Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-02-2011) 16-03-2011, n. 10982

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 13.11.2009 il giudice unico del Tribunale di Taormina, condannava l’imputato per il reato di cui all’art. 659 c.p. e lo assolveva da quello di cui all’art. 681 c.p.: veniva ritenuto che lo spettacolo di ballo ad opera di ragazze brasiliane, al ritmo della musica, presso il ristorante (OMISSIS), era stato frutto di improvvisazione e non andava ricondotto ad una preesistente organizzazione ad opera dell’imputato, privo della debita autorizzazione. Ciò detto, veniva però ritenuto integrato il reato sub b), atteso che questo spettacolo improvvisato aveva cagionato disturbo alla quiete ed al riposo delle persone, a giudicare dal numero di telefonate che pervennero ai Carabinieri, come ebbe a riferire il teste luogotenente D.B., che precisò che il rumore si avvertiva a distanza (addirittura dalla località (OMISSIS)) e che nelle immediate vicinanze del ristorante vi erano numerose abitazioni. Veniva quindi concluso nel senso che i rumori provenienti dal locale, nella titolarità dell’imputato, superavano il limite di tollerabilità ed erano obiettivamente idonei a cagionare disturbo delle persone. Veniva inflitta la pena di Euro 150 di ammenda.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa, per dedurre:

2.1 violazione della legge penale ed in particolare dell’art. 659 c.p. Viene fatto presente che la valutazione sulla non tollerabilità del rumore deve essere condotta con riferimento alla sensibilità dell’uomo medio, che vive nell’ambiente in cui i rumori sono percepiti, non potendo rilevare le lamentele delle singole persone:

il fatto avvenne d’estate, in orario non tardo (ore 22,40), in località turistica che ospitava numerosi locali, anche notturni, contigui, con ampi spazi aperti; al locale ristorante in questione era annessa una discoteca, munita di debita autorizzazione. Lo stesso testimone D.B. nulla ha accertato sul livello della musica e sulla sua idoneità a disturbare.

2.2 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: non sarebbe stata data prova che le segnalazioni, giunte telefonicamente ai Carabinieri, si riferissero ai rumori provenienti dal locale dell’imputato e non da altri e sarebbe significativo che, per quanto il locale in questione fosse ubicato vicino alla caserma dei Carabinieri, il teste non abbia saputo dire nulla sulla durata del disturbo e sull’intervenuto superamento dei limiti di tollerabilità.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, in quanto i motivi posti a sostegno dell’impugnazione non denunciano vizi di legittimità, ma si risolvono in censure scarsamente specifiche e concernenti il merito dell’impugnata sentenza.

Il giudice di prime cure ha fatto buon governo della norma in ipotesi violata, uniformandosi all’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui si deve aver riguardo, per vedere integrata la fattispecie di reato in contestazione, ad una diffusività del disturbo, tale da coinvolgere più persone ed al superamento della soglia di tollerabilità: con motivazione adeguata, ancorata ai dati di fatto raccolti ed alle circostanze di tempo e di luogo, il giudice di merito ha dato contezza della ricorrenza di entrambi i presupposti ed ha quindi ritenuto integrata la fattispecie, senza forzatura alcuna del dato normativo e senza incorrere in alcun deficit motivazionale. In particolare, è stata valorizzata la testimonianza del teste carabiniere D.B., che aveva attestato che diversi abitanti della zona avevano lamentato di essere disturbati dal volume della musica che proveniva dal locale in questione, dato rappresentativo che ha costituito l’ancoraggio di una motivazione tutt’altro che contraddittoria o illogica nella ricostruzione del fatto.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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