Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-05-2011, n. 11400 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24 aprile 1999 il sig. L. M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Trani D.N. M. e M.N. per sentirli condannare al rilascio dell’appartamento vendutogli con rogito del 12 marzo 1995, sito in (OMISSIS), oltre che al pagamento delle spese processuali. Nella costituzione del solo convenuto D. N. (intervenuto nell’atto di compravendita sia quale nudo proprietario del suddetto immobile che quale procuratore della genitrice M.N., usufruttuaria), il Tribunale adito, con sentenza n. 13 del 2002, accoglieva la proposta domanda principale e dichiarava l’inammissibilità della domanda riconvenzionale di risoluzione formulata dal menzionato convenuto D. N..

Interposto appello da parte del D.N. e della M., nella resistenza dell’appellato, la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 214 del 2005 (pubblicata il 9 marzo 2005), accoglieva il gravame e, per l’effetto, dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita dedotto in giudizio e della scrittura privata tra le stesse intervenuta il 12 maggio 1995, ordinando la trascrizione della decisione e regolando le spese di entrambi i gradi di giudizio.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale, rilevava la fondatezza nel merito di quest’ultimo sulla scorta dell’insufficiente motivazione sull’eccezione di inadempimento formulata ai sensi dell’art. 1460 c.c. del contratto di compravendita dedotto in giudizio che si sarebbe dovuto ritenere facente parte di un più ampio rapporto commerciale intercorso tra le parti, anche in virtù della valorizzazione delle pattuizioni riconducibili alla collegata e contemporanea scrittura privata del 12 maggio 1995, ravvisando, pertanto, l’ammissibilità della proposta domanda riconvenzionale e la sua accoglibilità. Avverso l’indicata sentenza (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 14 settembre 2005 e depositato il 29 settembre successivo) il L.M., basato su cinque motivi, al quale hanno resistito con controricorso entrambi gli intimati. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 291 c.p.c., nonchè all’art. 1414 c.c. e segg., all’art. 1453 c.c. e segg. e all’art. 2697 c.c., oltre che per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. In sostanza, con tale complessa doglianza, il ricorrente ha inteso dedurre la supposta violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato oltre che del divieto di proposizione di domande nuove in appello, sul presupposto che il D.N., a fronte della domanda principale di rilascio dell’immobile dedotto in giudizio, aveva eccepito l’inadempimento dell’attore e, in via riconvenzionale, aveva proposto domanda di risoluzione per inadempimento della collegata e contestuale scrittura privata del 12 maggio 1995 con conseguente richiesta di annullamento dell’atto pubblico di compravendita in favore del L. per vizio del consenso, nel mentre in secondo grado, con la proposizione dell’appello principale, aveva riformulato la domanda di risoluzione sia della suddetta scrittura privata (avente valore di controdichiarazione per quanto attinente all’elemento del pagamento dei prezzo) che dell’atto pubblico di compravendita, così incorrendo nella prospettazione di una domanda nuova rispetto a quella avanzata in riconvenzionale nel giudizio di prima istanza.

1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

In linea generale si ricorda che – per giurisprudenza costante di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. 29 novembre 2004, n. 22473;

Cass. 23 marzo 2006, n. 6431, e, da ultimo, Cass. 8 aprile 2010, n. 8342) – è configurabile una domanda nuova, inammissibile in appello, quando gli elementi dedotti in secondo grado comportano il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, integrando una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado, e ciò anche se questi fatti erano stati già esposti nell’atto di citazione, ma al mero scopo di descrivere ed inquadrare altre circostanze, mentre soltanto nel giudizio di appello, per la prima volta, sono stati dedotti con una differente portata, a sostegno di una nuova pretesa, determinando in tal modo l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione.

Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, con motivazione logica ed adeguata, ha precisato come, in effetti, sia nella comparsa di risposta di primo grado che nel contenuto dell’atto di appello emergeva che il D.N. avesse manifestato, in modo in equivoco, la chiara volontà di ottenere una pronuncia risolutiva sia della scrittura privata del 12 maggio 1995 che del coevo atto pubblico per grave inadempimento del L., con la conseguenza che, in effetti, non era ravvisabile – in rapporto all’atto di appello – alcun mutamento della domanda riconvenzionale sia con riferimento alla "causa petendi", in quanto attinente al già dedotto inadempimento (sotto forma di eccezione in senso stretto) del L. agli obblighi assunti con la richiamata scrittura privata stipulata tra le parti in pari data di eseguire le due corrispettive prestazioni, nè con riguardo al "petitum", che si era sostanziato – nella sua essenza – nella richiesta di risoluzione del complessivo negozio giuridico a prestazioni sinallagmatiche. Del resto, la Corte barese ha idoneamente spiegato che, ai fini della qualificazione del contenuto della domanda riconvenzionale avanzata in primo grado, non poteva sortire alcuna efficacia decisiva il riferimento alla richiesta di annullamento dell’atto pubblico di compravendita per vizio di consenso dello stesso D.N., giacchè, considerata l’impostazione complessiva dell’atto processuale, tale indicazione era riconducibile ad una mera improprietà terminologica non incidente sull’effettiva volontà di instare per la risoluzione del contratto, avuto riguardo all’inadempimento dell’acquirente del pagamento di parte del prezzo mediante la fornitura delle merci (due containers di vino) risultante dalla scrittura privata contestualmente conclusa (rilevando, peraltro, che nessun vizio del consenso era stato in concreto prospettato).

