.S. sez. IV 7907/2010 cit., su un caso identico al presente di ricorso di un ente affiancato da cittadini. La conclusione va senza dubbio condivisa, aggiungendo che i registri della residenza e della proprietà immobiliare sono pubblici, e quindi una falsa affermazione in proposito si può agevolmente smentire in via diretta.

10. In secondo luogo, la zona interessata di cui si è detto va apprezzata in rapporto al carattere e alle dimensioni dell’intervento di cui si controverte, tenendo conto dei dati di comune esperienza, come ritenuto da C.d.S. sez. VI 6554/2010, citata. Si è in particolare osservato che, ove si tratti della realizzazione di un impianto astrattamente idoneo a incidere sulla salute degli abitanti di una porzione ampia di territorio -nel caso deciso, un termovalorizzatore- dedurre la semplice residenza sul posto è sufficiente a radicare la legittimazione, senza che ai ricorrenti si debba addossare "il gravoso onere della la prova dell’effettività del danno subendo, prova che, non potendo prescindere dall’effettiva realizzazione dell’impianto, finirebbe per svuotare di significato il principio costituzionale del diritto di difesa predicato dall’articolo 24 della Costituzione, rendendolo possibile solo allorquando il diritto alla salute ovvero all’ambiente salubre fossero già definitivamente ed irrimediabilmente compromessi o esposti a pericolo": così in motivazione C.d.S. sez. V 18 agosto 2010 n° 5819.

11. Nel caso di specie, allora, la legittimazione va riconosciuta in capo a tutte le persone fisiche ricorrenti, dato che, in termini generali, le controparti si sono limitate a una contestazione generica della loro qualità di residenti ovvero di proprietari immobiliari nella zona. Più in particolare va comunque aggiunto che la qualità di residenti e la conseguente legittimazione è accertata in via esclusiva base a tale criterio per i soli signori G.C., N.C., I.L.D., D.F., G.R., O.S., M.T. e A.Z..

12. Nella citata sentenza 1739/2008 di questo Giudice, passata come si è detto in giudicato e non appellata nemmeno sul punto in esame, la legittimazione è infatti stata già ritenuta per i signori S.S., G.A., G.B., R.C., G.F., A.D.G., G.G., F.L., D.P., M.T.P., R.R., A.C.R., M.S., L.A.S. e B.Z., già ricorrenti in quella sede. Da ultimo, i signori F.B., M.S., M.T. e C.T. hanno proposto anche il ricorso n°579/2010, e per essi vale in modo specifico quanto si dirà in proposito.

13. E’parimenti infondata l’altra eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso n°370/2009, fondata sulla presunta assoluta indeterminatezza dei motivi stessi, che, come risulta a loro semplice lettura, propongono invece censure specifiche nei confronti degli atti impugnati, che vanno valutate nel merito così come si vedrà.

14. Da ultimo, appare superata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva proposta dalla Provincia di Cremona, dato che comunque nei motivi aggiunti al medesimo ricorso n°370/2009 atti della stessa sono stati effettivamente impugnati, e quindi l’ente in questione è a pieno titolo presente nel processo.

15. Venendo al merito del ricorso principale nel procedimento 370/2009, di esso è infondato in fatto il primo motivo, incentrato sulla presunta violazione, da parte delle amministrazioni convenute, del disposto della sentenza 1739/2008 di questo TAR. A semplice lettura, la relativa motivazione ha infatti precisato che l’annullamento del primo decreto screening regionale avveniva per una serie di omissioni in esso contenute, e che per le stesse omissioni gli originari titoli edilizi si annullavano per illegittimità derivata. La motivazione stessa evidenziava infatti come il decreto non avesse detto in sostanza alcunché di preciso in merito all’impatto dell’intervento sui livelli di emissioni e di consumi attuali, all’impatto sulle limitrofe aree di interesse naturalistico -Parco del Po- Morbasco e SIC Spinadesco, all’impatto sul reticolo delle acque esistenti, al rapporto fra l’intervento stesso ed altri impianti aziendali già esistenti e soggetti per loro natura a VIA statale -in ispecie un impianto di inertizzazione dei fumi e una discarica per le polveri recuperate tramite detto processo, all’impatto sul traffico automobilistico in zona e da ultimo alle possibili interazioni fra l’intervento ed altri stabilimenti limitrofi, classificati come aree a rischio di incidente industriale rilevante, stabilimenti rappresentati dalla ABIBES S.p.a., che immagazzina gas di petrolio liquefatti, dalla SOL S.p.a., che pure tratta sostanze gassose, fra cui idrogeno, dalla Liquigas, e da un oleificio alimentare, tutti utilizzatori o produttori di sostanze altamente infiammabili (v. Par.Par. 14e 22 della sentenza citata).

16. Secondo logica quindi l’effetto confermativo dell’annullamento è consistito nel vincolare l’amministrazione a riesaminare la pratica facendosi esplicito carico dei suddetti profili, e ciò, come si vedrà meglio fra breve, è avvenuto, come risulta anche lettura del testo del nuovo provvedimento (doc. 1 ricorrenti in ricorso 370/09, cit.). Non è assolutamente possibile affermare che il decreto screening 534/2009 impugnato nella sede presente abbia riprodotto le omissioni del decreto precedente e sia quindi per ciò solo da annullare: il motivo va respinto, mentre lo scrutinio di legittimità va concentrato sul concreto modo in cui i profili già trascurati sono stati affrontati. Ciò conduce alla disamina dei restanti motivi di ricorso principale, che peraltro risultano a loro volta tutti infondati.

