Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 14-03-2011, n. 223 Obbligazione pecuniaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’odierno appellato, all’epoca dipendente del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha proposto ricorso al T.A.R. Palermo per ottenere il pagamento di interessi e rivalutazione sugli emolumenti – tardivamente corrispostigli – a lui dovuti per effetto degli inquadramenti ed avanzamenti di cui alla legge n. 312 del 1980 e alla legge n. 254 del 1988.

Con sentenza di cognizione n. 518 del 2002, poi passata in giudicato, l’adito Tribunale ha accolto il ricorso, riconoscendo la fondatezza della pretesa del dipendente.

Di fronte ai ritardi dell’Amministrazione l’interessato ha proposto ricorso per l’ottemperanza, accolto dal T.A.R. con la sentenza n. 2502 del 2004, recante nomina di un commissario ad acta.

Avendo il dipendente contestato le conclusioni cui era pervenuto il commissario, l’adito Tribunale ha disposto apposita C.T.U., all’esito della quale ha accolto, con la sentenza in epigrafe indicata, il ricorso in ottemperanza e ha riconosciuto all’odierno appellato le somme quantificate dal consulente.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dall’Amministrazione, la quale ne ha chiesto l’integrale riforma previa sospensione dell’esecutività, deducendo un unico motivo di impugnazione.

Si è costituito l’appellato, insistendo per l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame.

Con ord.za cautelare n. 680 del 2010 questo Consiglio ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 33 della legge n. 1034 del 1971.

All’udienza del 24 novembre 2010 l’appello è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

L’appello dell’Amministrazione è in parte fondato e va pertanto accolto per quanto di ragione.

Come riferito nelle premesse, la sentenza di cognizione – della cui corretta esecuzione si controverte nel presente giudizio – ebbe a riconoscere all’odierno appellato interessi e rivalutazione sugli emolumenti tardivamente corrispostigli dall’Amministrazione in conseguenza degli inquadramenti e avanzamenti nelle qualifiche funzionali ai sensi delle leggi n. 312 del 1980 e n. 254 del 1988.

Più in particolare, la sentenza predetta ha condannato l’Amministrazione "al pagamento degli interessi legali e rivalutazione monetaria sugli emolumenti corrisposti tardivamente a titolo di trattamento economico per effetto sia degli inquadramenti di cui all’art. 4, comma 8, della L. n. 312/80, sia dell’inquadramento di cui al combinato disposto degli artt. 20, 21 e 22 del D.P.R. n. 266/1987 e dell’art. 1 della L. n. 254/1988, con decorrenza, rispettivamente, dall’8 novembre 1988 e dalla data di entrata in vigore della L. n. 254/1988 e sino alla data di effettivo pagamento secondo la vigente normativa".

Al riguardo sostiene l’Amministrazione che la sentenza di ottemperanza qui impugnata, aderendo alle risultanze della C.T.U. disposta in primo grado, ha riconosciuto all’appellato accessori in realtà largamente eccedenti rispetto a quelli di reale spettanza e, in definitiva, anche rispetto a quelli richiesti in giudizio.

In questo senso il primo e centrale problema concerne l’individuazione del dies ad quem cui ricollegare il calcolo della rivalutazione monetaria nonché degli interessi: premesso che pacificamente le differenze stipendiali spettanti sono già state materialmente percepite dall’interessato negli anni 1992/1993 osserva l’Amministrazione che il termine finale per il calcolo della rivalutazione va appunto fissato alla data di corresponsione della sorte capitale e non (come deciso dal T.A.R. sulla scia della C.T.U.) alla data di pagamento dei suddetti accessori.

Al riguardo l’appellato controdeduce osservando in rito che la pretesa dell’appellante incontra una preclusione nel giudicato interno formatosi per effetto della prima sentenza in ottemperanza sopra citata e di una conseguente ordinanza; nel merito che ai sensi dell’art. 1194 cod. civ. i pagamenti effettuati a suo tempo dall’Amministrazione sono da imputare ad accessori, con la conseguenza che il capitale non è mai stato integralmente corrisposto.

Queste deduzioni difensive non meritano positiva considerazione.

Per quanto concerne la prima sentenza di ottemperanza, infatti, va osservato che la stessa – ove correttamente interpretata sulla scorta di una contestuale considerazione del dispositivo e delle motivazioni – non cristallizza criteri di esecuzione incompatibili con le pretese oggi azionate dall’appellante, limitandosi nella sostanza a ribadire gli enunciati della sentenza di merito.

Quanto all’ordinanza con la quale fu disposta la C.T.U., trattasi con evidenza di provvedimento non avente portata decisoria e quindi insuscettibile di passare in giudicato.

Per quanto concerne poi l’avvenuto pagamento del capitale, è noto che la disposizione dell’art. 1194 c.c., secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell’altro, accessorio, per interessi o spese (Cass. civ. sez. III n. 16648 del 2009), laddove nel caso in esame gli accessori – al tempo del pagamento – non erano nè liquidi nè soprattutto esigibili.

In sostanza, come chiarito dalla giurisprudenza, la disposizione di cui all’art. 1194 cod. civ. presuppone la simultanea esistenza della liquidità e dell’esigibilità sia del credito per capitale sia del credito accessorio, sicché fino a quando sia incerto il credito accessorio il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale (VI sez. n. 378 del 2002).

