Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-02-2011) 16-03-2011, n. 10726 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 4.8.10 il Tribunale di Napoli, in sede di riesame, confermava il decreto del 1.7.10 con cui il GIP dello stesso Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo (di terreni, fabbricati, somme di denaro depositate su c/c e buoni ordinari postali) finalizzato alla confisca D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, conv. in L. n. 352 del 1992, nei confronti di P.A., P.I. e A.L., le prime due figlie, la terza convivente di P.M., indagato per il delitto p. e p. ex art. 416 bis c.p. nonchè per estorsioni aggravate L. n. 203 del 1991, ex art. 7 in relazione all’associazione per delinquere di tipo mafioso denominata clan Moccia, radicata in Afragola e Comuni limitrofi.

L’unico bene per il quale il Tribunale del riesame non confermava la misura cautelare e disponeva, quindi, la restituzione all’avente diritto P.I. era un immobile sito in (OMISSIS) (N.C.E.U. fol. 11 p.lla 712 sub 6 e sub 4), proveniente da una donazione da parte dei nonni materni.

Tramite il proprio difensore le P. e la A. ricorrevano contro la summenzionata ordinanza, di cui chiedevano l’annullamento per un solo articolato motivo con cui deducevano la propria estraneità a qualsiasi ipotesi di interposizione fittizia, in luogo dell’indagato, nella titolarità dei beni sequestrati, interposizione che, a loro avviso, non poteva desumersi dal mero rapporto di parentela. Le ricorrenti rivendicavano, altresì, la lecita provenienza dei beni, attestata dalla documentazione prodotta;

lamentavano, in particolare, il vizio costituito dall’equazione tra la ricostruzione storica della situazione dei redditi e delle attività economiche del P. e delle terze interessate ferma al 2005 e una ricognizione dei rapporti bancari ed immobiliari dilatata, invece, fino al 2009; al contrario, secondo il criterio suggerito dalla difesa, tenuto conto dell’attività lavorativa ininterrottamente svolta da P.M. e dalla sua convivente A. dal 2005 in poi, era lecito attendersi che le somme depositate, al 2009, sui c/c bancari e postali risentissero delle entrate maturate nel quadriennio 2005/2009. Infine, le ricorrenti si dolevano della mancata verifica degli eventuali redditi della moglie del P. ( M.M., deceduta nel (OMISSIS)), che avrebbero potuto concorrere alla formazione del patrimonio familiare.

1- Il ricorso è infondato.

Quanto alla presunzione di fittizia interposizione soggettiva di beni di fatto appartenenti all’indagato P.M., provento di attività delittuosa, si consideri che anche i beni dei familiari conviventi dell’indagato possono essere oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12 sexies cit., ove il loro reddito complessivo non li giustifichi (cfr., ex aliis, Cass. Sez. 2^ n. 4479 del 3.12.08, dep. 2.2.09), in ciò potendosi ravvisare seri indizi dell’interposizione soggettiva.

Nel caso di specie l’impugnata ordinanza ha posto in risalto la totale mancanza di redditi dichiarati da parte delle figlie del P. (le odierne ricorrenti Angela e Imma) nel periodo in cui furono acquistati i beni sequestrati (con l’unica eccezione dell’immobile, dissequestrato dal Tribunale del riesame, sito in (OMISSIS), N.C.E.U. fol. 11 p.lla 712 sub 6 e sub 4, proveniente da una donazione da parte dei nonni materni), mentre per quanto concerne l’indagato e la sua convivente A.L. ha accertato redditi da lavoro dipendente complessivamente di entità tale da non soddisfare neppure le normali esigenze di vita d’un nucleo familiare composto da quattro persone e, dal 2002 in poi, da cinque (vista la nascita del figlio minore, An.), men che meno – dunque – sufficienti all’acquisto degli immobili sequestrati e al risparmio delle somme depositate su c/c bancari o postali.

Del pari infondate sono le doglianze relative al criterio temporale di riferimento.

Invero, l’impugnata ordinanza ha fatto corretta applicazione dei parametri cronologici del confronto tra beni e fonti di reddito, conformemente al principio secondo cui, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 12 sexies cit., la necessaria valutazione della sproporzione tra i beni oggetto della misura cautelare e la situazione reddituale dell’interessato deve essere condotta avendo riguardo al reddito dichiarato o alle attività economiche esercitate non al momento dell’applicazione della misura e rispetto a tutti i beni presenti nel patrimonio del soggetto, bensì a quello dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, tenuto presente – altresì – che a sua volta la giustificazione credibile deve consistere nella prova positiva della lecita provenienza dei beni e non in quella negativa della loro non provenienza da reato (cfr. Cass. S.U. n. 920 del 17.12.03, dep. 19.1.04; conf. Cass. Sez. 6^ n. 5452 del 12.1.10, dep. 11.2.10; Cass. Sez. 6^ n. 721 del 26.9.06, dep. 16.1.07).

In proposito, correttamente il gravato provvedimento ha esaminato quali erano le fonti di reddito dell’intero nucleo familiare di P.M. all’epoca degli acquisti, concludendo che i documenti in atti non dimostravano proporzionali leciti introiti.