17. Il motivo secondo, centrato sulla presunta necessità ipso iure della VIA in quanto l’intervento si localizzerebbe all’interno di aree protetta, in tesi il citato Parco del Po- Morbasco e il SIC Spinadesco, è pure infondato in fatto. Il Collegio deve ricordare che la medesima questione era già stata trattata dalla propria sentenza 1739/2008, nella quale si legge (cfr. Par. 11 della motivazione) che lo stabilimento A., e ogni ampliamento di cui si discute nella sede presente, si trovano a circa 1200 metri dal confine del Parco e comunque all’esterno del SIC indicato: il punto non è stato oggetto di appello, né nella presente sede è stato dedotto alcun argomento in contrario.

18. E’ a sua volta infondato il motivo terzo, con il quale si valorizzano, in sintesi estrema, presunte lacune e illogicità del decreto screening impugnato, e si sostiene che comunque l’intervento per cui è causa si sarebbe dovuto comunque assoggettare a VIA per le sue concrete caratteristiche. In proposito, per maggior chiarezza, vanno richiamati la normativa e i principi giurisprudenziali applicabili alla fattispecie.

19. Sotto il profilo normativo, come è noto, la Valutazione di impatto ambientale, in sigla VIA, è l’istituto, già previsto dal D.P.R. 12 aprile 1996 ed ora dagli artt. 1924 del D. lgs. 3 aprile 2006 n°152, o T.U. ambiente mediante il quale, nella formula dell’art. 5 lettera b) del T.U. "vengono preventivamente individuati gli effetti sull’ambiente di un progetto". Detto istituto prevede, in sintesi, l’elaborazione di uno studio particolarmente complesso ed oneroso, che per tal ragione, come previsto dal legislatore nazionale in ossequio alla normativa uniforme europea, non è imposto indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di influenzare negativamente l’ambiente. Per taluni di essi, fra i quali rientra in astratto quello per cui è causa, è previsto infatti un procedimento a doppio stadio: nella prima fase, si compie appunto lo screening, ovvero nella terminologia dell’art. 5 lettera m) del T.U. la "verifica di assoggettabilità", che serve a "valutare, ove previsto, se progetti possono avere un impatto significativo e negativo sull’ambiente e devono essere sottoposti alla fase di valutazione"; la VIA poi si fa nella seconda fase, che è eventuale, ovvero ha luogo solo se lo screening conclude in tal senso.

20. Ciò posto, è di tutta evidenza che l’attività mediante la quale l’amministrazione provvede alle valutazioni poste alla base dello screening è connotata da discrezionalità tecnica, e quindi può essere sindacata nella presente sede giurisdizionale di legittimità nei limiti che la giurisprudenza ha in generale elaborato al riguardo. In proposito, è anzitutto costante l’affermazione di principio, ribadita da ultimo da C.d.S. sez. V 1 ottobre 2002 n°7262, per cui "il giudizio di discrezionalità tecnica, caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dalla opinabilità dell’esito della valutazione, sfugge al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti", precisandosi anzi che le illegittimità e incongruenze debbono essere "macroscopiche" e "manifeste", come si legge in motivazione di C.d.S. sez. V 17 maggio 2005 n°2460, proprio con riguardo al sindacato sulla VIA di un impianto industriale; conforme, sempre in tema di valutazioni di impatto ambientale, anche C.d.S. sez. VI 19 febbraio 2008 n°561.

21. Se il sindacato in tema di discrezionalità tecnica postula che nell’atto sia rinvenibile, in sintesi, una illogicità, è senz’altro conforme a logica, oltre che ai principi processuali, che sia la parte ricorrente a dover indicare in modo specifico in cosa tale illogicità consisterebbe, senza limitarsi a generiche contestazioni. In tal senso è la giurisprudenza, secondo la quale, in termini generali, è necessario che "il ricorrente supporti la propria domanda, allegando e dimostrando in giudizio tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa", e solo ove non vi riesca "per la sua posizione di disparità sostanziale con l’amministrazione" potrà chiedere che il giudice faccia ricorso al "metodo acquisitivo" della prova, fermo che anche in tal caso egli è soggetto a un "onere di principio di prova", nel senso che "è tenuto… a prospettare al giudice adito una ricostruzione attendibile sotto il profilo di fatto e giuridico delle circostanze addotte", ricostruzione rispetto alla quale il giudice potrà acquisire d’ufficio gli elementi rilevanti. In tali termini, sempre su questione tecnica, C.d.S. sez. VI 4 settembre 2007 n°4621, con argomentazione che appare tuttora valida alla luce dell’art. 64 comma 1 c.p.a., secondo il quale l’onere probatorio posto a carico delle parti si riferisce comunque agli elementi che "siano nella loro disponibilità".

22. Sempre secondo logica, sia la dimostrazione diretta dell’illogicità di un dato atto sia la prospettazione della possibilità di essa in termini attendibili vanno compiute in modo analitico e discorsivo, ovvero spiegando quali dovrebbero essere gli errori commessi e perché; non sarà invece sufficiente la mera allegazione apodittica di elementi di segno contrario a quelli valorizzati dall’amministrazione, quali pareri di esperti di propria fiducia e simili. In tal senso, sempre in termini generali, ad esempio C.d.S. sez. IV 5 agosto 2005 n°4196, per cui "il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica non può sfociare nella sostituzione dell’opinione del giudice, e a maggior ragione della parte, a quella espressa dall’organo amministrativo, ove tale opinione, pur se non condivisa sul piano soggettivo in dipendenza della fisiologica opinabilità che connota la interpretazione e applicazione di scienze non esatte, non venga considerata errata sul piano della tecnica".

