CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – 23 giugno 2010, n. 15223. In materia di cessione del credito.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. Col primo motivo la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 102, 167 e 182 c.p.c., nonché vizi di motivazione del provvedimento impugnato, ripropone l’eccezione di non integrità del contraddittorio nel giudizio di primo grado, derivante dal fatto che non tutti gli eredi del defunto sig. Onofrio B. ebbero a parteciparvi essendo stato il decreto ingiuntivo emesso solo nei confronti di alcuni di essi.
La ricorrente afferma di aver prodotto, con l’atto d’appello, copia della denuncia di successione dalla quale si sarebbe ben potuto ricavare chi fossero gli eredi pretermessi, e sostiene che, se la corte d’appello non ha rinvenuto tale documento in atti al momento della decisione, ciò è probabilmente dipeso da un disguido di cancelleria, sicché il giudice avrebbe dovuto rimettere la causa sul ruolo per consentire la ricostruzione del fascicolo di parte.
1.1. La riferita doglianza, prima ancora che infondata, appare inammissibile.
Essa si basa su una mera congettura – lo smarrimento del documento a cagione di un disguido verificatosi in cancelleria – del tutto priva di elementi di riscontro, e quindi non tale da poter superare il fatto decisivo posto in luce dall’impugnata sentenza, secondo cui non v’era in atti al momento della decisione documentazione alcuna che valesse a dimostrare chi fossero gli eredi di cui si lamentava la mancata partecipazione al giudizio.
La prospettazione del ricorso non tiene poi conto in alcun modo di un’ulteriore ed altrettanto decisiva ratio decidendi posta a base dell’impugnata sentenza: la quale ha reputato comunque non sussistente una situazione di litisconsorzio necessario tra i coeredi, per ciò stesso escludendo il presupposto della richiesta integrazione del contraddittorio. Questa seconda ratio dedicendi, autonoma rispetto alla prima e da sola sufficiente a sorreggere la conclusione cui il giudice di merito è pervenuto, non è in alcun modo censurata dalla ricorrente, il che basta a rendere inammissibile il motivo di ricorso in esame.
2. Il secondo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata, oltre che per difetti di motivazione, per violazione degli artt. 1198 e 1267 c.c.
La ricorrente sottolinea come, se pur si voglia ritenere che la cessione di credito effettuata dalla società correntista in favore della banca fosse pro solvendo, sarebbe stato nondimeno onere della banca medesima agire per la riscossione del credito ceduto prima di escutere la cedente ed i fideiussori di questa.
2.1. La doglianza coglie nel segno.
La corte palermitana ha affermato che la cessione di credito dalla correntista in favore della banca è stata operata pro solvendo. Ne ha dedotto che essa non vale ad estinguere il credito del cedente, in difetto di prova dell’avvenuto pagamento da parte del debitore ceduto, senza alcun onere di previa escussione di quest’ultimo.
Siffatto rilievo non è però condivisibile e si pone in contrasto con l’orientamento più volte affermato da questa corte, la quale ha invece affermato che, in caso di cessione del credito in luogo dell’adempimento (art. 1198 c.c.), grava sul cessionario, che agisca nei confronti del cedente, dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto, cioè che vi è stata infruttuosa escussione di quest’ultimo e che la mancata realizzazione del credito per totale o parziale insolvenza del debitore ceduto non è dipesa da negligenza nell’iniziare o proseguire le istanze contro il medesimo ad opera del cessionario, il quale è tenuto ad un comportamento volto alla tutela del credito ceduto, anche eventualmente mediante richiesta di provvedimenti cautelari e conservativi. In conseguenza della cessione, quindi, il credito originario entra in fase di quiescenza, e rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità della fruttuosa escussione del debitore ceduto, in quanto solo quando il medesimo risulti insolvente il creditore potrà rivolgersi al debitore originario (si vedano Cass. n. 6558 del 2005, Cass. n. 3469 del 2007, Cass. n. 15677 del 2009).
Alla luce di tale principio di diritto, dal quale non si ha qui ragione per discostarsi, il secondo motivo del ricorso è da accogliere, con conseguente assorbimento dell’esame del terzo motivo.
3. In relazione al motivo accolto, l’impugnata sentenza deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo, la quale, in diversa composizione, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, con assorbimento del terzo ed, in relazione al motivo accolto, cassa l’impugnata sentenza rinviando la causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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