Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-05-2011, n. 11382 Danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Nel 1993 Gera s.r.l. e D.F.B., titolare la prima del complesso edilizio "La Giocca" nel quale gestiva anche un ristorante ed il secondo dell’azienda alberghiera ospitata nel medesimo complesso, agirono giudizialmente nei confronti dell’Arias e della s.p.a. Asfalti Sintex per il risarcimento dei danni che affermarono di aver subito a seguito della realizzazione della terza corsia del Grande Raccordo Anulare di Roma.

I convenuti resistettero.

Con sentenza n. 15432 del 2003 il tribunale di Roma condannò i convenuti (Anas e fallimento della Asfalti Sintex) al pagamento di complessivi Euro 378.049, di cui Euro 3.615 per il danno strutturale arrecato ad una rampa del complesso edilizio, Euro 206.584 per il danno derivato dalla minore visibilità dell’albergo e del ristorante ed Euro 167.850 per l’incremento di immissioni rumorose.

2.- L’appello principale dell’Anas e quello incidentale del D. F. e di RU.FI s.r.l. (incorporante della Gera s.r.l.) sono stati respinti dalla corte d’appello di Roma con sentenza n. 811/08, con la quale è stato, in particolare, posto in rilievo come il tribunale non avesse ben chiarito le ragioni della ravvisata responsabilità dei convenuti in ordine al danno da minore esposizione alla vista del pubblico e di Asfalti Sintex in ordine a quello da immissioni di rumore (ma che di tanto le parti non s’erano dolute).

3.- Ricorre per cassazione l’Anas affidandosi a tre motivi.

Resistono con controricorso D.F. e RU.FI s.r.l., che propongono ricorso incidentale basato un unico motivo.

Il fallimento di Asfalti Sintex s.p.a. non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

A) Il ricorso principale dell’Anas.

2.- Col primo motivo – denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e delle norme e dei principi in materia di concessione di lavori pubblici – l’Anas si duole della propria condanna al risarcimento benchè dovesse appuntarsi solo in capo al concessionario la responsabilità per la ravvisata (a pag. 8 della sentenza impugnata) "illiceità delle modalità con le quali sono tate costruite la terza corsia del GRA e la rampa di acceso qui in contestazione". 2.1.- Il motivo è infondato in quanto muove dal presupposto che l’illiceità attenesse alle modalità d’esecuzione, esaltando la valenza del termine "modalità" (utilizzato dalla corte territoriale nel riferire il non impugnato postulato del tribunale) ma del tutto prescindendo dagli ulteriori rilievi della corte d’appello che, in relazione alle "conseguenze in tema di ridotta esposizione al pubblico e di accentuata immissione di rumori", ha subito dopo fatto riferimento a danni cagionati dal progetto esecutivo approvato dalla concedente ed "acquisito in proprietà dell’ANAS" (alla stessa pag. 8 della sentenza).

3.- Col secondo motivo la sentenza è censurata per omessa o insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo costituito dall’intervenuto ampliamento dell’edificio e della successiva costruzione di un altro manufatto in violazione delle previsioni dell’atto di retrocessione delle aree originariamente espropriate.

Si sostiene che la corte d’appello, nell’apprezzare il deprezzamento del complesso immobiliare, s’era limitata al rilievo che difettava la prova dell’avvenuta costruzione degli edifici in questione in assenza di concessione edilizia o in violazione di norme urbanistiche, ma che non aveva in alcun modo considerato il pur dedotto contrasto della costruzione di un fabbricato secondario con quanto previsto all’art. 4 dell’atto di retrocessione delle aree già espropriate nel 1965. 3.1.- Il motivo è fondato.

Difetta effettivamente in sentenza ogni considerazione dell’aspetto posto in luce dalla ricorrente (allora appellante) Anas, suscettibile di incidere sull’entità del complesso immobiliare il cui valore era stato considerato diminuito, e dunque sul quantum.