23. Le considerazioni sin qui esposte, lo si dice per completezza, non sono poi contraddette dalla giurisprudenza europea e nazionale citata dai ricorrenti alle pp. 20 e 21 del ricorso principale, giurisprudenza che in sintesi si limita a ribadire il ruolo, e pertanto l’importanza, del procedimento di VIA, senza però indicare regole particolari alle quali il sindacato del Giudice in proposito dovrebbe soggiacere. Ciò è in particolare vero con riguardo al ruolo del principio di precauzione, che i ricorrenti invocano a loro favore alle pp. 2829 dell’atto, sostenendo che "il rischio è… ritenuto inaccettabile finché non sia dimostrato il contrario" (p. 29 quarto e quinto rigo), ovvero secondo logica che sussisterebbe una sorta di presunzione di impossibilità di realizzare interventi come quello per cui è causa. Tale interpretazione infatti non va condivisa.

24. Come è noto, il principio di precauzione, recepito dal Trattato dell’Unione europea e in precedenza dal Trattato comunitario, si fonda in termini giuridici sull’art. 15 della Dichiarazione di Rio del 1992, per cui "In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing costeffective measures to prevent environmental degradation.", il che in traduzione suona "Al fine di proteggere l’ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale".

25. Come è pure noto, il principio in questione ha dato luogo a dispute scientifiche, filosofiche e politiche sul suo effettivo valore, sembrando ad alcuni interpretabile in modo estremo; si è sostenuto infatti che infatti che esso equivarrebbe alla "prudenza imposta per legge", ovvero al divieto di utilizzare tutti i risultati della ricerca scientifica prima di esser certi della loro assoluta non pericolosità per l’ambiente; si è sostenuto poi che la certezza in merito non si potrebbe mai raggiungere, perché le verità scientifiche sono sempre come tali provvisorie e suscettibili di modifica.

26. Nella sede presente, va però sottolineato che tale lettura estrema del principio, quale che sia l’opinione intellettuale al riguardo che si ritenga di condividere, non è quella adottata dalla giurisprudenza europea e nazionale, che è invece prudente. Essa ha infatti sottolineato che "protective measures", ovvero "misure preventive", adottate in base al principio stesso e comprensive all’evidenza della proibizione preventiva di una certa attività "may not properly be based on a purely hypothetical approach to risk, founded on mere suppositions which are not yet scientifically verified", ovvero "non si possono fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici". L’enunciato è di Corte CE 9 settembre 2003 C236/01 Monsanto, ed è richiamato in modo esplicito, fra le molte, in Corte CE 5 febbraio 2004 C- 24/00 Commissione vs. Repubblica Francese; la stessa lettura è presupposta, nella giurisprudenza nazionale, ad esempio da TAR Lombardia Brescia 11 aprile 2005 n°304, TAR Campania Napoli 27 febbraio 2007 n°1231, TAR Veneto 24 febbraio 2004 n°396 e da ultimo C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2010 n°183. Ciò si giustifica anche osservando, con Cass. civ. 23 gennaio 2007 n°1391, relativa all’attività di un impianto che emetteva radiazioni elettromagnetiche, che le attività pericolose nel nostro ordinamento, se svolte entro date condizioni, sono lecite. Si ritorna quindi al punto già ribadito, la necessità di una dimostrazione discorsiva da parte del ricorrente, non limitata a mere allegazioni, di errori di apprezzamento compiuti dalla p.a.

27. Nel caso di specie, tale dimostrazione è mancata. Come già accennato, il decreto screening impugnato si fa carico in modo esplicito dei profili di valutazione omessi dal precedente decreto annullato. Il decreto stesso (doc. 1 ricorrenti in ricorso 370/09, cit.) consta di otto pagine a stampa dedicate al provvedimento in senso proprio, ovvero al dispositivo e al riassunto dei passaggi burocratici del procedimento, e di un "allegato tecnico" di trentadue pagine ulteriori, nelle quali sono affrontate tutte le tematiche la cui omissione aveva motivato l’annullamento del primo decreto. Nell’ordine: l’impatto dell’intervento sui livelli di emissioni e di consumi attuali è trattato in due distinti paragrafi alle pp. 13, 21 e 26 dell’allegato, ove viene valutato in modo espresso e giudicato congruo con prescrizioni il modello di simulazione proposto dalla A.., evidenziando l’effetto positivo indotto da un apposito dispositivo, la "torre di quenching", ovvero un impianto di rafferddamento dei fumi che evita la formazione di diossine. Quanto all’impatto sulle limitrofe aree di interesse naturalistico -Parco del Po- Morbasco e SIC Spinadesco, c’è un apposito paragrafo a p. 18, che viene a concludere una attenta ricognizione della morfologia dell’area, che considera anche l’impatto sul reticolo delle acque esistenti, descritte alle pp. 1718 e considerate sotto il profilo indicato alle pp. 25 e 28. Il rapporto fra l’intervento stesso ed altri impianti aziendali già esistenti e soggetti per loro natura a VIA statale -in ispecie un impianto di inertizzazione dei fumi e una discarica per le polveri recuperate tramite detto processo- è poi trattato alle pp. 8 e ss., ove si prevede, in sintesi, che l’ampliamento non andrà a interessarli; il punto, oggetto di specifica istruttoria, è stato confermato dalla relazione della p.a. 5 agosto 2009, ove si spiega, in sintesi, che l’impianto aziendale funziona solo come impianto di emergenza per trattare le polveri che, per ragioni eccezionali, non possano essere conferite a impianti esterni, tanto che dal 2006 non è stato utilizzato. L’impatto sul traffico automobilistico in zona è poi trattato alle pp. 15 e 25 e da ultimo le possibili interazioni fra l’intervento ed altri stabilimenti limitrofi, classificati come aree a rischio di incidente industriale rilevante, sono considerate alle pp. 19, 26 e 30: in sintesi, si afferma che l’acciaieria non sarebbe interessata nemmeno da un "flash fire", ovvero da un’esplosione catastrofica del GPL immagazzinato presso la ABIBES, massimo evento prevedibile, per il quale oltretutto il piano di emergenza della Prefettura individua come luogo sicuro di evacuazione proprio il piazzale dell’acciaieria.