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 167 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 291 c.p.c., nonchè all’art. 1414 c.c. e segg., all’art. 1453 c.c. e segg. e all’art. 2697 c.c., congiuntamente all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. In particolare, con tale doglianza, il ricorrente ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva omesso di considerare la diversa posizione processuale dei due appellanti (il D.N. e la M.), statuendo anche sulle domande della M., la quale non si era limitata a formulare mere difese, ma aveva chiesto la riforma della sentenza di primo grado in base all’eccezione, non rilevabile d’ufficio, di cui all’art. 1460 c.c., proponendo, a sua volta, con l’appello la domanda posta a fondamento di quella riconvenzionale avanzata dal solo D. N. in primo grado.

2.1. Anche questa censura è priva di fondamento e va respinta.

Se è pur vero che la M., convenuta in primo grado insieme al D.N., non si era costituita e non le era stata notificata la domanda riconvenzionale proposta dall’altro suddetto convenuto, a seguito dell’emanazione della sentenza di accoglimento della domanda principale in primo grado era sopravvenuto il suo interesse ad impugnare detta sentenza anche in relazione ai motivi sottesi alla proposta domanda riconvenzionale, ragion per cui l’omissione dell’adempimento della notificazione ai sensi dell’art. 292 c.p.c. non aveva determinato alcun pregiudizio nei confronti della sua sfera giuridica nè con riferimento allo stesso D.N. (che si trovava in una identica posizione sostanziale e processuale e che, peraltro, era intervenuto nella compravendita stipulata il 12 maggio 1995, oltre che nella sua qualità di nudo proprietario dell’appartamento oggetto del contratto, anche nella spiegata qualità di procuratore speciale della madre M.N., giusta specifica procura notarile speciale autenticata), nè con riguardo al L., che, pur rivestendo una posizione contrapposta, avrebbe potuto, a seguito dell’appello, spiegare tutte le sue difese anche con riguardo alla M., come è poi avvenuto, onde non può ritenersi che si sia venuta a verificare, in concreto, la dedotta violazione processuale. Pertanto, ancorchè la verifica della costituzione in giudizio e di ogni altro adempimento processuale debba essere effettuata singolarmente per ciascun soggetto, il mancato rilievo in appello del suddetto adempimento non ha inciso sulla posizione sostanziale della M. e sul diritto di difesa del L., così consentendo (evitandosi la necessità dell’instaurazione di un separato e nuovo giudizio ad istanza della M., riferito, però, alla stessa situazione processuale e sostanziale già dedotta in giudizio dal D.N., nella precisata qualità) anche il rispetto del principio generale della ragionevole durata del processo non disgiunto dalla sostanziale osservanza dell’altro principio cardine del giusto processo. Del resto, oltre a tali valutazioni, bisogna considerare, in modo assorbente, come non risulti che il L., costituendosi in appello, abbia riformulato la specifica eccezione relativa al vizio processuale in questione, accettando il contraddittorio anche nei confronti dell’impugnazione principale proposta dalla M., essendosi limitato ad eccepire l’inammissibilità del gravame con riferimento al supposto mutamento degli elementi della domanda riconvenzionale (di cui già si è discorso con riguardo al primo motivo del ricorso proposto in questa sede) e l’infondatezza nel merito dell’appello stesso, senza porre alcun riferimento all’inammissibilità del gravame con riguardo alla mancata partecipazione al processo di primo grado della medesima M. e all’omessa notificazione a suo favore della comparsa contenente la domanda riconvenzionale, così incorrendo nella decadenza prevista dall’art. 346 del codice di rito.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – per assunta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 c.c. nell’interpretazione della scrittura privata del 12 maggio 1995 e dell’atto pubblico di compravendita in pari data, nonchè per violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. e segg., ed, in particolare, degli artt. 1459 e 1460 c.c., oltre che dell’art. 36 c.p.c. e della disciplina dei contratti collegati, deducendo, altresì, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto – ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 100, 112, 115, 116 e 345 c.p.c., nonchè dell’art. 1362 c.c. e segg., dell’art. 2697 c.c., congiuntamente al vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

4.1. Anche questi due ulteriori motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi, sono infondati e vanno, quindi, rigettati.

