Cass. civ. Sez. III, Sent., 23-05-2011, n. 11304 Proprietà coltivatrice

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con scrittura del 18 dicembre 1996, l’imprenditore agrario S. S. stipulò, con la proprietaria coltivatrice diretta C. P.M.M. un contratto preliminare con il quale quest’ultima, nella predetta qualità, promise in vendita il proprio fondo rustico, da lei stessa coltivato.

A seguito del presunto inadempimento dello S., C.P. M. convenne quest’ultimo dinanzi al Tribunale ordinario di Nola chiedendo la risoluzione del contratto preliminare inter partes, di trattenere la caparra di L. 80.000.000 e di condannare lo stesso S. al rilascio del fondo.

Il convenuto chiedeva il rigetto della domanda attrice e spiegava domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere la condanna della C.P., oltre che alla restituzione del doppio della caparra e al correlativo risarcimento dei danni, anche al contestuale pagamento dell’indennizzo per le migliorie apportate nella coltivazione del fondo. Il Tribunale ordinario di Nola dichiarava risoluto il contratto preliminare e sussistente il diritto della C. a ritenere la caparra di L. 80.000.000 versata dallo S.; condannava quindi quest’ultimo al rilascio del fondo e la C. alla restituzione della somma di Euro 36.151,00, percepita a titolo di anticipo sul prezzo, oltre accessori; rigettava la domanda riconvenzionale per assoluta carenza di prova in ordine all’asserita necessità di lavori per un normale utilizzo del fondo e condannava il convenuto al pagamento delle spese del giudizio.

Proponeva appello lo S..

La Corte distrettuale rigettava l’appello e condannava l’appellante alla rifusione in favore della C. delle spese del grado.

Propone ricorso per cassazione S.A. con tre motivi.

Resiste con controricorso C.P.M.M..
Motivi della decisione

Parte controricorrente eccepisce preliminarmente l’inammissibilità e improcedibilità del ricorso proposto da S.A. che non è stato parte nè del giudizio di primo grado nè del giudizio di secondo grado: le parti in giudizio erano infatti S.S. e C.P.M.M..

L’eccezione è infondata in quanto i nomi dello S. sono S. e A..

C.P.M.M. chiede altresì la condanna dello S. al pagamento delle spese processuali in considerazione del fatto che il ricorrente ha proposto un incauto ricorso con colpa grave e la condanna dello stesso ex art. 385 c.p.c..

La domanda è infondata.

Poichè l’impugnata sentenza è stata depositata in cancelleria l’11 novembre 2005 al presente giudizio non si applica infatti il D.Lgs. n. 40 del 2006 e quindi l’art. 385 c.p.c., u.c., introdotto con tale decreto entrato in vigore il 2 marzo 2006.

Per la medesima ragione non devono essere presi in esame tutti i quesiti formulati nel ricorso principale. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia "Violazione da errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 37-38 c.p.c.; dell’art. 12 disp. gen., nonchè L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 47; L. 14 febbraio 1990, n. 29, art. 9; L. 26 maggio 1965 n. 580, art. 8; ed infine L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, in relazione alle censure di legittimità ipotizzate ai n.ri sub 2), sub 3) e sub 4) dell’art. 360 c.p.c.".

Secondo lo S. i Giudici di merito, hanno omesso di dichiarare la nullità assoluta dell’intero procedimento per incompetenza funzionale e per materia del Giudice ordinario, trattandosi di controversia di natura agraria e, come tale, riservata, ope legis, alla competenza esclusiva e funzionale del Giudice specializzato agrario, costituito nella specie dalla Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Nola.

Il motivo è inammissibile.

L’incompetenza per materia, da qualunque causa dipenda ed al pari di quella per valore e per territorio nei casi previsti dall’art. 28 cod. proc. civ., deve essere eccepita o rilevata, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 38 cod. proc. civ., comma 1, (nel testo introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 4, in vigore dal 30 aprile 1995), non oltre la prima udienza di trattazione; ne consegue che, in difetto, diviene insindacabile e irretrattabile la competenza del giudice dinanzi a cui l’incompetenza non sia stata eccepita o rilevata (Cass., 19 febbraio 2009, n. 4007).

Nel caso in esame l’incompetenza per materia è stata dedotta per la prima volta in cassazione.

Si deve altresì rilevare che la competenza della Sezione specializzata agraria postula che non risulti ictu oculi l’estraneità del rapporto in contestazione all’ambito di quelli agrari, sicchè deve escludersi quando il rapporto dedotto in giudizio sia, come nella fattispecie di cui ci si occupa, la compravendita di un fondo rustico (Cass., 25 febbraio 1982, n. 1191).

Con il secondo motivo si denuncia "in subordine, violazione da errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 2725 c.c., L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8; L. 14 maggio 1971, n. 817, art. 7;

artt. 112-113-115-116 c.p.c. in relazione alla censura di legittimità ipotizzate all’art. 360 c.p.c., n.ri sub 3), 4), 5) per avere i pregressi giudici della Corte territoriale mancato di ritenere e dichiarare la preliminare, e pur eccepita, inammissibilità della domanda attorea, per omissione totale della preventiva essenziale comunicazione scritta, ovvero notifica, da parte della proprietaria C.P.M.M. della "denuntiatio" oltre che ai confinanti aventi diritto a prelazione agraria, anche e specialmente agli identificati coltivatori diretti M.W., S.G. e R.R., quali proprietari delle finitime particelle di fondi agricoli (…)".

E’ noto, afferma parte ricorrente, che la denuntiatio deve rivestire necessariamente la forma scritta per esigenze di tutela e di certezza, rendendo indubbia l’effettiva esistenza di un terzo acquirente, evitando che la prelazione possa essere utilizzata per fini speculativi in danno del titolare del diritto e assicurando al terzo acquirente la certezza della compravendita con il proprietario.

Anche tale motivo è inammissibile.

L’eccezione non è stata infatti sollevata nè nel giudizio di primo grado nè nel giudizio di gravame e deve perciò considerarsi nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c. per cui non possono proporsi nuove eccezioni e, se proposte, devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio.

Con il terzo motivo si deduce "violazione da falsa interpretazione e da errata applicazione degli artt. 1372-1373-1453-2932 c.c., comma 2, nonchè degli artt. 112-113-115-116 c.p.c., in relazione alle censure di legittimità, ipotizzate ai n.ri sub 3) e 5) dell’art. 360 c.p.c.". Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non ha rilevato: 1) la già avvenuta risoluzione ope legis, del contratto preliminare; 2) l’omessa integrazione, ovvero offerta di integrazione del rapporto sinallagmatico contrattuale, in quanto la C., promittente venditrice, non aveva ancora eseguito la sua prestazione o fatto offerta di esecuzione nei modi e termini di legge.

Il motivo è inammissibile. Da un lato perchè la violazione dell’art. 112 c.p.c. deve essere eccepita come nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5; dall’altro perchè è privo di autosufficienza.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo e con attribuzione delle stesse all’Avv. Salvatore De Sarno.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorario, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Dispone la distrazione delle spese a favore dell’Avv. Salvatore De Sarno.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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