28. A fronte di ciò, il ricorso principale si limita ad una serie di critiche generiche, e afferma che tutto ciò sarebbe "mera formula di stile" (p. 36 quartultimo rigo), senza però spiegare quali errori l’amministrazione avrebbe commesso e in rapporto a quali elementi, e in rapporto a ciò il sindacato del Giudice non è possibile, perché si tradurrebbe in una non consentita riedizione da parte dello stesso dell’attività amministrativa di che trattasi.

29. Non sono invece condivisibili le uniche censure specifiche che i ricorrenti muovono, quelle per cui da un lato l’amministrazione si sarebbe contraddetta, perché avrebbe imposto la VIA per un intervento "di assai minor momento sotto ogni profilo" (p. 31 ricorso, sestultimo rigo), ovvero per l’ampliamento di un allevamento di suini; dall’altro avrebbe comunque errato ad espletare le proprie valutazioni circa un impianto ormai già in esercizio, anche perché "l’attuale esercizio" costituirebbe "reato essendo stati annullati dal Giudice amministrativo tutti i titoli abilitativi" e comunque illecito che lo Stato dovrebbe eliminare (p. 30 ricorso, in part. terzo e quinto rigo).

30. Circa il primo punto, occorre rilevare che, con valutazione espressa dal legislatore la cui ragionevolezza non è stata messa in discussione in questa sede, gli allevamenti suinicoli sono inseriti fra gli impianti per i quali, anche in ampliamento, è di regola necessaria la VIA, essendo previsto lo screening solo per strutture di minore importanza, come previsto dal T.U ambiente agli allegati III lettere ac) e ag) e IV lettera c). Circa il secondo punto, si può solo osservare che, come più volte fin qui ribadito, l’annullamento disposto con la sentenza 1739/2008 non ha avuto l’effetto né di imporre l’espletamento della VIA, né tantomeno di precludere l’intervento, ma solo quello di imporre un riesame della fattispecie, che fisiologicamente si è svolto sulla situazione di fatto già prodottasi in modo legittimo in esecuzione dei provvedimenti annullati, che, va ricordato, non sono mai stati precedentemente sospesi.

31. E’parimenti infondato il quarto ed ultimo motivo del ricorso principale nel procedimento 370/2009, in base al semplice rilievo per cui né il T.U. 6 giugno 2001 n°380 né alcuna altra norma precludono ad un Comune di rilasciare il titolo edilizio abilitativo pertinente ad una costruzione sita sul proprio territorio per il solo fatto che la costruzione stessa fa parte di un più ampio compendio sito anche nel territorio di altro Comune, e ciò non a caso, perché delle esigenze di coordinamento in proposito si fanno carico i piani urbanistici di livello superiore a quello comunale.

32. Quanto appena esposto conduce a respingere anche il primo ricorso per motivi aggiunti, rivolto come si è detto specificamente contro il provvedimento 9 febbraio 2009 prot. n°6805 del Direttore del Settore gestione territorio e sviluppo economico – Sportello unico per le imprese e l’edilizia del Comune di Cremona, confermativo dei titoli edilizi rilasciati da quell’ente. In ordine logico, va anzitutto respinto il motivo imperniato sulla presunta violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n°241, ovvero sull’omissione rispetto ai ricorrenti dell’avviso di inizio del procedimento. Va infatti condiviso quanto affermato dalla giurisprudenza, in particolare da C.d.S. sez. VI 28 febbraio 2006 n°889, per cui nessuna norma speciale prevede l’obbligo dell’amministrazione di dare avviso ad altri" della pendenza del procedimento di rilascio di un permesso di costruire, ovvero di una autorizzazione in senso ampio di altro tipo, "né tale obbligo discende dall’art. 7, in considerazione della impossibilità di determinare i soggetti che potrebbero ricevere nocumento dall’accoglimento dell’istanza".

33. La reiezione del ricorso principale comporta poi che si respingano i medesimi motivi riproposti nel primo ricorso per motivi aggiunti come censure di illegittimità derivata; la chiara infondatezza di tale ricorso nel merito esime poi dal valutare l’eccezione preliminare di sua irricevibilità perché tardivo proposta dal Comune così come detto in narrativa.

34. Parimenti, risulta infondato nel merito anche il secondo ricorso per motivi aggiunti nel procedimento 370/2009, rivolto come si è detto in primo luogo avverso il decreto 22 marzo 2010 n°184, col quale il competente ufficio della Provincia di Cremona ha rilasciato l’AIA afferente all’impianto. In dettaglio, è infondata l’identica eccezione preliminare di inammissibilità dedotta dalla Provincia e dal Comune di Spinadesco sia nel secondo che nel terzo ricorso per motivi aggiunti, e fondata sul rilievo per cui tali ricorsi sarebbero rivolti avverso atti eterogenei. Come si vedrà meglio trattando del quinto motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti, infatti, l’assunto dei ricorrenti è quello, di segno opposto, per cui invece tali atti risponderebbero ad un disegno unitario: ciò a livello di prospettazione è sufficiente a radicare l’interesse a ricorrere, salva naturalmente la verifica della veridicità o no dell’assunto, che appartiene al merito.

35. Le considerazioni di cui ai Par.Par. 32 e 33 che precedono portano poi a respingere i primi due motivi dedotti: il primo ripropone come censure di illegittimità derivata tutti i motivi già dedotti con il ricorso principale e con il primo atto di motivi aggiunti; il secondo riproduce il motivo del primo atto di motivi aggiunti incentrato sull’omissione dell’avviso di inizio del procedimento.