A tal fine non possono considerarsi, proprio alla stregua della summenzionata giurisprudenza, introiti successivi agli acquisti dei beni sequestrati (come l’indennità di espropriazione di terreni e l’indennità per ingiusta detenzione liquidata a favore dell’indagato soltanto il 10.6.05).

Si lamenta in ricorso che, a fronte di una ricostruzione storica della situazione dei redditi e delle attività economiche del P. e delle terze interessate ferma al 2005, siano stati poi sequestrati beni e depositi acquisiti fino al 2009, trascurando che l’attività lavorativa ininterrottamente svolta da P.M. e dalla sua convivente A. a partire dal 2005 poteva giustificare le somme risultanti depositate, al 2009, sui c/c bancari e postali.

In realtà, gli unici acquisti successivi al 2005 riguardano il summenzionato immobile donato nel 2009 (che qui non rileva, essendo stato già dissequestrato dal Tribunale del riesame) e un solo c/c (n. (OMISSIS) intestato a P.I. presso la filiale di (OMISSIS) di Poste Italiane) aperto nel 2007 e recante un saldo di Euro 7.259,35: ma anche per questo non vi è giustificazione alcuna, poichè dall’impugnata ordinanza non risulta che l’intestataria del c/c abbia percepito redditi di sorta nè prima nè dopo il 2007 (nè, si noti, il ricorso allega alcunchè a riguardo).

Inoltre, il Tribunale ha già motivatamente escluso che gli introiti lavorativi di P.M. e A.L. dal 2005 al 2009 fossero tali da soddisfare le ordinarie esigenze di vita e, per di più, consentire investimenti o risparmi.

Nè giova alle odierne ricorrenti l’ipotesi che, a parte i redditi dichiarati (o non dichiarati tout court, quanto ad P.A. e I.), possano esservi stati ulteriori introiti comunque derivanti da attività lecite: in primo luogo, è noto che l’ipotesi alternativa, come non è sufficiente a rappresentare una manifesta illogicità argomentativa denunciabile ex art. 606 c.p.p. (a riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata: cfr. Cass. Sez. 1^ n. 12496 del 21.9.99, dep. 4.11.99; Cass. Sez. 1^ n. 1685 del 19.3.98, dep. 4.5.98; Cass. Sez. 1^ n. 7252 del 17.3.99, dep. 8.6.99;

Cass. Sez. 1^ n. 13528 dell’11.11.98, dep. 22.12.98; Cass. Sez. 1^ n. 5285 del 23.3.98, dep. 6.5.98; Cass. S.U. n. 6402 del 30.4.97, dep. 2.7.97; Cass. S.U. n. 16 del 19.6.96, dep. 22.10.96; Cass. Sez. 1^ n. 1213 del 17.1.84, dep. 11.2.84 e numerosissime altre), così – a fortiori – non può segnalare un’assoluta carenza argomentativa spendibile per cassazione contro un provvedimento di sequestro.

In secondo luogo, i parametri legislativi per valutare la legittima provenienza di beni nell’ottica del cit. art. 12 sexies consistono nella sproporzione esistente tra il loro valore e il reddito dichiarato dall’interessato ai fini delle imposte sul reddito oppure nello squilibrio esistente tra detto valore e l’attività economica svolta dal medesimo. Si tratta di parametri non concorrenti, ma alternativi, di guisa che per valutare tale sproporzione il giudice prende in esame uno soltanto di essi, senza dover passare ad ulteriore valutazione con l’altro parametro una volta che abbia già constatato la sproporzione tra il valore dei beni e il parametro originariamente prescelto (cfr. Cass. Sez. 1^ n. 5202 del 14.10.96, dep. 26.10.96; Cass. Sez. 1^ n. 2860 del 10.6.94, dep. 23.8.94).

Per il resto, l’impugnazione sostanzialmente lamenta un’inadeguata disamina delle ragioni difensive inerenti all’asserita estraneità delle ricorrenti ai reati ascritti al loro congiunto, nonchè la mancata verifica dell’ipotesi che la moglie del P. ( M. M., deceduta nel (OMISSIS)) avesse percepito redditi tali da concorrere, economicamente, alla formazione del patrimonio familiare.

Si tratta di censure non consentite in questa sede, noto essendo – per costante insegnamento di questa S.C. – che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge.

E’ pur vero che in tale nozione vanno compresi (oltre agli errores in iudicando o in procedendo) anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Cass. S.U. n. 25932 del 29.5.2008, dep. 26.6.2008; Cass. S.U. n. 5876 del 28.1.2004, dep. 13.2.2004).

Ma nel caso di specie non può certo dirsi che la motivazione dell’impugnata ordinanza sia radicalmente priva d’un minimo percorso argomentativo. Anzi, i giudici del riesame hanno analiticamente preso in considerazione da un lato i beni e il denaro oggetto di sequestro, dall’altro i redditi dichiarati dall’indagato e da tutto il suo nucleo familiare (formato dalle odierne ricorrenti).

Infine, quanto all’ipotesi che la moglie deceduta dell’indagato potesse aver contribuito con propri redditi alla formazione del patrimonio sequestrato, basti ricordare che si tratta di mera ipotesi alternativa, come tale non deducibile mediante ricorso per cassazione e – quindi – a maggior ragione avverso un decreto di sequestro preventivo.

6- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *