Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-02-2011) 16-03-2011, n. 10986 Indulto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 10 maggio 2007 il Tribunale di Viterbo ha dichiarato S.C.A. e P.M.C. responsabili del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, per avere occupato, dal 13 dicembre 2004 al 15 gennaio 2005, alle proprie dipendenze, in qualità di collaboratrice familiare, C. S., cittadina romena priva di permesso di soggiorno, e li ha condannati, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi tre di arresto ed Euro cinquemila di ammenda ciascuno.

2. La Corte d’appello di Roma con sentenza del 1 giugno 2009, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto P.M. C. dal reato ascritto per non avere commesso il fatto e ha confermato la sentenza nei confronti dello S..

Secondo la Corte, mentre non risultava che la P. si fosse interessata al reperimento della C. quale collaboratrice familiare, era provata la responsabilità di S.C.A. sul rilievo che, pur essendosi egli rivolto a un’agenzia, era suo dovere verificare la regolarità della permanenza in Italia della donna, della quale aveva anche trattenuto il passaporto, e che il periodo di prova, che non escludeva la necessaria regolarizzazione dell’assunzione ab initio, era comunque già decorso; nè sulla configurazione del reato aveva inciso la successiva entrata della Romania nell’Unione Europea.

La pena era da ritenere congrua, mentre era opportuno rimettere alla sede esecutiva l’eventuale applicazione del richiesto condono ai sensi della L. n. 241 del 2006 per averne l’imputato S. già fruito due volte.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, S.C.A., formulando due motivi.

Con il primo motivo si censura l’errata applicazione delle norme processuali in ordine alla concessione del condono, il cui rigetto non è giustificato nè in relazione alle norme sul condono (che non è escluso nel caso di condanna per reati commessi in epoche diverse, essendo posti limiti solamente riguardo all’epoca commissi delicti, alla misura della pena e al titolo di reato), nè in relazione alla posizione soggettiva del ricorrente (che, peraltro, avrebbe fruito del condono solo una volta per essere intervenuta unificazione dei reati giudicati con le due sentenze, con applicazione della pena unica di anni due di reclusione ed Euro 3.200 di multa, condonata).

Con il secondo motivo si deduce che il reato, commesso tra il 13 dicembre 2004 e il 15 gennaio 2005, in data antecedente alla riforma dei termini prescrizionali con L. n. 251 del 2005, si è estinto per prescrizione, maturata, aggiungendo al termine massimo di anni quattro e mesi sei il periodo di sospensione dal 31 marzo 2009 al 1 giugno 2009, il 16 settembre 2009, prima della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza, effettuata il 21 settembre 2009, e in pendenza del termine per impugnare.
Motivi della decisione

1. La censura svolta con il primo motivo è manifestamente infondata.

2. Questa Corte ha affermato con orientamento costante, che questo Collegio condivide, che il ricorso per cassazione per la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile soltanto quando il giudice di merito abbia esplicitamente escluso, per la presenza di causa ostativa, l’applicazione del beneficio e non anche quando abbia omesso di pronunciarsi, riservandone l’applicazione al giudice dell’esecuzione (Sez. U, n. 2333 del 03/02/1995, dep. 07/03/1995, Aversa e altri, Rv. 200262; Sez. 3, n. 13063 del 27/10/1998, dep. 14/12/1998, Di Meo M., Rv. 212186; Sez. 2, n. 11851 del 18/02/2004, dep. 11/03/2004, Scaglioni, Rv. 228634; Sez. 2, n. 37518 del 05/05/2004, dep. 23/09/2004, Bozzoatro, Rv. 229716; Sez. 4, n. 15262 del 14/11/2008, dep. 09/04/2009, Ugolini, Rv. 243631; Sez. 3, n. 25135 del 15/04/2009, dep. 17/06/2009, Renda, Rv. 243907; Sez. 5, n. 43262 del 22/10/2009, dep. 12/11/2009, Albano e altri, Rv. 245106).

Nel caso in esame, la Corte di merito non ha escluso la possibilità dell’applicazione dell’indulto, ma ha ritenuto di rimettere la valutazione alla fase esecutiva. La questione, demandata al giudice dell’esecuzione, non è, pertanto, deducibile in sede di legittimità.

Alla manifesta infondatezza del motivo consegue il rilievo della sua inammissibilità. 3. La rilevata inammissibilità del primo motivo preclude la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, intervenuta secondo il ricorrente, che ne ha chiesto la declaratoria con il secondo motivo, prima della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza impugnata e in pendenza del termine per impugnare.

4. Secondo i principi affermati da questa Corte, se i motivi di ricorso, presentando profili d’inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze, non abbiano consentito la corretta instaurazione del rapporto processuale d’impugnazione in sede di legittimità, non è possibile rilevare e dichiarare la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266; e, tra le successive conformi, Sez. 1, n. 7678 del 08/01/2001, dep. 23/02/2001, Campanino, Rv. 218493; Sez. 6, n. 5758 del 27/11/2002, dep. 06/02/2003, Laforè e altri, Rv. 223301; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, dep. 22/04/2004, Tricomi, Rv. 228349; Sez. 1, n. 24688 del 04/06/2008, dep. 18/06/2008, Rayyan, Rv. 240594).

Considerati il titolo del reato e la data di cessazione della condotta contestata (15 gennaio 2005) e tenendo conto della sospensione del corso del termine prescrizionale, che si rileva dagli atti del giudizio di appello, per il periodo dal 31 marzo 2009 al 1 giugno 2009, la prescrizione è maturata il 16 settembre 2009, ai sensi dell’art. 157 c.p., comma 1, n. 5, artt. 158, 159 e 160 cod. pen. (nel testo previgente alla L. n. 251 del 2005), che trovano ultrattiva applicazione, quale legge più favorevole, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4.

Tale termine, pertanto, non era decorso alla data della sentenza di secondo grado (1 giugno 2009), nè a quella del suo deposito (23 giugno 209), a nulla rilevando i riferimenti operati dal ricorrente alla notifica dell’estratto contumaciale e alla pendenza del termine per impugnare, comunque successivi alla sentenza impugnata.

5. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma che si determina nella misura, ritenuta congrua, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

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