36. Il terzo e il quarto motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti sono a loro volta infondati, e vanno esaminati in via congiunta perché fondati sul medesimo ordine di idee. Assumono infatti i ricorrenti che, una volta riesercitato da parte della Regione il potere di valutare se l’impianto dovesse o no essere sottoposto a VIA, il che nella specie ha portato al nuovo decreto screening, non si sarebbero comunque potuti utilizzare, nel prosieguo dell’iter di autorizzazione dell’impianto stesso, né l’originario allegato tecnico all’AIA né gli originari titoli edilizi già rilasciati, ovvero, più propriamente, i risultati dell’istruttoria tecnica che aveva portato a emetterli.

37. Tale assunto è infondato in fatto, come si ricava, ancora una volta, a semplice lettura della sentenza 1739/2008 di annullamento dell’originario decreto screening, in particolare dei Par.Par. 2022 della motivazione. Tale sentenza ha infatti annullato sia l’originaria AIA sia gli originari titoli edilizi per illegittimità derivata. In parole semplici, tale sentenza ha annullato il decreto screening originario per non aver chiarito in modo esauriente se per autorizzare l’intervento fosse necessaria o no la VIA; secondo logica, quindi, da un lato non poteva non annullare anche l’AIA e i titoli edilizi, emessi invece sul presupposto positivo che la VIA non fosse necessaria; dall’altro lato per tal motivo nemmeno poteva scendere all’esame di eventuali vizi propri di tali atti.

38. Nel presente processo, però, il presupposto logico che ha condotto a caducare l’AIA e i titoli edilizi originari è venuto meno, dato che sono stati respinti i motivi dedotti avverso il nuovo decreto screening e si è quindi ritenuta corretta l’originaria scelta della p.a. di non richiedere la VIA. Non vi è a questo punto alcun ostacolo di principio ad utilizzare per il nuovo rilascio dell’AIA e dei titoli in questione i risultati dell’originaria istruttoria, che muoveva appunto dalla non necessità della VIA, salvi naturalmente vizi propri degli atti in parola, dei quali subito appresso.

39. Il quinto motivo di ricorso postula una premessa in fatto. Come si è detto anche in narrativa ed è comunque pacifico in causa, nella zona di Cremona- Spinadesco la A. S.p.a. è titolare di due stabilimenti: il primo è l’acciaieria da ampliare; il secondo è un impianto di zincatura, che, come noto dalla comune esperienza, rifinisce i nastri di acciaio – coils- con un rivestimento appunto di zinco, e li rende idonei ad impieghi particolari, nei quali sono esposti ad un livello di umidità che deteriorerebbe il semplice acciaio. Anche per tale ultimo impianto la A. ha programmato un ampliamento, autorizzato con un suo proprio decreto screening, 27 marzo 2008 n°3015 che ha escluso la necessità di VIA e, come si è detto, non consta impugnato, e con una sua propria AIA, decreto provinciale 27 maggio 2010 n°544.

40. I ricorrenti, come si è detto, hanno impugnato quest’ultimo decreto, unitamente all’AIA concernente l’ampliamento dell’acciaieria, sul presupposto che i due impianti costituirebbero in realtà un tutto unitario, che avrebbe dovuto essere considerato pure in via unitaria ai fini del rilascio dell’AIA, e quindi, secondo logica, assoggettato a prescrizioni più gravose, o comunque diverse, da quelle adottate.

41. L’assunto però non va condiviso, e porta a respingere il motivo in esame. In materia di AIA, la normativa applicabile, di attuazione di una direttiva europea, era, ratione temporis, quella del d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59, abrogato dal d.lgs. 29 giugno 2010 n°128, che peraltro contiene norme di identico contenuto. Ai sensi dell’art. 1 comma 2 del decreto applicabile, l’AIA si rilascia quindi per gli "impianti di cui all’allegato I"; cosa sia un "impianto" è poi spiegato dal successivo art. 2 comma 1 lettera c), che lo definisce come "l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I e qualsiasi altra attività accessoria, che siano tecnicamente connesse con le attività svolte nel luogo suddetto e possano influire sulle emissioni e sull’inquinamento". Il principio, logico prima che giuridico, è quindi che per ogni "impianto" serva una distinta AIA, e che il concetto di impianto sia essenzialmente oggettivo e tecnico, non dipenda quindi dalla volontà di chi lo gestisce, il quale potrebbe, per le più varie ragioni, denominare unico impianto un complesso in realtà costituito da impianti diversi, e all’incontro voler separare attraverso distinte denominazioni una realtà tecnica unitaria.

42. La giurisprudenza del Consiglio di Stato in proposito ha avuto poi modo di chiarire che il singolo impianto è individuato dalla sua autonomia tecnica, ovvero dalla sua possibilità di funzionare ed essere utilizzato in via autonoma, a prescindere dal vincolo teleologico con impianti in qualche modo complementari: ciò è stato affermato in materia di sottoposizione a VIA, ma il principio è all’evidenza valido anche per il caso in esame, dato che la VIA positiva è presupposto del rilascio dell’AIA, ed è infatti applicato al rilascio di tale atto da TAR Emilia Romagna Bologna sez. I 26 novembre 2007 n°3365. Sul punto, si vedano in particolare C.d.S. sez. IV 11 maggio 2010 n°2825 e sez. VI 22 novembre 2006 n°6831, con riguardo ad un metanodotto terrestre connesso ad un impianto marino di rigassificazione, ma capace di trasportare gas proveniente anche da altre fonti, e C.d.S. sez. VI 16 marzo 2005 n°1102, relativa alle dighe foranee e alle dighe mobili che nel loro insieme costituiscono il cd. progetto MOSE di difesa della laguna veneta dalle alte maree, ma possono funzionare le une indipendentemente dalle altre.

