CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 14 giugno 2010, n.22691. In tema di ingiuria.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO

1.- Il Tribunale di Ascoli Piceno ha confermato la sentenza del Giudice di Pace della stessa Città che aveva dichiarato la N. colpevole del reato di ingiurie nei confronti di Marcelli Arianna, per avergli indirizzato gli epiteti "stronzo" "vaffanculo" "cretino".
2.- L’imputata propone ricorso per cassazione, deducendo:
a.- Nullità della sentenza per avere il giudice dell’appello concesso al procuratore di parte civile di replicare, nonostante vi avesse rinunciato il PM, con la conseguenza che non era stato consentito all’imputato e al difensore di concludere per ultimo.
b.- Violazione di legge ed omessa motivazione, per essere stata rigettata l’istanza di rinnovazione del dibattimento.
e- Violazione di legge per essere stata ritenuta credibile la persona offesa, costituita parte civile.
d.- Violazione di legge, per non avere il giudice dell’appello considerato che le espressioni si riducevano soltanto ad un esempio di inurbanità, con particolare riguardo alla parola "cretina"
e.- Violazione di legge per avere la parte offesa, quale superiore gerarchico, compito un fatto ingiusto consistito nella denegata collaborazione, cagione di conseguenti disfunzioni nella lavorazione della pratica e nell’ingiustificato rifiuto di ricevere essa N..
f.- Inammissibilità della costituzione di parte civile, per non avere quantificato il danno.
3.-11 ricorso è infondato.
a) Anzitutto, va rilevato che dai verbali non risulta che il difensore dell’imputato non
avesse concluso per ultimo.
Infatti, subito dopo la replica della parte civile la difesa si era opposta genericamente.
Pertanto, è stata la difesa che ha concluso per ultima opponendosi alle ulteriori argomentazioni della parte civile.
b) In relazione alla censura circa le dichiarazioni della parte offesa-parte civile, il Tribunale ha dato adeguata contezza della relativa ritenuta credibilità, rilevando come la stessa, sia nella querela che al dibattimento, avesse sempre fornito la medesima versione dei fatti e come la stessa parte offesa, nell’immediatezza, si fosse lamentata, con gli altri dipendenti, delle espressioni ingiuriose profferite dalla N.. La ritenuta credibilità della parte offesa è logica anche perché le relative dichiarazioni risultavano riscontrate da quelle degli altri dipendenti che si trovavano nella stanza attigua e che avevano riferito di un vivace scambio di battute tra l’imputata e la parte offesa, sottolineando il tono di voce particolarmente alto dell’imputata e la pronuncia da parte della stessa della parola "cretina" all’uscita della stanza della Marcelli.
Il giudice unico ha pure logicamente evidenziato che la tesi della difesa, secondo la quale la parola "cretina" la N. l’avesse rivolta verso se stessa, non trovava alcuna giustificazione e che la collocazione del fatto in un orario diverso non era risultato dalle dichiarazioni dei testi che sul punto non erano stati interrogati dalla difesa.
c) Legittimamente, poi, il giudice dell’appello ha ritenuto che le parole "stronza" "vaffanculo" e "cretina" non avessero perso la connaturata valenza offensiva. Questa Corte ha già ritenuto che l’uso comune di tali espressioni ha modificato la valenza offensiva, soltanto quando si collocano in un discorso che si svolge tra soggetti che si trovano in posizione di parità e sono pronunciate in risposta a frasi che non postulano manifestazioni di reciproco rispetto( Cass., sez. V, 23 maggio 2007, n. 279669).
Nella specie le dette espressioni erano state pronunciate in un ufficio pubblico verso un superiore gerarchico e, pertanto, legittimamente è stato ritenuto che esse non avessero perso la connatura valenza spregiativa.
d) Non sussisteva, poi, alcun fatto ingiusto, avendo il secondo giudice precisato che era infondata la pretesa del dipendente di conferire immediatamente con il superiore, tenuto conto che la stessa imputata non aveva chiarito la natura delle comunicazioni urgenti.
e) E’, infine, infondata la deduzione di "inammissibilità" (rectius: revoca) della costituzione di parte civile, per non avere quantificato il danno, in quanto secondo un orientamento consolidato il giudice può pronunciare condanna generica al risarcimento del danno (per ult. Cass. sez. VI, 14 aprile 2009, n. 27500).
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al rimborso delle spese in favore della parte civile che vanno liquidate in euro 1200,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in euro 1200,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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