Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-01-2011) 15-03-2011, n. 10401

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il GIP presso il Tribunale di Milano, con ordinanza del 05 luglio 2010, ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di C.V. perchè indagato per il reato di associazione per delinquere ex ad. art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3 e 4 per avere fatto parte con altri dell’associazione mafiosa denominata ‘"ndrangheta", operante sul territorio di Milano e province limitrofe, e costituita da numerosi "locali", di cui 15 individuate, coordinate da un organo denominato "(OMISSIS)" in cui hanno rivestito un ruolo di vertice, nel corso del tempo, B.C., N.C., Z.P.; associazione finalizzata alla consumazione di vari reati-fine, nel campo delle armi, contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale, nonchè nel campo delle usure, degli stupefacenti ed altro; in particolare, il C.V., per avere fatto parte della "Locale" di (OMISSIS), avendo il ruolo di direzione e capo della locale con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni e delle strategie.

Il Tribunale per il riesame di Milano, con ordinanza del 28.07.2010, ha respinto il reclamo proposto dall’indagato e ha confermato il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione il difensore, deducendo i seguenti motivi:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.

Il ricorrente censura la decisione impugnata per omessa ed illogica motivazione, essendo stati ricavati ricavato i gravi indizi da una serie di elementi accusatori in realtà inconsistenti, per altro, senza valutare gli elementi di segno contrario offerti dalla difesa;

in particolare il coinvolgimento del C.V. sarebbe frutto di supposizioni, fondate sulle frequentazioni di soggetti mafiosi, giustificate da occasioni conviviali e dove comunque non è stata commessa alcuna attività di rilevanza penale; conseguentemente sarebbe illogica l’affermazione relativa alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del C.V. in ordine alla partecipazione all’associazione a delinquere con il ruolo di capo, circostanza che violerebbe al contempo l’art. 274 c.p.p. in materia di sussistenza delle esigenze cautelari in ordine ai criteri di scelta delle misure.

Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

II provvedimento impugnato contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali immuni da vizi logici o giuridici.

Osserva il collegio che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine che giustifica l’adozione del provvedimento, (vedi Cass., sez. 4^, 6 luglio 2007, n. 37878).

Invero, quanto al primo motivo, il Tribunale, ha ampiamente, congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, osservando, quanto all’imputazione ex art. 416 bis c.p., che dagli elementi raccolti nel corso delle indagini era emersa la "riproduzione" in Lombardia della struttura criminale calabrese, denominata: "’ndrangheta", organizzata con varie "locali" in (OMISSIS) e province limitrofe; a tali conclusioni si era pervenuti sulla scorta di articolate indagini, effettuate dall’Arma dei Carabinieri, mediante attività di osservazione ed intercettazione; il Tribunale enumera la serie di osservazioni ed accertamenti relativi all’evoluzione della ‘ndrangheta" in Lombardia, con il succedersi dei vari responsabili, culminate con la registrazione della riunione del 20 gennaio 2009, tenuta presso il ristorante della pista di motocross di (OMISSIS), gestita da P.G., nonchè con la registrazione della riunione del 31 ottobre 2009, di Paterno Dugnano, (pag. 10); dalle predette indagini, e segnatamente dalle intercettazioni anche ambientali, erano scaturiti imponenti elementi indicativi delle modalità mafiose dell’organizzazione, ancorchè non sfociate in condotte eclatanti, ma ove è stata riscontrata l’esecuzione di rituali riconducibili con certezza a rituali mafiosi sia nei comportamenti che nel contenuto delle conversazioni (v. p. 12 e ss. dell’ordinanza).

Per quanto riguarda specificamente la posizione del C. V. è stata sottolineata la sua influenza e il ruolo avuto nella fondazione della struttura denominata "(OMISSIS)" e il collegamento con esponenti di spicco dell’associazione criminale, anche della regione di origine, la Calabria, come è emerso dal contenuto di intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonchè dall’autorevolezza dimostrata nel risolvere contrasti interni tra vari esponenti dell’associazione mafiosa; il suo ruolo di capo viene dedotto altresì dagli accertati collegamenti con gli esponenti dell’associazione a capo delle altre locali (v. p. 19, 20 dell’ordinanza) e della stessa "Piana" di Rosarno, di cui sono evidente riscontro i "summit" organizzati, ove venivano tra l’altro conferite le cariche all’interno delle varie "locali".

Il Tribunale compie così una valutazione di puro fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità.

Il ricorrente lamenta l’insufficienza di tali elementi indiziari ma è necessario sottolineare come in materia di misure cautelari personali, il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione parcellizzata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e apprezzati globalmente secondo logica coerente, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p.; ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili a un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonee a dimostrare il fatto se coordinate organicamente. (Cass., sez. 4^, 4 marzo 2008, n. 15198).

Devono ritenersi allo stesso modo infondati i motivi con i quali il ricorrente propone una valutazione alternativa degli elementi probatori, secondo le tesi difensive dell’indagato, poichè in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito mentre, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione; devono dunque ritenersi inammissibili le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal tribunale del riesame. Cass., sez. 4^, 61 luglio 2007, n. 37878).

Per questo il motivo di ricorso che manchi di evidenziare la "manifesta" illogicità della motivazione deve ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), anche perchè il vizio di "manifesta illogicità" ricorre esclusivamente nel caso in cui l’iter argomentativo seguito dal giudice sia assolutamente carente sul piano logico; conseguentemente, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, non appare possibile opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, ancorchè logica e verosimile, anche perchè l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella "evidente", cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., sez. 4^, 12 giugno 2008, n. 35318).

Tali principi portano a ritenere inammissibili anche i motivi relativi alla ricorrenza delle esigenze cautelari, atteso che sul punto il Tribunale ha richiamato la presunzione legale di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3 e, contrariamente alle censure mosse dal ricorrente, ha altresì valutato gli elementi acquisiti, quali la rilevante partecipazione ad attività criminose del sodalizio (sopra richiamate) per evidenziare l’assenza di elementi utili a contrastare la presunzione legale sopra citata, non essendo sufficienti i semplici dati della sostanziale incensuratezza.

Alla luce delle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. l’imputato deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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