Cass. civ. Sez. III, Sent., 23-05-2011, n. 11315

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. G.F., debitore esecutato nella procedura esecutiva immobiliare n. 223/01 r.g.e. del Tribunale di Teramo, intentata ai suoi danni dalla Banca Monte dei Paschi di Siena e con intervento della Soget spa, chiese ed ottenne il beneficio della conversione, con determinazione delle somme complessivamente dovute in Euro 17.300 (ordinanza 8.11.02 del giudice dell’esecuzione) e concessione di dilazione in nove rate del pagamento del saldo, oltre interessi ulteriori, se richiesti, da pagarsi con l’ultima rata del 18.8.03. 1.2. L’esecutato corrispose almeno alcune delle rate direttamente alla Banca creditrice, ma questa protestò l’inottemperanza del debitore all’ordinanza ammissiva al beneficio della conversione e chiese (in data 21.1.03) ed ottenne la revoca di questa, non comunicata al debitore, nonchè la rinnovazione della messa in vendita del bene staggito (ordinanza resa all’udienza del 4.3.03) e finanche la sua aggiudicazione all’incanto, in data 18.6.03, in favore di tale P.C..

1.3. Il G. impugnò pertanto, con ricorso depositato il 16.7.03, gli atti del g.e. a partire dalla revoca dell’ammissione alla conversione e quelli successivi, chiedendone l’annullamento ed invocando la condanna della Banca procedente e dell’aggiudicatario (ove avesse trascritto il titolo o goduto del bene) al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’ ingiustificata protrazione dell’espropriazione, da liquidarsi in via equitativa.

1.4. Si costituì dapprima la sola creditrice procedente, rimarcando imputarsi la revoca alla negligenza del debitore, che aveva corrisposto le rate senza depositarle in cancelleria con le medesime modalità con cui aveva presentato l’istanza di conversione; e chiese il rigetto dell’opposizione anche perchè ancora dovuti gli interessi ulteriori maturati nel frattempo.

1.5. Il giudice dell’esecuzione sospese l’esecuzione (29.10.03) e trattenne una prima volta a sentenza la causa, ma la rimise sul ruolo per espletare c.t.u. contabile; e si costituì allora anche l’aggiudicatario, prospettando difese analoghe a quelle della creditrice procedente e negando che la mancata comunicazione dell’ordinanza di revoca al debitore come costituito integrasse un vizio rilevante.

1.6. Trattenuta altre due volte a sentenza e rimessa sul ruolo, furono concessi i termini ex art. 183 cod. proc. civ. con ord. 3.3.07, ma fu disattesa l’istanza di termini ex art. 184 cod. proc. civ..

2. All’esito, il Tribunale di Teramo pronunciò sentenza n. 154/08, pubblicata il 26.2.08, con la quale accolse l’opposizione e dichiarò la nullità dell’ordinanza 22.1.03 di revoca del beneficio della conversione e tutti gli atti esecutivi successivi, mentre, quanto alla domanda risarcitoria:

2.1. rilevò che l’opponente, pur avendo ottenuto i termini previsti dall’art. 183 cod. proc. civ. con ordinanza 3.3.07, non se ne era avvalso, lasciando spirare il relativo termine senza precisare la causa petendi ed il peti tura;

2.2. ritenne la domanda limitata al "danno (non meglio specificato) sofferto in conseguenza dell’illegittima prosecuzione dell’esecuzione", che però escluse per la pronta sospensione della procedura prima dell’emanazione del decreto di trasferimento, per la persistenza del bene nel possesso del debitore e per la conseguente irrilevanza della determinazione del valore locativo di quello;

2.3. qualificò nuove le domande per i danni relativi al deprezzamento dell’immobile ed al danno esistenziale, siccome dedotte solo in comparsa conclusionale;

2.4. pose a carico degli opposti costituiti e soccombenti le spese di lite, ma lasciò quelle di C.T.U. a carico dell’opponente.

