Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-05-2011, n. 11332 Licenziamento per causa di malattia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. G.F. si rivolgeva al Tribunale di Roma esponendo di essere dipendente della società Aeroporti di Roma s.p.a., con mansioni di addetto alla manutenzione dei bagagli, e di essere stato licenziato in data 26 novembre 1997 per superamento del periodo di comporto. Deduceva la illegittimità del licenziamento, ai sensi dell’art. 17 del contratto collettivo nazionale di lavoro, in quanto le assenze per malattia erano state causale da affezioni di natura professionale, e domandava, pertanto, la declaratoria di illegittimità del licenziamento, con la condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni per perdita delle retribuzioni, oltre al danno biologico derivante dalle infermità connesse allo svolgimento delle mansioni lavorative.

2. Costituitasi la società datrice di lavoro, il Tribunale, con sentenza del 10 novembre 2000, accoglieva parzialmente la domanda e dichiarava la illegittimità del licenziamento, condannando la convenuta alla reintegra e al pagamento delle retribuzioni maturate, da calcolare in base al nono livello contrattuale.

3. Tale decisione veniva impugnata dinanzi alla Corte d’appello di Roma dalla società datrice di lavoro e, in via incidentale, dal lavoratore. La Corte territoriale, con sentenza non definitiva del 29 maggio 2007, respingeva il gravame della società e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale, condannava la medesima al risarcimento del danno biologico, determinato, in base a consulenza tecnica d’ufficio disposta in appello, in Euro 30.000,00, e dichiarava il diritto del lavoratore ad ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori in base al sesto livello contrattuale: con successiva sentenza non definitiva del 20 settembre 2007 la stessa Corte, dato atto della intervenuta opzione del lavoratore per l’indennità sostitutiva della reintegra nonchè dell’avvenuta corresponsione di tale indennità, limitava la condanna al risarcimento per l’illegittimo recesso alla misura delle retribuzioni maturate dal licenziamento sino alla data di comunicazione dell’opzione per l’indennità sostitutiva; da ultimo, con sentenza definitiva del 10 giugno 2009, il risarcimento veniva determinato, in base a due successive c.t.u. contabili, in Euro 33.584,18, al netto di quanto già percepito dal lavoratore, oltre ad Euro 965,71 per accessori relativi all’indennità sostitutiva corrisposta in ritardo.

4. Contro ognuna di tali sentenze il G. ha proposto rispettivi ricorsi per cassazione, articolati – quelli contro le decisioni non definitive – in tre motivi e – quelli contro la sentenza definitiva – in due motivi. La società ha resistito con distinti controricorsi e ha proposto, a sua volta, autonomo ricorso, in due motivi, contro la prima sentenza non definitiva, cui il lavoratore ha resistito con controricorso, e ricorso incidentale, con un unico motivo, avverso la sentenza definitiva. La medesima società ha anche depositato memorie illustrative ai sensi, dell’art. 378 c.p.c.. Motivazione semplificata.
Motivi della decisione

1. In via preliminare, devono essere riuniti tutti i ricorsi, essendo proposti contro decisioni non definitive e decisione definitiva all’interno dello stesso giudizio e trattandosi, perciò, di decisioni che, integrandosi reciprocamente, definiscono quell’unico giudizio, si che l’ipotesi risulta assimilabile a quella della proposizione di più impugnazioni contro la stessa sentenza (cfr.

Cass. n. 9377 del 2001).

2. I ricorsi proposti dal G. sono inammissibili perchè – avverso sentenze per le quali trova applicazione la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – l’illustrazione delle censure di violazione di legge e di vizio di motivazione non si conclude con le formulazioni e le indicazioni prescritte dall’art. 360 bis c.p.c..

In particolare, i quesiti relativi alle censure di violazione di legge sono del tutto generici, essendo limitati alla deduzione che la violazione di norme o la mancata pronuncia su un punto della controversia determina la nullità della sentenza, senza specificare l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie; i motivi riguardanti la motivazione, invece, non contengono l’indicazione specifica di cui alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c.: limitandosi a dedurre l’insufficienza della motivazione senza alcun riferimento alla fattispecie. Nè, peraltro, tali indicazioni potrebbero essere integrate dalle argomentazioni sviluppate nei motivi (cfr. Cass., sez., un., n. 2658 del 2008; n. 27347 del 2008).

3. Parimenti inammissibili, d’altra parte, sono i ricorsi proposti dalla società: quello avverso la prima sentenza non definitiva, in quanto proposto oltre il termine previsto dall’art. 371 c.p.c., applicabile nella specie, ai sensi dell’art. 333 c.p.c., a seguito della proposizione del ricorso principale del G.; quello avverso la sentenza definitiva, in quanto contenente censuro di violazione di legge e vizio di motivazione prive, a loro volta, delle formulazioni e indicazioni richieste dall’art. 366 bis c.p.c., essendo, in particolare, del tutto carenti i riferimenti alla concreta fattispecie.

4. In conclusione, tutti i ricorsi sono dichiarati inammissibili.

Spese del giudizio compensate in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi n. 9956/2008, n. 15401/08, n. 17435/08, n. 3834/10 e il ricorso incidentale relativo a quest’ultimo, li dichiara inammissibili. Compensa le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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