Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-05-2011, n. 11355 diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che M.S.A., con ricorso del 26 aprile 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Salerno depositato in data 12 marzo 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del M. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 3.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, ed ha compensato le spese;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 3.000.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso dell’11 febbraio 2008 -, era fondata sui seguenti fatti: a) il M., sottufficiale dei Carabinieri, indagato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lamezia Terme, insieme ad altre persone, per i delitti di corruzione e truffa, in data 25 novembre 1998 era stato iscritto nel registro degli indagati;

b) nell’ambito di tale indagine, lo stesso M. era stato sottoposto alla misura coercitiva degli arresti domiciliari per il periodo dal 9 al 29 giugno 2000; c) con sentenza del 22 luglio 2003, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lamezia Terme aveva dichiarato la propria incompetenza per territorio e rimesso gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro; c) il Giudice per le indagini preliminari presso tale Tribunale, con sentenza del 4-30 novembre 2005 – divenuta irrevocabile in data 6 febbraio 2006, aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti del M., per non aver commesso il fatto;

che la Corte d’Appello di Salerno, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in cinque anni la durata complessiva del processo penale de quo: dal 9 giugno 2000, data nella quale il M. aveva avuto contezza dell’imputazione a suo carico, al 4- 30 novembre 2005, data della sentenza di non luogo a procedere, e dopo aver stabilito che la durata ragionevole dello stesso processo deve essere individuata in tre anni – ha fissato in due anni il periodo di durata irragionevole del processo medesimo ed ha liquidato, a titolo di equa riparazione, l’indennizzo complessivo di Euro 3.000,00, calcolato sulla base di Euro 1.500,00 annui.
Motivi della decisione

Che, con i motivi di censura, vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) la affermata decorrenza della durata complessiva del procedimento penale dalla data della conoscenza dell’ indagato circa la pendenza delle indagini preliminari a suo carico – fatta coincidere con il suo arresto nel giugno 2000, anzichè dalla data dell’effettivo inizio di dette indagini, iniziate il 25 novembre 1998, con l’iscrizione dello stesso indagato nel registro delle notizie di reato; b) in subordine, la omessa considerazione della incontestata circostanza, secondo cui il M. era stato invitato a comparire dinanzi al Tribunale della libertà di Catanzaro in data 15 marzo 1999, con la conseguenza che il procedimento penale de quo, ai fini di detto indennizzo, deve considerarsi iniziato da tale data; c) l’assoluta insufficienza, rispetto ai parametri seguiti dalla Corte EDU, dell’indennizzo liquidato;

che il ricorso non merita accoglimento;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;

che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, nella valutazione della durata di un procedimento penale, il tempo occorso per le indagini preliminari può essere computato solo a partire dal momento in cui l’indagato abbia avuto la concreta notizia della sua pendenza, solo tale conoscenza costituendo la fonte d’ansia e di patema suscettibile di riparazione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10310 del 2010, 27239 del 2009, 26201 del 2006 e 15087 del 2004);

che, alla luce di tale orientamento – tenuto conto del contenuto sostanziale delle censure sub a) e sub b), nella specie, la durata complessiva del processo penale presupposto deve essere determinata, contrariamente a quanto stabilito dai Giudici a quibus, per il periodo dal 9 giugno 2000 (data della sottoposizione del M. alla misura coercitiva degli arresti domiciliari) al 6 febbraio 2006 (data – non contestata – della intervenuta irrevocabilità della sentenza di non luogo a procedere) e, quindi, per il complessivo periodo di cinque anni e otto mesi, ciò in quanto la fonte d’ansia e di patema dell’imputato, suscettibile di riparazione, è predicabile nel caso – quale quello di specie – in cui la sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto sia ancora suscettibile di impugnazione;

che, quanto alla censura subordinata sub b) – con la quale il ricorrente indica quale dies a quo della durata del processo penale in questione la precedente data del 15 marzo 1999 -, la stessa è inammissibile per assoluto difetto di autosufficienza, non risultando nè il contenuto del menzionato "avviso di comparizione avanti il Tribunale della libertà di Catanzaro" e, quindi, se esso fosse idoneo a fondare la consapevolezza del M. circa la pendenza del procedimento penale a suo carico, nè dove, quando ed in quali termini detta circostanza sia stata dedotta nel giudizio a quo;

che anche la censura sub c) è inammissibile per difetto di interesse a proporla;

che infatti questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni, con la conseguenza che, secondo tale orientamento al ricorrente, per i due anni ed otto mesi di irragionevole ritardò del processo presupposto, spetterebbe la somma di Euro 2.000,00 (Euro 1.500,00 + Euro 500,00), mentre i Giudici a quibus hanno liquidato un indennizzo complessivo di Euro 3.000,00, rapportato ad Euro 1.500,00 annui, con ciò già tenendo evidentemente conto sia del concreto svolgimento e della conclusione del processo penale presupposto, sia del periodo di ingiusta carcerazione preventiva subito dal M.;

che le spese del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, in considerazione della descritta peculiarità della fattispecie oggetto del processo presupposto.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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