3. Avverso tale sentenza, di cui non consta la notificazione, propone ora ricorso per cassazione il G., affidandosi a cinque motivi; delle controparti resiste con controricorso la sola Banca Monte dei Paschi di Siena, illustrandolo anche con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. Civ..
Motivi della decisione

4. Il ricorrente formula cinque motivi e:

4.1. con un primo motivo, di violazione di norme di diritto circa l’errata interpretazione di una norma (in relazione all’esatta applicazione degli artt. 183 e 184 cod. proc. civ. nella formulazione vigente al tempo dell’introduzione del giudizio e con riferimento all’art. 360 cod. proc. Civ., n. 3), lamenta l’illegittimità della mancata concessione dei termini ai sensi dell’art. 184 cod. proc. civ., che avrebbe determinato l’ingiusta esclusione delle prove a sostegno delle voci di danno già dispiegate e compresso la possibilità di dimostrare le nuove; e conclude formulando un quesito di diritto;

4.2. con un secondo motivo, di omessa pronuncia in ordine alla richiesta di liquidazione del danno in via equitativa (in relazione all’art. 1226 c.c., artt. 112 e 360 cod. proc. civ., n. 4), lamenta appunto che la gravata sentenza non ha preso in considerazione la domanda di liquidazione equitativa, correttamente formulata fin dall’atto introduttivo del giudizio; e conclude formulando un quesito di diritto;

4.3. con un terzo motivo, di contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. ed agli artt. 112, 183 e 184 cod. proc. civ.), si duole del vizio motivazionale consistente nella mancata concessione della possibilità di produrre i documenti necessari a dimostrare i suoi assunti; ma non conclude con il momento di riepilogo o di sintesi richiesto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., comma 2;

4.4. con un quarto motivo, di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 ed agli artt. 112, 183 e 184 c.p.c.), si duole del fatto che il giudice abbia mancato di motivare sul diniego del termine di cui all’art. 184 cod. proc. civ.; ma non formula il richiesto momento di riepilogo o sintesi;

4.5. con un quinto motivo, di vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia ("in relazione all’art. 360, n. 5, con riferimento alla insufficiente motivazione circa il diniego del risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa. Con riferimento agli artt. 112 e 360 cod. proc. civ., n. 5 e art. 1226 c.c."), egli lamenta un vizio consistente in ciò, che la sentenza avrebbe affermato che la persistenza della procedura esecutiva non aveva, di fatto, nuociuto agli interessi del ricorrente; e conclude con un quesito di diritto.

5. La controricorrente contesta partitamente l’ammissibilità e la fondatezza dei motivi di gravame.

6. Orbene, dei motivi di ricorso:

6.1. il primo è inammissibile:

6.1.1. in primo luogo, le violazioni denunciate non si sussumono entro la previsione del n. 3, ma del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.;

6.1.2. in secondo luogo, se è vero che il termine previsto dall’art. 184 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis andava comunque concesso a richiesta delle parti, è altrettanto vero che difetta l’interesse all’affermazione della conseguente illegittimità, visto che, con la formulazione delle nuove istanze istruttorie precluse dalla mancata concessione del termine ex art. 184 cod. proc. civ..

(nel testo applicabile ratione temporis):

– da un lato, l’attore non avrebbe mai potuto validamente ampliare il thema decidendum con l’indicazione di nuovi profili della causa petendi in precedenza non formulati e soprattutto non proposti entro il termine perentorio di maturazione delle preclusioni cc.dd. assertive o di merito dell’art. 183 cod. proc. civ., comma 5, (nel testo applicabile ratione temporis, vale a dire quello risultante dalla riforma di cui alla legge n. 353 del 1990): la conseguente decadenza non può essere sanata dall’introduzione di fatti nuovi come resi oggetto di istanze istruttorie successive, perchè queste debbono necessariamente riferirsi a domande che siano intrinsecamente ammissibili e sarebbero precluse dalla già maturata inammissibilità delle relative domande, avverso la quale ultima il ricorrente non dispiega valida impugnazione in questa sede;

– in altri termini, non è consentito, formulando le istanze istruttorie, introdurre (in un certo senso, o per così dire, surrettiziamente) nuovi temi di giudizio (cioè ampliare il thema decidendum con nuove allegazioni, sia pure quali oggetto delle istanze istruttorie), sussistendo anzi l’inammissibilità di quelle istanze se aventi ad oggetto profili del thema decidendum ulteriori rispetto a quelli già ritualmente definiti con la maturazione delle preclusioni assertive o di merito;

dall’altro lato, l’attore non potrebbe validamente conseguire elementi utili a sostegno dei profili della domanda risarcitoria ritenuti ammissibili, visto che la gravata sentenza motiva adeguatamente sull’esclusione della sussistenza stessa del danno in sè considerato; 6.1.3. e sotto tutti tali profili il ricorrente non impugna validamente nè la dichiarazione di inammissibilità evidentemente derivante da quella delle ulteriori allegazioni di merito – per violazione del termine concesso ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. (solo ritenendo di potere ancora specificare la domanda con la formulazione delle istanze istruttorie), nè la valutazione di insussistenza del danno per i profili tempestivamente indicati;