Con queste complesse doglianze il ricorrente ha, essenzialmente, contestato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ravvisato la sussistenza di un’ipotesi di collegamento negoziale tra l’atto pubblico di compravendita e la coeva scrittura privata, con la ripercussione della risoluzione della seconda sul primo, lamentando, anche, il vizio di motivazione in ordine all’estensione della risoluzione da un atto all’altro evitandosi di considerare il titolo di cui erano portatori il D.N. e la M. nonchè la circostanza che quest’ultima non era parte della contemporanea scrittura privata.

E’ risaputo che, affinchè possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. La giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. 28 giugno 2001, n. 8844; Cass. 18 luglio 2003, n. 11240, e Cass. 17 dicembre 2004, n. 23470) ha, altresì, specificato che il collegamento negoziale non da luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, il criterio distintivo tra contratto unico e contratto collegato non è dato solo da elementi formali, quali l’unità o pluralità dei documenti contrattuali, o dalla contestualità delle stipulazioni, bensì anche (e soprattutto) dall’elemento sostanziale dell’unicità o pluralità degli interessi perseguiti. L’accertamento dell’avvenuta conclusione di un solo contratto o di una pluralità di contratti tra loro collegati in modo da configurare un’unica pattuizione complessiva ovvero di distinti contratti conservanti ciascuno una distinta individualità giuridica (alla quale corrisponde una differenzia funzione) rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Orbene, dal percorso argomentativo illustrato nella sentenza impugnata, la Corte territoriale ha idoneamente rilevato – sviluppando il proprio ragionamento in modo adeguato e logico in rapporto alle risultanze della controversia – che, in ragione del contenuto, delle modalità e della connotazione soggettiva, la scrittura privata intercorsa tra le parti nella stessa data del 12 maggio 1995 non poteva considerarsi – sul piano funzionale ed economico – indipendente e distinta dalla coeva stipula del contratto pubblico di compravendita, emergendo, anzi, la sussistenza di un inequivoco sinallagma tra i due atti, che, quindi, giustificava l’ammissibilità della proposta domanda riconvenzionale, dovendosi ritenere sussistente il nesso di collegamento con la domanda principale di cui all’art. 36 c.p.c. In proposito, la Corte barese, oltre a valorizzare il contenuto di alcune ammissioni compiute nella corrispondenza intercorsa con le controparti (come la missiva del 6 marzo 1998, laddove si affermava che la vendita dell’appartamento sito in (OMISSIS) era stata effettuata a regolamentazione di un rapporto commerciale più ampio, come enunciato nella scrittura privata contestuale all’atto pubblico, in virtù del quale si sarebbe dovuto ritenere che il prezzo complessivo era stato concordato in L. 115.000.000), ha evidenziato anche la sussistenza di una serie di elementi univoci e concordanti tesi ad avallare il dedotto collegamento negoziale, come: – l’espresso richiamo individuato nella scrittura privata del 12 maggio 1995 all’atto pubblico di compravendita ed il riferimento ad esso come oggetto dell’ulteriore regolamentazione; la stipula della scrittura privata in continuità ed in prosecuzione dell’atto di compravendita ad integrazione e a completamento dello stesso per la determinazione del prezzo effettivo; l’identità dei soggetti sottoscrittori dell’atto pubblico e della scrittura privata (non potendo esservi dubbio che il D. N. aveva preso parte alla scrittura in proprio e come rappresentante della madre M.N., per quanto desumibile dal contenuto complessivo dell’atto e, in particolare, dall’espresso richiamo al rogito stipulato in pari data, in cui era stata precisata la qualità del titolo per il quale il D.N. vi aveva complessivamente partecipato); il differimento del termine del rilascio dell’appartamento di cui all’atto pubblico di compravendita in favore del L. al 30 dicembre 1997 congiuntamente all’impegno assunto da quest’ultimo di eseguire prima le forniture di due partite di vino, e cioè quella per il valore di L. 28.800.000 entro un apposito termine e quella per un importo di L. 27.200.000 a richiesta del D.N.. Sulla scorta di questi globali e certamente correlati elementi oggettivi e soggettivi, non disgiunti da una valutazione ermeneutica (in relazione ai criteri preferenziali di cui agli artt. 1326 e 1363 c.c.) delle complessive pattuizioni emergenti dai due atti (nei quali era univocamente trasparente il collegamento tra i due negozi), si deve ritenere che la Corte di appello ha fornito sicuramente una corretta e logica ricostruzione dell’unitaria funzione causale dei due contratti, concludendo, coerentemente, per la sussistenza di un rapporto sinallagmatico delle complessive prestazioni dagli stessi evincibili, specificando che la scrittura privata non poteva avere altra funzione se non quella di regolamentare il pagamento del saldo del prezzo della compravendita, saldo che sarebbe dovuto intervenire non in danaro ma mediante le pattuite forniture delle due distinte partite di vino.

