Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-12-2010) 15-03-2011, n. 10391 Reato continuato e concorso formale Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del Riesame di Bari ha rigettato, in data 22.7.2010, l’istanza di riesame proposta, nell’interesse di B.A., avverso l’ordinanza coercitiva emessa il 17.6.2010 dal G.I.P. del locale Tribunale, applicativa della misura cautelare inframuraria nei confronti del predetto, indagato e ristretto per i seguenti reati: C) D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2, 3 e 4, con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 in (OMISSIS) all’attualità (associazione operante dall'(OMISSIS) all’attualità; C32) D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, L. n. 203 del 1991, art. 7 in (OMISSIS) e paesi limitrofi, in data antecedente al (OMISSIS); C41) artt. 81 e 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, L. n. 203 del 1991, art. 7 in (OMISSIS), frazione (OMISSIS) in data antecedente e successiva al (OMISSIS).

Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione il difensore del B., il quale deduce: "violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c) ed e), in relazione all’art. 125 c.p.p.; art. 292 c.p.p., comma 2, lett. b) e c); art. 546 c.p.p., lett. c); art. 192 c.p.p., commi 1 e 3; art. 195 c.p.p.; art. 273 c.p.p., commi 1 e 1 bis;

D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (capo c); D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capo c32 e capo c41); tutti aggravati L. n. 895 del 1967, ex art. 7.

In linea generale il ricorrente sostiene che l’ordinanza sarebbe radicalmente nulla, in quanto difetterebbe del "minimo" apparato motivazionale in ordine alla "sussistenza" dei gravi indizi (ex art. 273 c.p.p.), idonei a legittimare una prognosi di elevata probabilità dell’ipotesi accusatoria ascritta all’indagato.

In buona sostanza egli lamenta che si sia dato credito a prove inattendibili e prive di riscontro e, a tal fine, ripercorre gli elementi ritenuti rilevanti, contestandone l’efficacia probatoria;

esamina, poi, i vari addebiti. In particolare si lamenta che "tutto poggia sulle dichiarazioni del collaboratore C.M.", prive di riscontro e contrastate da altri elementi.

Al riguardo va detto che la mancanza o manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento stesso e l’indagine di legittimità è necessariamente circoscritta a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo svolto dal giudice di merito. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto già vagliati e posti a fondamento della decisione impugnata, non potendo integrare il vizio di legittimità soltanto una diversa ricostruzione delle risultanze processuali, magari prospettata in maniera più utile per il ricorrente.

Nella specie il ricorrente lamenta anche violazione di legge, ma in realtà tende precipuamente ad una rivisitazione del fatto.

Va premesso che il giudice di merito ha effettuato una diffusa e perspicua ricostruzione dei fatti, rimarcandone anche le zone d’ombra.

E’ noto che in tema di misure cautelari personali la nozione di "gravi indizi di colpevolezza" (v. art. 273 c.p.p.) non si atteggia allo stesso modo del termine "indizi", quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta ad indicare la prova logica o indiretta, ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art. 192, comma 2, c.p.p.), che consente di risalire ad un fatto incerto attraverso massime di comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare, invece, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli.

L’ordinanza, oggetto di censura, ha fatto buon uso di questo principio delineando in maniera precisa i fatti, quali emergono allo stato dal quadro probatorio, e ne ha fissato un profilo di rilevante gravità, desumibile dall’articolata serie di azioni.

Si tratta di valutazioni logiche e giuridicamente coerenti che si sottraggono al sindacato di legittimità.

Il tribunale della libertà ha posto a fondamento della sua decisione un coerente e coordinato esame dei seguenti elementi: gli esiti delle intercettazioni telefoniche ed ambientali; le risultanze dei servizi di osservazione; il pedinamento e controllo e l’attività tutta della polizia giudiziaria, compresi perquisizioni e sequestri; le propalazioni di collaboranti.

Il giudicante ha sottoposto ad accurato vaglio preventivo la posizione processuale e l’attendibilità dei dichiaranti; ha sottolineato che la posizione sovraordjnata dell’odierno indagato nell’attività di spaccio di stupefacenti svolta quale "luogotenente" di D.C.A., secondo le convergenti propalazioni dei collaboratori R. e C.. A rafforzare tale situazione relativa al reato associativo stanno le implicazioni relative agli altri capi d’imputazione (C32 e C41), rispetto ai quali il tribunale esamina in maniera esauriente le risultanze delle conversazioni intercettate. Nè appare esatto quanto afferma il ricorrente, secondo cui le dette intercettazioni non darebbero nessun contributo corroborante alla chiamata del C., poichè il tribunale arriva ad affermare il coinvolgimento dell’odierno indagato attraverso la prova logica in relazione al ruolo apicale del B. nella zona di (OMISSIS) anche come "supervisore" dello S. e del G., la cui attività emerge con evidenza dalle intercettazioni.

In sostanza, mentre il ricorrente tende ad offrire una visione parcellizzata del contesto, il tribunale opera una disamina sia analitica, sia globale delle emergenze probatorie, pervenendo a conclusioni sorrette da un apparato argomentativo logico e coerente, che si sottrae al sindacato di legittimità.

Il ricorso è quindi inammissibile.

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (v. Corte Cost. sent. 186/2000) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di 1.000,00 (mille) Euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di 1.000,00 Euro. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *