Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-02-2011) 16-03-2011, n. 10691

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 18 marzo 2010, la Corte d’Appello di Potenza, sezione penale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Matera, sezione distaccata di Pisticci, appellata da I.D. e D.D.V.G., sostituiva le pene detentive loro inflitte rispettivamente per I. con quella della multa di Euro 6.840 determinando la pena finale complessivamente in Euro 7.240 di multa; per A. con quella della multa di Euro 4.500 determinando la pena complessiva in Euro 4.760. Confermava nel resto la decisione impugnata con la quale I. era stato dichiarato colpevole di truffa aggravata continuata perchè nella qualità di medico chirurgo responsabile del servizio Day Hospital presso l’Ospedale di (OMISSIS) registrava orari di ingresso e di uscita diversi da quelli effettuati in tal modo inducendo in errore l’amministrazione sanitaria che lo retribuiva per ore di lavoro non effettuate, secondo quanto specificamente indicato nel capo d’imputazione, dal 24 febbraio al 26 marzo 2004, con il concorso di D. per il fatto del (OMISSIS) e di altri rimasti ignoti e condannati, riconosciute ad entrambi le attenuanti generiche e quella dell’art. 62 c.p., n. 4 prevalenti sulla contestata aggravante, ritenuta la continuazione per I., alla pena di sei mesi di reclusione ed Euro 400 di multa quest’ultimo e quattro mesi di reclusione e Euro 200,00 di multa D., con il beneficio della sospensione condizionale della pena per entrambi, pena condonata. La Corte territoriale nel merito riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta delle testimonianze dei Carabinieri che avevano effettuato i servizi di osservazione e che avevano sorpreso D. alle ore 14.04 del (OMISSIS) nell’atto in cui timbrava il cartellino di I., il quale era già stato visto uscire dall’ospedale alle ore 13.27. Ricorrendone i presupposti, sostituiva la pena detentiva con quella pecuniaria.

Escludeva la ricorrenza dei presupposti per riconoscere anche il beneficio della non menzione. Contro tale decisione hanno proposto tempestivi ricorsi gli imputati, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: A- (comune ad entrambi)- violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 56 e 640 c.p. nonchè violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e con riferimento all’art. 533 c.p.p. per non avere la sentenza impugnata dato risposta allo specifico motivo di appello con il quale si era chiesto "il riconoscimento dell’ipotesi attenuante del tentativo", tale non potendo ritenersi l’argomento speso dall’estensore, che si è risolto in motivazione meramente apparente perchè priva dell’indicazione delle prove poste a base della decisione, secondo il quale "in mancanza di prova contraria che, se del caso, sarebbe stato agevole fornire, esibendo la documentazione attestante le detrazioni retributive corrispondenti alle assenze, non può che concludersi per la esattezza della contestazione, nella forma del reato consumato" si doveva ritenere correttamente contestata l’ipotesi consumata; B- (comune ad entrambi gli imputati)- violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: B.1) per non avere la sentenza impugnata dato risposta allo specifico motivo di appello che si soffermava sulla questione del "ragionevole dubbio" di cui all’art. 533 c.p.p.;

B.2 per non aver dato risposta al motivo di appello con il quale si era chiesto di valutare l’oggettività del fatto e la carenza dell’elemento psicologico in forza del principio di non offensività;

B.3 per non aver dato risposta allo specifico motivo di appello sulla questione dell’inadeguatezza della formula assolutoria in ordine al reato di cui all’art. 340 c.p.; B.4 in relazione al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna sul certificato penale, diniego giustificato con motivazione illogica ed arbitraria, volta che i ricorrenti erano stati riconosciuti meritevoli delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato, perchè la sentenza impugnata ha congruamente risposto alla doglianza difensiva, con la quale si instava per la derubricazione a tentativo della contestata truffa consumata, attraverso la formulazione di argomentazione (c.d. prova logica) che, in quanto non manifestamente illogica, non può essere oggetto di censura in questa sede.

Ed invero nella sentenza di primo grado si era dato espressamente atto che, a seguito della timbratura del cartellino marca tempo che attestata la presenza in ospedale per la durata ordinaria di lavoro, l’imputato aveva percepito "ordinario stipendio".

Con il gravame gli appellanti si erano limitati ad affermare genericamente che mancava la prova di tale assunto.

Correttamente la Corte territoriale, in omaggio alla regola dell’obbligo di specificità stabilito dall’art. 581 c.p.p., lett. c) (che impone che ogni richiesta sia giustificata dall’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi in fatto a sostegno della richiesta stessa violazione sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) ha rilevato che, a fronte di un quadro indiziario di significato univoco (posto che la difesa dei I. si era orientata a contestare l’addebito e quindi ad affermare la sua presenza in ufficio nelle ore risultanti ufficialmente attraverso la marcatura del ed badge), sarebbe stato onere dell’appellante fornire la prova contraria della mancata percezione della retribuzione per le ore in cui era stata processualmente accertata la sua assenza dal posto di lavoro.

