T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 11-03-2011, n. 388 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente impugna la delibera del 28. 6. 2000 n. 7/193 con cui la Giunta regionale della Lombardia ha approvato in via definitiva il Piano territoriale di coordinamento del parco del Mincio, delibera che la ricorrente ritiene lesiva per i propri interessi nella parte in cui impone vincoli alle aree di proprietà site in Goito ed in Marmirolo su cui la stessa esercita attività di lavorazione inerti.

In particolare, l’area di Goito viene classificata dal Piano del parco come zona di riequilibrio e tampone ecologico; l’area di Marmirolo come zona di recupero ambientale.

I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 19 l.r. 86/93 in quanto l’iter di approvazione del piano non si sarebbe concluso nel termine legale di 270 gg. (nel caso di specie, ci sono voluti nove anni);

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per ulteriore violazione dell’art. 19 l.r. 86/93, che prevede che la Giunta regionale verifichi la coerenza della proposta di piano rispetto ai propri indirizzi, mentre nel caso in esame la Regione avrebbe stravolto il piano e così facendo avrebbe di fatto sostituito il piano proposto dall’ente gestore con un altro;

3. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 17 e 19 l.r. 86/93 perché il Piano del parco non sarebbe supportato da alcuna relazione esplicativa;

4. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 2 l. 394/91, degli artt. 1, 16, 16ter e 17 l.r. 86/83, norme dalle quali si desumerebbe chiaramente che i parchi naturali regionali devono essere insediati in zone di valore naturalistico ed ambientale, laddove le aree della ricorrente – in quanto adibite da decenni all’attività di cava – avrebbero perso qualsiasi pregio ambientale.

Si costituiva in giudizio la Regione Lombardia, che deduceva l’inammissibilità (per carenza di interesse, in quanto la ricorrente non spiega cosa le venga impedito dall’approvazione del piano del parco che comunque prevede la continuazione delle attività in essere) del ricorso, e comunque l’infondatezza dei relativi motivi.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 23. 2. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

I. Il ricorso, pur ammissibile (nel corso dell’approvazione del piano l’amministrazione è venuta incontro alle esigenze di imprese quale quella che esercita la ricorrente, modificando l’art. 38 delle n.t.a. del piano e consentendo la continuazione delle attività preesistenti nonostante che le stesse siano fortemente impattanti sul piano ambientale; ciò non toglie, peraltro, che – pur consentendo la continuazione delle attività esistenti – il piano abbia previsto un regime vincolistico delle aree, che vieta modificazioni peggiorative dello status quo e contro cui è legittimo insorgere), è infondato nel merito.

II. Nel primo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 19 l.r. 86/93 in quanto l’iter di approvazione del piano non si sarebbe concluso nel termine legale di 270 gg. (nel caso di specie, ci sono voluti nove anni).

Anche a prescindere dalla deduzioni svolte dalla difesa della Regione che sostiene che il piano in realtà sarebbe tempestivo perché la procedura di approvazione sarebbe stata novellata dalla l.r. 11/00, il motivo è comunque infondato.

La censura è infondata, in quanto premesso in via generale che "il termine di conclusione del procedimento non appare assistito, nella normalità dei casi, da alcuna previsione di perentorietà; ne consegue che l’amministrazione legittimamente può concludere il procedimento successivamente alla scadenza del relativo termine" (Tar Liguria, sez. II, 21 febbraio 2005, n. 270), nel caso di specie va, peraltro, anche evidenziato che, come esattamente rilevato in giurisprudenza, "la violazione del termine finale di adozione dell’atto conclusivo di un procedimento determina un vizio dell’atto stesso quando produca una lesione specifica della posizione dell’interessato strettamente dipendente dal momento di adozione dell’atto, cioè dall’illegittimo trascorrere del tempo rispetto alla scadenza del termine legale" (Tar Liguria, sez. I, 7 aprile 2006, n. 349; nello stesso senso Tar Piemonte, sez. II, 14 settembre 2005, n. 2830, secondo cui "il mancato rispetto del termine per la conclusione del procedimento costituisce causa di illegittimità del relativo provvedimento soltanto quando produca una lesione specifica della posizione dell’interessato strettamente dipendente dal momento dell’adozione dell’atto, come nell’ipotesi in cui nelle more della scadenza del termine cambi la normativa di riferimento in senso sfavorevole per il soggetto istante, e non nel caso in cui da essa non derivi alcun pregiudizio diretto alla posizione giuridica di quest’ultimo").

Nel caso in esame, il ricorrente non si lamenta del ritardo nell’emanazione del provvedimento (ritardo che rispetto alla sua posizione è del tutto neutro, ed anzi in qualche modo lo ha avvantaggiato ritardando l’imposizione del regime vincolistico) ma del contenuto del provvedimento, su cui il mancato rispetto del termine non incide in alcun modo.

Ne consegue che la censura deve ritenersi infondata.

III. Nel secondo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per ulteriore violazione dell’art. 19 l.r. 86/93, che prevede che la Giunta regionale verifichi la coerenza della proposta di piano rispetto ai propri indirizzi, mentre nel caso in esame la Regione avrebbe stravolto il piano e, così facendo, avrebbe di fatto sostituito il piano proposto dall’ente gestore con un altro.

La difesa della Regione sostiene che il piano non è stato stravolto, ma adeguato alla realtà dell’anno in cui è stato approvato in via definitiva il progetto.

La censura è infondata.

La norma attributiva di potere, che è l’art. l’art. 19 co. 2 l.r. 86/93, prevede che "entro centoventi giorni dal ricevimento, la Giunta regionale verifica la proposta rispetto ai propri indirizzi ed alle disposizioni di legge in materia, determina le modifiche necessarie anche in relazione alle osservazioni ed alle controdeduzioni pervenute e procede all’approvazione del piano territoriale di coordinamento o della relativa variante con propria deliberazione soggetta a pubblicazione".

Sono tre i poteri attribuiti alla Regione dalla disposizione in esame: "verifica", "determina le modifiche", "procede all’approvazione". Quindi, il potere di modificare il piano d’ufficio è previsto normativamente.

Sostenere che la Regione ha modificato troppo, e quindi ha stravolto (e quindi, stravolgendo, ha violato la norma, perché ha scritto di fatto il piano in prima persona, anziché limitarsi ad emendare il piano di un altro soggetto pubblico), è dissertazione di filosofia. Ciò che rileva ai fini della individuazione di una violazione di legge è che la norma attribuisce effettivamente alla Regione il potere di modificare la proposta di piano, e la Regione quindi, nell’introdurre modifiche d’ufficio al piano, ha esercitato un potere previsto dalla norma attributiva dello stesso.

IV. Nel terzo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 17 e 19 l.r. 86/93 perché il piano del parco non sarebbe supportato da alcuna relazione esplicativa.

In realtà, anche ammesso che la mancanza di relazione possa connotare in qualche modo di illegittimità il provvedimento impugnato, una relazione istruttoria esiste ed è stata allegata alla deliberazione 7. 11. 1997, non occorreva ripeterla nelle fasi successive del procedimento; la parte che riguarda il territorio di Goito ed i motivi per cui esso viene riperimetrato è a pag. 15 della relazione; la riformulazione dell’art. 38 in parziale accoglimento della istanza di C.N. è a pagina 15 delle osservazioni. La ricorrente quindi ha avuto modo di conoscere le motivazioni che hanno indotto l’amministrazione a ricomprendere l’area in esame nel parco.

E ciò anche a prescindere dalla circostanza che la difesa della Regione rileva correttamente che si tratta pur sempre di un atto generale, che – in quanto tale – è onerato di un obbligo di motivazione diverso da quello degli atti amministrativi comuni.

V. Nel quarto ed ultimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 2 l. 394/91, degli artt. 1, 16, 16ter e 17 l.r. 86/83, norme dalle quali si desume chiaramente che i parchi naturali regionali devono essere insediati in zone di valore naturalistico ed ambientale, laddove le aree della ricorrente – in quanto adibite da decenni all’attività di cava – hanno perso qualsiasi pregio ambientale.

Il motivo è completamente infondato.

La difesa della Regione rileva che sia l’art. 2 l. 394/1 sia l’art. 1 l.r. 86/83 hanno come loro fine anche promuovere il territorio degradato. E l’argomento è corretto anche per motivi di carattere logico, ed a prescindere dallo stretto dato normativo (ed a prescindere anche dall’ulteriore circostanza che l’area adiacente l’attività di lavorazione inerti un pregio paesaggistico evidente ce l’ha, ben descritto nella relazione al piano versato in atti), in quanto – come precisato anche di recente dalla giurisprudenza amministrativa – "la qualificazione di rilevanza paesaggisticoambientale di un sito non è determinata dal suo grado d’inquinamento – ché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di tutela – ne consegue che l’imposizione del relativo vincolo serve piuttosto a prevenire l’aggravamento della situazione ed a perseguirne il possibile recupero" (CdS, VI, 2377/2010; conforme CdS, V, 1761/2000).

VI. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso.

CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore della Regione Lombardia delle spese di lite, che determina in euro 3.000, oltre i.v.a. e c.p.a. (se dovuti).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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