Nè può condividersi l’assunto dei controricorrenti (a pag. 9 del controricorso), secondo i quali la corte d’appello aveva dato atto che il c.t.u. aveva adottato un metodo di stima che scontava già in partenza i vincoli esistenti, escludendo del tutto l’eventualità che gli immobili potessero in futuro subire modificazioni mediante la costruzione di "fabbricati, opere murarie, alberi di alto fusto, recinzioni non a giorno" (così la sentenza, a pagina 10) . Che fosse scontato, nella stima, un vincolo esistente al momento della stessa e tale da escludere la possibilità di modificazioni future, non equivale affatto a ritenere scontata anche la avvenuta considerazione di modificazioni passate, alle quali s’era riferita l’appellante Anas.

4.- Col terzo motivo sono dedotti violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte d’appello, recependo la stima del c.t.u. che aveva fatto riferimento al rumore tout court, apprezzato il danno da immissioni di rumori provocati dal traffico senza considerare che il danno lamentato era stato collegato dagli attori alla realizzazione della terza corsia del raccordo anulare di Roma, sicchè si sarebbe dovuto liquidare solo il danno derivato dall’eventuale incremento delle immissioni sonore, che evidentemente sussistevano anche quando le corsie erano solo due.

4.1.- Nell’esposizione dei fatti che precede l’illustrazione dei motivi di ricorso l’Anas espone (alla non numerata pagina 2 del ricorso) che in appello essa s’era doluta della decisione di primo grado per non avere il tribunale considerato che già prima dell’esecuzione della terza corsia il complesso immobiliare era assoggettato ad immissioni sonore, peraltro attutite in ragione della installazione di pannelli assorbenti.

Non afferma di avere allora prospettato un vizio di ultrapetizione. E non può di tanto dolersi per la prima volta in questa sede, giacchè altro è una doglianza, quale quella proposta in appello, relativa allo "acritico accoglimento da parte del tribunale delle conclusioni cui è pervenuto il c.t.u." in ordine al calcolo di danni da immissioni sonore che già esistevano (così la sentenza impugnata, a pag. 5, non censurata sul punto), che integra un possibile error in iudicando; altro è prospettare, in relazione alla mera conferma del decisum da parte della corte d’appello, un error in procedendo.

La censura è, dunque, inammissibile, in quanto non è prospettabile per la prima volta col ricorso per cassazione il vizio di extrapetizione della sentenza di primo grado di cui il ricorrente non si sia doluto, sotto tale specifico profilo, in appello.

B) Il ricorso incidentale RU.FI s.r.l. – D.F..

5.- I ricorrenti incidentali si dolgono, deducendo con l’unico motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 873 c.c., che la corte d’appello abbia ritenuto irrilevante la loro censura relativa all’inapplicabilità (ravvisata dal tribunale) delle norme locali in tema di distanze. E ciò sulla scorta dell’erroneo assunto che il danno da violazione delle norme sulle distanze debba essere provato (in altro non consistendo, di solito, che nella diminuzione di aria, luce o visibilità, secondo quanto affermato dalla corte d’appello a pag. 5 della sentenza), così discostandosi dal principio enunciato da Cass., nn. 10600/1999 e 3341/2002, le quali hanno invece affermato che il danno conseguente alla violazione delle norme del codice civile ed integrative di queste, relative alla distanze nelle costruzioni, si identifica nella violazione stessa, determinando quest’ultima un asservimento di fatto del fondo del vicino, al quale, pertanto, compete il risarcimento senza la necessità di una specifica attività probatoria.

5.1.- La censura è fondata, essendosi la corte d’appello effettivamente discostata dal principio – che va anche in quest’occasione ribadito secondo il quale (pur essendosi chiarito che si verte pur sempre in ipotesi di danno conseguenza e non già di danno evento) "in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria; ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto certo ed indiscutibile dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo, e quindi della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi sussistente senza necessità di una specifica attività probatoria" (così, da ultimo, Cass. n. 25475/2010, cui adde, ex coeteris, oltre alle sentenze richiamate dai ricorrenti, Cass., nn. 1196/2010, 5514/1998, 10775/1994).

Resta salva la questione relativa all’applicabilità nella specie delle norme comunali, esclusa dal tribunale in relazione al tipo di costruzione, essendo evidente che l’applicazione del suddetto principio di diritto potrà trovare spazio solo se la corte d’appello riformerà la sentenza del tribunale sul punto.

6.- In conclusione, accolti il secondo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, la sentenza va cassata con rinvio alla stessa corte d’appello in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri, accoglie il ricorso incidentale, cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Roma in diversa composizione.

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