Conseguentemente, essendo stato accertato l’inadempimento di quest’ultima obbligazione da parte del L., la Corte territoriale ha legittimamente ritenuto lecito non solo il comportamento del D.N. (nella sua complessiva qualità) a rifiutare l’adempimento della propria prestazione (consistente nel rilascio dell’immobile compravenduto) ma anche l’esercizio del diritto di richiedere la risoluzione dell’intero regolamento contrattuale, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., posto che il suddetto inadempimento (anche in questo caso valutato con motivazione congrua e rispondente alle esigenze scaturenti dalla complessiva rilevanza economica delle concordate pattuizioni) non poteva qualificarsi di scarsa importanza, in considerazione del valore delle forniture rimaste ineseguite, equivalenti ad oltre la metà del prezzo pattuito per la vendita immobiliare e, perciò, tale da ledere apprezzabilmente l’interesse dei venditori.

Pertanto, essendo stato appurato che le parti, nella loro autonomia negoziale, avevano posto in essere un collegamento fra i due specificati coevi contratti, in modo da perseguire un risultato economico unitario e complesso attraverso il coordinamento di entrambi i negozi, si era venuto a determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra di essi, così che le vicende relative alla risoluzione della scrittura privata si erano ripercosse sull’atto pubblico di compravendita immobiliare, producendone, a sua volta, lo scioglimento.

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha denunciato – avuto riguardo sempre all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2721 c.c., nonchè degli artt. 115, 116, 167, 189, 245 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c., comma 3, unitamente alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1181 e 1455 c.c., oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. In effetti, con questa doglianza, il ricorrente prospetta la illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui non aveva ammesso la richiesta di prova orale già dedotta nel giudizio di primo grado siccome ritenuta generica, non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni nel suddetto giudizio e, comunque, inammissibile in quanto relativa all’accertamento di circostanze eccedenti i limiti di valore previsti dagli artt. 2721 e 2726 c.c. 5.1. Anche quest’ultimo è da ritenere infondato e deve essere respinto.

Al di là del profilo che la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio di motivazione della sentenza, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), quando il vizio emerga dal ragionamento posto alla base della decisione (che risulti incompleto o illogico o contraddittorio) ed il ricorrente indichi specificamente le circostanze di fatto oggetto della prova ed il nesso di causalità tra la mancata ammissione e la decisione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività della prova non ammessa, deve sottolinearsi che la Corte territoriale ha offerto un più che adeguato riscontro, sul piano della congruità logico-giuridica del ragionamento svolto, della propria scelta di non dar luogo alla richiesta di ammissione di prova orale. Infatti, a tal proposito, il giudice di appello ha evidenziato come la circostanza del supposto intervenuto pagamento delle due forniture di vino dovute era già stata esclusa in virtù della valutazione dei plurimi documenti prodotti dal L. siccome riferibili o ad epoche diverse o perchè generiche o in quanto relative a forniture di merce completamente diversa da quella pattuita e riguardante un diverso rapporto creditorio – debitorio tra il D.N. e il pastificio (OMISSIS); inoltre, la Corte barese ha rilevato l’estrema genericità della richiesta istruttoria siccome non articolata per capitoli specifici (non potendo ritenersi sufficiente un mero richiamo "per relationem" a quella dedotta in primo grado), sottolineando, peraltro, che la stessa non era stata nemmeno riprodotta in sede di precisazione delle conclusioni all’esito de giudice di prima istanza, con la conseguenza che essa doveva intendersi implicitamente rinunciata, non evincendosi, in ogni caso, in base ad una valutazione demandata in via esclusiva al giudice del merito, l’indispensabilità dell’assunzione della medesima (come richiesto dal difensore dello stesso L.), oltretutto relativa a circostanze eccedenti i prescritti limiti di valore per la sua ammissibilità. 6. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio nei confronti di ciascuna delle parti controricorrenti, nella misura come liquidata in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate, per ognuno dei due contro ricorrenti, in complessivi Euro 1.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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