In ogni caso, come rilevato dall’Avvocatura erariale nel corso della discussione, l’odierno appellato ha originariamente intrapreso il giudizio di cognizione proprio lamentando l’avvenuto pagamento del solo capitale e richiedendo la corresponsione degli accessori, di talché non può ora – mediante tardiva controdichiarazione – revocare il consenso implicitamente ma incontrovertibilmente prestato alla predetta imputazione.

Tanto precisato, la tesi dell’Amministrazione è del tutto condivisibile in quanto il termine finale per il corretto computo della rivalutazione non può che coincidere con la data del pagamento effettivo degli arretrati e non con quella di pagamento degli accessori.

Diversamente ragionando, il dipendente verrebbe a essere risarcito – con evidente ingiustificato arricchimento – della perdita teorica di potere d’acquisto di una somma che egli ha invece già intascato ed ha quindi potuto concretamente utilizzare per le esigenze e il sostentamento suo e della famiglia.

Analoghe considerazioni possono senz’altro svolgersi per quanto riguarda gli interessi.

Concludendo sul punto, la data del soddisfo, cui del resto fanno riferimento la sentenza di cognizione e la prima sentenza di ottemperanza, è inequivocabilmente la data in cui furono corrisposti all’appellato gli arretrati per l’inquadramento e il successivo avanzamento nella superiore qualifica funzionale.

Operativamente, come deduce l’Amministrazione, la rivalutazione va calcolata sulla differenza tra l’importo nominale dei ratei riscossi e di quelli invece dovuti, e ciò come si è detto sino all’adempimento tardivo degli anni 1992/1993, con esclusione di ogni ulteriore rivalutazione della somma rivalutata.

Si ribadisce che il calcolo della rivalutazione monetaria deve essere effettuato sull’ammontare netto del credito del pubblico impiegato con esclusione delle quote retributive poste a base del computo previdenziale e del prelievo fiscale, trattandosi di somme delle quali il dipendente non avrebbe mai potuto fruire direttamente (A.p. n. 3 del 1999): in tal senso, è proprio la sentenza di cognizione a individuare come termine di riferimento l’importo nominale (cioè netto e non lordo come pretende l’appellato) dei ratei tardivamente pagati.

Inoltre, la somma dovuta a titolo di rivalutazione monetaria, come tutti i crediti, è produttiva di interessi per ritardato pagamento a far tempo dalla costituzione in mora, e quindi dalla domanda (cfr. A.p. n. 3 del 1998).

Condivisibile è poi il motivo d’appello riferito al corretto calcolo delle somme spettanti a titolo di interessi legali.

Per quanto riguarda gli interessi legali, infatti, è sufficiente richiamare le precise disposizioni contenute nella sentenza ottemperanda, la quale chiarisce innanzi tutto inequivocamente che gli stessi – computati separatamente sulla sorte capitale – si cumulano con la rivalutazione monetaria.

Ciò premesso, la sentenza evidenzia anche inequivocamente che gli interessi legali sono dovuti sugli importi nominali dei singoli ratei, dalla data di maturazione di ciascun rateo e sino al tardivo pagamento del capitale, secondo i vari tassi in vigore al momento delle scadenze, fermo restando che gli interessi stessi non possono, a loro volta, produrre ulteriori interessi stante il divieto di anatocismo, in difetto come nel caso in esame di specifica domanda.

Le considerazioni sin qui svolte evidenziano dunque da un lato la fondatezza dell’appello e dall’altro la complessiva inaffidabilità dei conteggi operati dal consulente – e fatti propri dal T.A.R. – sulla base di criteri che come si è visto risultano del tutto difformi da quelli definiti in sede di cognizione.

Peraltro, nel contesto dell’atto di appello e nei tabulati allegati l’Amministrazione quantifica le residue somme spettanti all’appellato in modo non corretto, in quanto – pur utilizzando criteri esattamente collimanti con quelli ora qui enunciati – assume però la data del 31.5.2010 come quella di effettivo pagamento del saldo degli accessori in questione.

Dal momento che tale saldo non risulta allo stato avvenuto, i conteggi in questione vanno dunque rinnovati con riferimento alla data in cui tale saldo verrà effettivamente corrisposto. L’appello dell’Amministrazione va pertanto accolto per quanto di ragione, con conseguente riforma della sentenza appellata.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Il complesso e non breve svolgimento della vicenda esecutiva induce il Collegio a disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di ottemperanza.

Resta però fermo quanto disposto dal T.A.R. in tema di spese con la sentenza n. 2502/2004, non essendo stata la stessa impugnata dall’Amministrazione, nonché quanto stabilito con decreto in ordine alla liquidazione dei compensi spettanti al commissario ad acta e al consulente.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello dell’Amministrazione nei sensi di cui in motivazione e riforma conseguentemente la sentenza appellata.

Le spese del giudizio sono compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 24 novembre 2010 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Raffaele Maria De Lipsis, Presidente, Antonino Anastasi, estensore, Guido Salemi, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, Componenti.

Depositata in Segreteria il 14 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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