6.2. il secondo è infondato: esso muove dall’evidente equivoco tra indeterminatezza della domanda risarcitoria ed impossibilità di precisa liquidazione e non considera che giammai potrebbe sopperirsi alla prima con la valutazione equitativa; quest’ultima, infatti, attiene esclusivamente al guaritimi ed esige pur sempre che il danno sia accertato o accertatile sull’ari (tra le molte: Cass. 12 aprile 2006, n. 8615; Cass. 15 febbraio 2008, n. 3794; Cass. 26 novembre 2008, n. 28226), sicchè non ha senso invocarla quando dell’esistenza stessa del detrimento non possa neppure parlarsi o a complemento di attività assertive invece mancate; e, nel caso di specie, la gravata sentenza si fa carico di esaminare i profili di danno prospettati e considera separatamente quelli proposti tempestivamente e quelli addotti tardivamente, escludendo la sussistenza dei primi e l’ammissibilità dei secondi: sicchè la mancata esplicita menzione della liquidazione equitativa è del tutto giustificata con l’esclusione della fondatezza sull’an debeatur;

6.3. il terzo è inammissibile; sul punto, va premesso che, ai sensi del capoverso dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – ancora applicabile (nonostante la sua successiva abrogazione) alla fattispecie in ragione della data di pubblicazione del provvedimento impugnato, stando alla disciplina transitoria della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58 -, è necessario un momento di riepilogo o di sintesi per le doglianze di vizio di motivazione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002; Cass. Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; tra le ultime: Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680), occorrendo la formulazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso che indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (tra le altre, v. le citate Cass. n. 16002 del 2007 e Cass. n. 27680 del 2009); e, nel caso di specie, tale passaggio conclusivo sintetico manca del tutto;

6.4. il quarto è anch’esso inammissibile, per le stesse ragioni già sviluppate in ordine al terzo (sopra, punto 6.3.); e comunque, a ben guardare, esso non attingerebbe l’esatta ratio decidendi della gravata pronuncia, visto che l’istanza ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. è stata accolta e solo è stata negata quella ai sensi dell’art. 184 cod. proc. civ., con l’esposizione, quale motivo, della qualificazione della causa come matura per la decisione;

6.5. il quinto è inammissibile:

6.5.1. il quesito – che oltretutto non si attaglia al vizio di motivazione in concreto prospettato – si limita alla enunciazione apodittica di un ovvio canone di giudizio, cioè l’obbligo di motivazione analitico., mentre invece la doglianza si riferiva all’erroneità della valutazione dell’insussistenza del danno;

6.5.2. sotto quest’altro profilo, essa sarebbe inammissibile sia perchè sollecita una diversa valutazione del merito, preclusa in cassazione, sia perchè fondata:

– sull’adduzione indimostrata (e di cui non si allega nè si dimostra la formulazione tempestiva nel grado di merito) della mancanza di "materialità del bene";

– sull’allegazione, il cui tempestivo dispiegamento dinanzi al Tribunale neppure allega, del danno all’immagine;

sulla vista erronea interpretazione della liquidazione equitativa come surrogato di un’imperfetta od intempestiva formulazione della domanda, ritenuta quindi infondata in punto di an debeatur.

7. In conclusione, il ricorso, per l’inammissibilità e l’infondatezza dei motivi su cui si articola, non può che essere rigettato; e le spese del giudizio di legittimità conseguono alla soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione reputata equa come in dispositivo, nei confronti della controricorrente, mentre può tralasciarsi qualsiasi pronuncia sulle spese nei rapporti tra ricorrente e gli altri intimati, non avendo costoro svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna G.F. al pagamento, in favore della Banca Monte dei Paschi di Siena, in pers. del leg. rappr.nte p.t., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi; nulla per le spese tra ricorrente ed altri intimati.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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