43. Applicando tale principio al caso di specie, è allora evidente che un impianto di zincatura è del tutto autonomo da una acciaieria, dato che svolge, come si è detto, una attività di rifinitura del prodotto base di essa, ma lo può ricevere da qualsivoglia fornitore, appartenente o no al proprio titolare, in altre parole può lavorare sia per conto del proprio gruppo sia in conto terzi. Non vi è allora necessità alcuna che l’AIA relativa consideri in via unitaria tanto l’impianto di zincatura quanto l’acciaieria, a meno di situazioni particolari, che nella specie non sono state nemmeno allegate.

44. Proseguendo nella disamina, il sesto motivo è infondato perché presuppone una lettura errata della normativa vigente. Riferendosi alle norme applicabili ratione temporis, il d. lgs. 59/2005 prevede, come si è detto, l’AIA per gli impianti di cui al proprio allegato I, che considera distintamente da un lato gli impianti di "produzione e trasformazione dei metalli" (Par. 2) e fra essi gli "impianti di produzione di ghisa o acciaio (fusione primaria o secondaria)" (Par. 2.2.); dall’altro gli impianti di "gestione dei rifiuti" (Par. 5) e fra essi gli "impianti di incenerimento dei rifiuti urbani" (Par. 5.2). Di questi ultimi si occupa poi in modo specifico il d. lgs. 11 maggio 2005 n°133, tuttora in vigore, che definisce appunto l’impianto di incenerimento all’art. 2 comma 1 lettera d) come "qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione" e l’impianto di coincenerimento all’art. 2 comma 1 lettera e) come "qualsiasi impianto, fisso o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizza rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento".

45. Si tratta quindi di realtà eterogenee sia sotto il profilo normativo, dato che sono previste da norme diverse, sia sotto il profilo della comune logica, dato che altro è un’acciaieria di seconda fusione, che utilizza i rottami come materia prima per trasformarli in un prodotto da vendere, e altro è un inceneritore di rifiuti, che è volto a distruggerli senza nulla da essi ricavare, ovvero, nel caso di impianto di coincenerimento, li utilizza come combustibile per realizzare un diverso prodotto. La pretesa di imporre all’esercizio della prima i limiti di emissioni validi per i secondi non è quindi giustificata dalle norme vigenti: la contraria opinione espressa nella relazione Caldiroli prodotta dalle parti, di cui si è detto in narrativa, non è quindi valorizzabile nella sede presente, omessa ogni valutazione sul suo pregio scientifico.

46. Il settimo motivo di ricorso è infondato in fatto. Sotto il primo dei due profili che esso involve, va osservato che la presunta mancata considerazione del parere del Comune di Cremona nel decreto AIA relativo all’acciaieria è frutto di una, invero contestabile, interpretazione dei ricorrenti. A lettura degli atti della conferenza di servizi, risulta infatti che in sede di riunione il 17 marzo 2010, nel procedimento per il rilascio dell’AIA relativa all’acciaieria, il Comune di Cremona ha dato atto che il limite alle emissioni andava riferito agli impianti di maggiore importanza, ovvero ai "forni fusori", che più polveri emettono (doc. 1.3 ricorrenti allegato all’elenco 22 luglio 2010 p. 3 quarto paragrafo), né altre specifiche censure sul punto sono state formulate. Sotto il secondo profilo, è poi logico sostenere che i limiti di immissione sonora consentiti dall’AIA in difetto di espressa previsione sono automaticamente quelli di legge, e comunque si osserva (v. doc. 1.3 cit. ultima pagina) che specifiche opere di mitigazione sono previste. E’ poi solo per completezza che si osserva come problematiche sui due punti citati non emergano dal verbale 25 maggio 2010 della conferenza di servizi relativa all’impianto di zincatura (doc. 6 ricorrenti allegato all’elenco 22 luglio 2010, copia verbale citato).

47. Ancora, poggia su un ordine di idee non condivisibile il motivo ottavo, che assume un’equivalenza fra parere negativo e parere con prescrizioni che non è nell’ordinamento. Vale in proposito il principio sostenuto, fra le altre, da C.d.S. sez. V 5 gennaio 2004 n°1, relativa proprio ad un parere di compatibilità ambientale: parere con prescrizioni significa non inidoneità del progetto ad essere positivamente valutato, ma progetto che in sé è accettabile, ma che secondo l’amministrazione consulente si presta ad essere ulteriormente migliorato: "Ne consegue che il ricorso allo strumento delle "prescrizioni" non può essere visto come sintomatico di un progetto incompatibile con l’ambiente".

48. Il nono motivo va a sua volta respinto poiché, come da giurisprudenza della Sezione, sentenza 27 dicembre 2007 n°1372 correttamente citata nel parallelo ricorso 579/2010, la scheda informativa di cui si ragiona non è comunque prevista a pena di illegittimità.

49. Da ultimo, il decimo motivo va respinto per considerazioni identiche a quelle svolte nel Par. 31 che precede, cui comunque si rinvia, ribadendo che nel vigente ordinamento ciascun Comune è abilitato ad assentire le costruzioni che debbono insistere sul proprio territorio.

50. La disamina del procedimento 370/2009 va conclusa con lo scrutinio del terzo ed ultimo ricorso per motivi aggiunti, anch’esso infondato nel merito per le ragioni che seguono, mentre l’eccezione preliminare dedotta in proposito è già stata esaminata e respinta al precedente Par. 34. In dettaglio, il primo motivo, che ripropone come censure di illegittimità derivata quelle sin qui valorizzate, va respinto in dipendenza dalla reiezione delle stesse; il secondo motivo, relativo all’omissione dell’avviso di inizio del procedimento va pure respinto per le ragioni già indicate al precedente Par. 32, cui si rinvia.