2. Il secondo motivo di ricorso:

2.1. è infondato per la parte in cui lamenta omessa risposta al motivo di appello con il quale si era argomentato in ordine al principio del ragionevole dubbio. Ed invero la sentenza impugnata, anche attraverso il richiamo per esteso del passaggio motivazionale centrale della sentenza di primo grado, ha congruamente giustificato il convincimento della certezza della responsabilità degli imputati, attraverso l’analisi attenta del risultato probatorio, avendo opportunamente tenuto conto anche delle testimonianze introdotte a discarico che sono state esaminate raffrontandole con quanto riferito dai Carabinieri in ordine alla individuazione certa della persona fisica, a loro nota, di I.D., visto entrare o uscire dall’ospedale con annotazione dell’orario, orario non coincidente con quello marcato tramite badge.

Per implicito ha quindi tenuto conto di quanto rappresentato con l’appello perchè ha fatto concreta applicazione dei principi di diritto invocati;

2.2. è ancora infondato per la parte in cui lamenta che la sentenza impugnata non avrebbe "offerto adeguata motivazione" in ordine ai rilievi difensivi sulla sussistenza dell’elemento psicologico in forza del principio di non offensività, perchè l’assunto secondo il quale la sentenza impugnata si sarebbe limitata ad affermare che il dolo è in re ipsa è formulato estrapolando dal contesto motivazionale un unico inciso, senza tener conto del contesto motivazionale che ha consentito alla Corte territoriale di poter conclusivamente (dopo cioè aver analizzato scrupolosamente il compendio probatorio, di significato univoco, per la precisione e concordanza dei gravi elementi indiziari esaminati) affermare che era evidente la preordinazione delle condotte finalizzate ad "usufruire di infedeli registrazioni della presenza sul posto di lavoro".

E’ giurisprudenza costante di questa Corte (riconosciuta e richiamata anche dai ricorrenti) che integra il delitto di truffa anche l’assenza non registrata dal posto di lavoro per recarsi alla mensa.

Nel caso in esame, per come risulta dalla sentenza impugnata, le assenze dal posto di lavoro, in un arco complessivo di sei ore, sono state di durata mediamente superiore ad un’ ora (il 25.2.2007 quasi di due ore). Sicchè non può negarsi che vi sia stato accertamento oggettivo del rilievo sotto il profilo dell’offensività della condotta ripetutamente serbata da I.D. e, per l’unico episodio rimasto a carico di D., anche da quest’ultimo ricorrente (che registrò l’orario di uscita per I. alle ore 14,04 mentre era uscito più di mezz’ora prima). Peraltro la giurisprudenza (invocata genericamente) formatasi in materia di peculato per l’uso del telefono ha proceduto alla valutazione dell’offensività in relazione ad episodi di infimo valore (cfr.

Cass. Sez. 6 n. 26595/2009; 21335/2007; 25273/2006), nè i ricorrenti hanno invocato la sussistenza di esigenze di natura eccezionale, tale da giustificare il mancato rispetto dell’orario rilevato tramite il badge (argomenta da Cass. Sez. 6, n. 7772/2003);

2.3. in relazione alla mancanza di motivazione in ordine al motivo di appello con il quale si era denunciata inadeguatezza della formula assolutoria per il delitto di cui al capo B della rubrica, deve rilevarsi che la doglianza è inammissibile, per carenza di interesse, inammissibilità che, ancorchè non espressamente rilevata dalla Corte territoriale, può esserlo in questa sede. Va invero confermato che "non vi è l’interesse dell’imputato, assolto perchè il fatto non sussiste ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, a proporre impugnazione, atteso che tale formula – relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova – non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, nè segnala residue perplessità sull’innocenza dell’imputato, nè derivano incidenze pregiudizievoli e l’interesse all’impugnazione non sussiste ove si risolva in una pretesa, meramente teorica ed astratta, all’esattezza giuridica della pronuncia e sia, comunque, tale da non condurre ad alcuna modifica degli effetti del provvedimento (Cass. Sez. 5, 6.5.2009 n. 27917; CONF. S.U. n. 2110 del 1996, rv. 203762).

Nel caso in esame correttamente in dispositivo venne richiamato l’art. 530 c.p.p., comma 2, posto che in motivazione si era rilevata la mancanza di prova in ordine al delitto di interruzione di pubblico servizio;

2.4. anche l’ultimo motivo di ricorso è infondato. Indipendentemente dal richiamo al "trattamento sanzionatorio", la sentenza ha giustificato il diniego del beneficio in ragione della "natura della vicenda, che non può dirsi irrilevante", ha cioè formulato una valutazione secondo il parametri di cui all’art. 133 c.p., peraltro bene illustrati in motivazione, in relazione in particolare all’intensità del dolo (preordinazione della condotta al fine di trarre in inganno l’amministrazione).

Va invero condiviso il principio per il quale "la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 c.p., senza che sia necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione (Cass. Sez. 3, 17.2.2009-25.2.2010 n. 7608).

3. I ricorsi debbono in conseguenza essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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