51. Il terzo motivo, inerente al superamento del termine previsto dalla legge per il rilascio del permesso di costruire in variante relativo all’impianto di zincatura, va a sua volta respinto, dato che per costante giurisprudenza, per tutte Cass. sez. lav. 24 aprile 1987 n°4009, i termini stabiliti dalla legge in difetto di diversa previsione, qui non riscontrabile, sono comunque ordinatori.

52. In ordine al quarto motivo del terzo ricorso per motivi aggiunti, si deve poi argomentare in base a quanto affermato in generale ai Par.Par. 2326 che precedono. Per affermare l’illegittimità di un atto amministrativo sotto il profilo della inesatta o incompleta considerazione della conseguenze sull’ambiente dell’attività che esso autorizza, è infatti necessaria una dimostrazione discorsiva, che secondo i requisiti minimi del metodo scientifico deve per lo meno indicare un possibile percorso causale, definito da leggi scientifiche, fra gli effetti dell’atto e le sue presunte conseguenze pregiudizievoli. In tal senso, quindi, non è sufficiente giustapporre l’atto stesso a fenomeni di una qualche pericolosità, magari suscettibili di impressionare il pubblico in misura notevole, e limitarsi ad asserire che questo sarebbe la causa di quelli, come è invece avvenuto nel caso presente. I ricorrenti hanno infatti accostato il rilascio del permesso di costruire di che trattasi -si noti, relativo non all’acciaieria, ma al distinto impianto di zincatura- ad una asserita anomala mortalità per tumore nella zona, ma non hanno in alcun modo spiegato perché fra i due elementi vi sarebbe un rapporto di causa ad effetto.

53. La reiezione delle domande di annullamento comporta infine la reiezione anche della domanda risarcitoria.

54. Si procede ora all’esame del ricorso 579/2010, nel quale è anzitutto infondata l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione proposta dalle controparti. In proposito, vanno ripetuti gli argomenti di carattere generale di cui sopra ai Par.Par. 210, e va aggiunto che nel caso di specie i ricorrenti persone fisiche hanno avuto cura di dimostrare, mediante produzione di certificati ovvero di una relazione tecnica, la loro residenza sul posto ovvero la loro proprietà di immobili (doc. ti ricorrenti 9, 11, 12 e 13 allegati all’elenco 16 dicembre 2010).

55. La seconda eccezione preliminare, per cui taluni dei motivi dedotti sarebbero inammissibili, in quanto riguarderebbero vizi propri del decreto screening, e quindi si sarebbero dovuti proporre mediante tempestiva impugnazione dello stesso, è poi infondata limitatamente ai motivi quarto e ottavo, che, come risulta a loro semplice lettura, deducono in via diretta asseriti vizi degli atti impugnati; l’eccezione stessa risulta invece fondata, come si vedrà a suo luogo, rispetto agli altri motivi in rapporto ai quali è stata formulata.

56. Nel merito, è infondato il primo motivo, secondo il quale, in sintesi, il piano attuativo impugnato sarebbe viziato per mancanza della necessaria pianificazione di livello superiore. Occorre ricordare – e sul punto la ricostruzione dei ricorrenti risponde solo in parte al vero- che la più volte citata sentenza 1739/2008 di questo TAR ebbe ad annullare l’originaria versione di detto piano attuativo comunale per un motivo riportabile, in sostanza, ad un vizio di incompetenza (Par. 27 della motivazione).

57. Tale sentenza, infatti, aveva anzitutto ricostruito la normativa vigente, che non consta modificata, nella Provincia di Cremona in tema di poli industriali. Più in dettaglio, come accennato in premesse, tale sentenza aveva accertato come il Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Cremona prevedesse nel proprio ambito tre tipologie di area industriale, ciascuna da disciplinare in base a competenze diverse: competenza del Comune, con gli strumenti pianificatori suoi propri, per le aree di interesse, appunto, soltanto comunale; competenza ripartita fra i Comuni interessati e la Provincia stessa per i poli di interesse intercomunale; competenza della sola Provincia per i poli industriali di interesse provinciale, ovvero quelli insistenti su aree superiori ai 250.000 mq, soggetti ad una apposita previsione del Piano territoriale provinciale stesso (Par. 23 della motivazione).

58. Sempre la sentenza 1739/2008 aveva poi osservato come il complesso A., che come è pacifico sorge su un’area di circa 480.000 mq, si sarebbe in astratto dovuto classificare polo di interesse provinciale, soggetto come tale ad un adeguamento del PTCP; fosse stato però autorizzato, mediante il piano, dal solo Comune di Spinadesco in quanto ritenuto ampliamento di un polo provinciale già esistente, ovvero del polo "Porto canale di Cremona", e quindi per definizione compatibile con il vigente PTCP (Par. 24 della motivazione).

59. La sentenza 1739/2008 aveva però annullato il piano per mancata dimostrazione di tale fondamentale presupposto, essendo emerso in corso di causa che la perimetrazione di detto polo, negli elaborati del PTCP, lo limitava al solo Comune di Cremona, e quindi secondo logica ne escludeva la acciaieria A., che sorge sia in tale Comune sia nel confinante Comune di Spinadesco (Par. 26 della motivazione).

60. A tale vizio, la competente Autorità provinciale ha ritenuto di porre rimedio nei termini spiegati in narrativa: con successiva deliberazione della Giunta 3 febbraio 2009 n°56, ha provveduto a riperimetrare il polo provinciale in questione e a includervi anche l’acciaieria, ritenendo che gli elaborati precedentemente predisposti contenessero, in buona sostanza, un errore materiale.

61. Interessa ora evidenziare che la citata delibera di Giunta 36/2009 non consta impugnata, ed è quindi divenuta inoppugnabile: la correttezza della scelta compiuta dalla Provincia in proposito non è quindi sindacabile nella sede presente, ma deve essere presupposta. Ne segue, come logica conseguenza, che deve essere ritenuta la competenza del Comune di Spinadesco a disciplinare esclusivamente col proprio piano attuativo un ampliamento che, a norma del PTCP vigente, deve essere considerato come semplice intervento su un polo provinciale già previsto. In tal senso, le esigenze di considerazione unitaria dell’impianto A. e delle altre realtà industriali limitrofe sono soddisfatte nei termini previsti dalle norme, né è possibile sostenere che tale considerazione sarebbe comunque inadeguata in base ad argomenti extragiuridici.

62. Il secondo motivo di ricorso, nel quale si sostiene che l’intervento di che trattasi non sarebbe stato assentibile dal Comune anche per un’altra ragione, ovvero perché relativo ad un impianto soggetto a VIA è pure infondato. La questione dell’assoggettabilità o no dell’intervento in parola alla VIA è infatti già stata affrontata e risolta dall’amministrazione a ciò competente, ovvero dalla Regione, attraverso il decreto screening 26 gennaio 2009 n°534, che come si è visto ha resistito alle censure di legittimità che gli sono state mosse. La questione stessa deve quindi ritenersi risolta nel senso definitivo per cui la VIA nella specie non è necessaria, ed è evidente come tale valutazione non possa essere duplicata dal Comune in sede di pianificazione urbanistica, ma debba essere tenuta per presupposta, a pena di una violazione dell’ordine delle competenze stabilito dalla legge.

63. Il terzo motivo di ricorso, che come si è detto in narrativa riproduce il nono motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti nel procedimento n°370/2009, va respinto per le medesime considerazioni svolte a tal proposito al precedente Par. 48.

64. Analogo discorso va svolto a proposito del quarto motivo, incentrato sulla presunta impossibilità del "recupero" dell’istruttoria svolta per emanare gli atti annullati con la sentenza 1739/2008: vale quanto detto ai precedenti Par.Par. 3638.

65. Il quinto motivo è a sua volta infondato perché, come è previsto pacificamente da tutte le norme in materia, in particolare dal T.U. 380/2001, i titoli abilitativi in materia edilizia sono rilasciati con riguardo alla compatibilità con le norme vigenti dell’immobile considerato in quanto tale; per quanto concerne l’uso che se ne andrà a fare, considerano poi la semplice sua appartenenza ad una categoria – ad esempio, immobile abitativo, ovvero industriale- ma all’interno di tale categoria si disinteressano dell’uso specifico che dell’immobile stesso verrà fatto, ad esempio attraverso l’installazione nello stesso di una data impiantistica. E ciò a ragione, dato che la compatibilità con le norme vigenti di tale uso è valutata in altre sedi, nel caso presente in particolare in sede di rilascio dell’AIA.

66. Il motivo sesto, per quanto lo riguarda, è invece infondato in fatto: la ragione per cui il piano attuativo ha ritenuto di autorizzare in deroga la realizzazione di ciminiere dell’altezza di 60 metri è evidente se solo si considera il progetto nella sua interezza, che ha previsto tali dispositivi proprio per contenere entro i limiti consentiti la concentrazione di inquinanti nell’atmosfera, con scelta il cui valore in rapporto all’interesse pubblico alla salute dei cittadini appare non discutibile.

67. I motivi settimo e nono, relativi alla mancata considerazione da parte del piano attuativo degli effetti dell’intervento sul traffico e della sua possibile interazione con l’attività delle industrie vicinanti, vanno esaminati in via congiunta in quanto risultano entrambi inammissibili per la ragione cui già si è accennato: si tratta di profili che sono già stati valutati dal decreto screening, e che non possono essere rimessi in discussione nella sede presente.

68. Da ultimo, è infondato il motivo ottavo, centrato sulla presunta omessa consultazione del pubblico ai sensi della D.G.R. Lombardia 8 agosto 2003 n°VII/14106 art. 2 commi 4 e 7, trattandosi di progetto che interessa un SIC. La norma citata, infatti, non prevede alcuna precisa modalità in base alla quale la consultazione del pubblico dovrebbe avvenire, ma si limita a demandare all’autorità competente all’approvazione del piano, e quindi nella specie al Comune, di individuare le "modalità più opportune" a tal fine. Nella specie, il Comune ha ritenuto di sottoporre il piano di che trattasi alla normale procedura di approvazione, che prevede come tale la possibilità per i cittadini di prendere visione dei contenuti di piano e di presentare le proprie osservazioni (v. doc. 2 ricorrenti allegato all’elenco 11 giugno 2010: a p. 2 si dà atto della pubblicità cui è stato sottoposto il piano): deve allora ritenersi che lo scopo della norma sia stato raggiunto.

69. In conclusione, tutte le domande proposte dai ricorrenti in entrambi i procedimenti riuniti vanno respinte; la qualità e complessità delle questioni decise è peraltro giusto motivo per compensare le spese, rimanendo come per legge l’importo del contributo unificato a carico dei ricorrenti che lo hanno anticipato, in quanto soccombenti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sui ricorsi di cui in epigrafe, li riunisce e così provvede:

a) respinge i ricorsi;

b) compensa per intero le spese di lite fra le parti, rimanendo il contributo unificato a carico definitivo di coloro che lo hanno anticipato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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