Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-02-2011) 16-03-2011, n. 10689 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 12 gennaio 2010, la Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Sassari appellata da F.F., dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti in relazione al delitto di cui al capo e) del foglio 15 della richiesta di rinvio a giudizio perchè l’azione penale non poteva essere esercitata per mancanza di querela e per l’effetto riduceva la pena a quattro anni due mesi dieci giorni di reclusione; confermava nel resto la decisione impugnata con la quale F. era stato dichiarato colpevole di partecipazione ad associazione criminale finalizzata al compimento di delitti contro il patrimonio (capo A foglio 2) nonchè di delitti di ricettazione di moduli di assegni bancari della Banca Commerciale Italiana ag. (OMISSIS) provento di furto in danno di M.A. (capi A ed F del foglio 4; capo 1 del foglio 5;

capi B, C ed E del foglio 9), ricettazione di carta d’identità facente parte di stock provento di furto in danno del Comune di (OMISSIS); truffe in danno di F.lli Secchi srl per l’acquisto di 150 litri di olio, della società finanziaria Agos Italfinco per l’acquisto rispettivamente di un computer e di autovettura Mazda nonchè di delitti falso e sostituzione di persona.

La Corte territoriale, rigettata la richiesta di prescrizione di alcuni reati in considerazione della contestata recidiva, nel merito riteneva la responsabilità per il delitto associativo essendo stata raggiunta la prova dell’sussistenza dell’associazione criminale perchè finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio sulla base di un sistema organizzato (che prevedeva l’approvvigionamento di documenti di identità, la loro falsificazione e sistematica utilizzazione, con scambio interno di tali documenti falsificati in funzione di utilità all’associazione; l’utilizzo di canali di smercio dei beni compendio delle truffe, soprattutto per quelli di maggior valore; distribuzione interna dei compiti, per come riconosciuto dallo stesso F.);

quanto ai delitti di cui ai capi A e C del foglio 4 la prova era fondata non solo sulla individuazione da parte della cassiera del supermercato ma principalmente sulla circostanza che la carta d’identità impiegata per l’acquisto recava la fotografia del F.. La responsabilità a titolo di concorso per il delitto di cui al capo D del foglio 4 scaturiva dalla constatazione che l’autore materiale della falsificazione dei documenti d’identità ( M. M.) era stato trovato in possesso di una fotografia di F..

Per le ricettazioni degli assegni di cui ai capi F ed I del foglio 4 valevano rispettivamente le motivazioni della sentenza del GUP (in quanto non criticate) e il dimostrato utilizzo di assegni provenienti dal medesimo carnet previo uso di documenti falsi. Per le ricettazioni di cui ai capi B ed E del foglio 9, la consapevolezza dell’illecita provenienza degli assegni risultava provata dall’impegno assunto, in concorso con M., per convincere le persone offese ad accettarli. Per l’effetto era da ritenere provata la responsabilità per la ricettazione degli assegni, provento del medesimo furto, di cui ai capi C e G del foglio 9. Per i capi A, B, C, D, E, F del foglio 15 si rinviava alle motivazioni della sentenza di primo grado perchè la prova scaturiva dai documenti prodotti in giudizio (falsi documenti consegnati ai rivenditori), dal verbale di s.i.t. del titolare della concessionaria Daewoo di (OMISSIS) (che aveva riconosciuto l’imputato presentatosi con le false generalità di M.A.) sia dalle ammissioni di F. in ordine all’acquisto dell’autovettura Mazda). Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

1 – violazione o erronea applicazione della legge penale, in specie art. 416 c.p., artt. 530 e 533 c.p.p. non essendo dato rinvenire dalle risultanze processuali la prova degli elementi costitutivi del delitto associativo, in particolare dell’affectio societatis.

La Corte territoriale ha ricalcato gli argomenti della prima sentenza senza tenere conto che si è nell’ambito del concorso nei singoli reati. Non vi è prova dell’organizzazione, della destinazione del provento dei singoli reati all’associazione, della programmazione dei delitti fine;

2- inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 648 e 494 c.p. di cui ai capi A e C del foglio 4 perchè la cassiera A.S. non ricorda le fattezze di colui che consegnò in pagamento l’assegno e che si attribuì l’identità di M.G.;

3 – inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 485, 491 e 494 c.p. perchè, non avendo A.S. riferito che il cliente si qualificò per Ma.Gi., il delitto di cui all’art. 494 c.p. di cui al capo C è assorbito in quello di falso di cui al capo E;

4- contraddittorietà della motivazione rispetto a quanto risulta dal verbale delle sommarie informazioni rese da A.S. la quale non ha mai riferito che le fattezze del cliente corrispondevano a quelle della foto del documento esibito;

5- relativamente al delitto di cui al capo D del foglio 4 per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 477 e 482 c.p. nonchè inosservanza degli artt. 521 e 522 c.p.p. perchè non vi è prova del suo concorso nella contraffazione essendosi limitato a consegnare a M. due fotografie e perchè il capo d’imputazione non gli contesta la responsabilità a titolo di concorso;

6- relativamente ai delitti di cui ai capi F ed I del foglio 4, per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 648 c.p., oltre che degli artt. 530 e 533 c.p.p. non emergendo dagli atti la prova della sua colpevolezza;

7- inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 445 e 238 bis c.p.p. in ordine alla ritenuta utilizzabilità della sentenza di patteggiamento ai fini d prova per i delitti di cui ai capi A, C, D, F, I delle pagg. 4 e 5, perchè la sentenza pronunciata a norma dell’art. 444 c.p.p. non ha valenza confessoria;

8- inosservanza degli artt. 110 e 648 c.p. nonchè degli artt. 530 e 533 c.p.p. relativamente ai capi B ed E dei fogli 8 e 9 perchè dalle dichiarazioni dei soci della ditta F.lli Sechi non risulta che egli avesse la disponibilità dell’assegno da parte di F.;

9- inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110 e 648 c.p., artt. 530 e 533 c.p.p. in ordine ai capi C e G di foglio 9 perchè Ma.Mi. ha riferito che la consegna del titolo non è stata accompagnata dall’esibizione di documento di identità e che non ha ricordo della persona che lo dette in pagamento e il gestore del distributore Q8 nulla ha saputo dire della persona che pagò con l’assegno che poi provvide a presentare per l’incasso in banca;

10 – radicale mancanza della motivazione in ordine al delitto di cui al capo D foglio 9; – inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 494 c.p. di cui al capo A foglio 15 stante la natura sussidiaria del reato, poichè il nome di M.A. è stato attribuito a se stesso da F. mediante la compilazione della carta d’identità falsificata;

11 – inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648 c.p. in relazione al reato di cui al capo B foglio 15 per mancanza di prova degli elementi costitutivi di esso e dell’elemento successivo con conseguente inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 530 e 533 c.p.p.;

12- inosservanza o erronea applicazione degli artt. 476 e 482 c.p. per mancanza di prova che F. abbia formato il tesserino oggetto di contestazione in relazione al reato di cui al capo C foglio 15;

13- inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 61 c.p., n. 2, artt. 477 e 482 c.p. per mancanza di prova che egli abbia formato la carta d’identità falsa in relazione al reato di cui al capo D del foglio 15 nonchè violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p.;

14- inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 61 c.p., n. 7 e art. 640 c.p. per mancanza di prova della sussistenza di esso e della commissione dello stesso da parte di F., quanto al reato di cui al capo F foglio 15;

15- inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 161 c.p., comma 2, art. 157 c.p., artt. 517, 521, 522 e 531 c.p.p. perchè la recidiva risulta contestata solo riguardo al delitto di cui all’art. 416 c.p., senza che vi sia stata contestazione suppletiva in ordine agli altri reati, sicchè la stessa era maturata in ordine ai reati di cui ai capi A e C f. 2; D f. 9; A, C, D ed F f. 15.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, che formalmente denuncia violazione o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 416 c.p., è dedotto in maniera inammissibile:

1.1. per la parte in cui, al fine di affermare la mancanza della prova dell’affectio societatis, propone una non consentita verifica delle "risultanze processuali", peraltro genericamente indicate e quindi una ulteriore valutazione di merito, estranea come tale al giudizio di legittimità;

1.2. per la parte in cui, al fine di criticare la motivazione della sentenza impugnata, propone una lettura alternativa del medesimo materiale probatorio già esaminato (in maniera non manifestamente illogica) dai giudici di merito, al fine di ottenerne diversa valutazione al rilievo che i soggetti, fra cui F., sarebbero contattati per la commissione di singoli delitti "senza aderire all’idea di un sodalizio criminoso", perchè non sarebbe "ravvisabile un’ organizzazione minima, idonea ad assicurare la commissione di una serie indeterminata di delitti". Si tratta di considerazioni alternative alla diversa prospettiva offerta dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado, che non muovono alcuna critica specifica alla motivazione svolta dai giudici di merito, i quali hanno dato conto sia delle ragioni per le quali hanno ritenuto la sussistenza della struttura organizzativa finalizzata alla commissione di una serie indeterminata i delitti contro il patrimonio, attraverso la predisposizione di documenti di identità (provento di furto) falsificati mediante l’apposizione di fotografie degli associati (fra cui F.) da utilizzare al momento della consumazione delle truffe, poste a segno mediante l’utilizzazione di assegni bancari (anch’ essi provento di furto) ovvero di buste paga della ASL (di cui M. aveva la disponibilità per avere il padre lavorato presso l’Azienda Sanitaria) contraffatte; sia delle ragioni per le quali il F. è stato ritenuto partecipe della compagine organizzativa, in considerazione della consegna a M. delle foto formato tessera riproducenti le sue sembianze, dell’utilizzo del documento di identità falsificato mediante l’apposizione della sua foto; della restituzione a M. (dopo la commissione dei reati fine) della carta d’identità falsificata; della accertata frequentazione (a seguito di servizi di osservazione) del F. con gli altri sodali; del rilevante numero di reati fine portati a compimento;

della prospettiva di prosecuzione per il tentativo di furto di altri moduli di carte di identità presso un’amministrazione comunale.

Tale articolata motivazione non è stata oggetto di critica specifica in ordine alla sua congruenza e tenuta logica, essendosi il ricorrente limitato a fornire una possibile alternativa lettura dei dati probatori. Va ribadito che "l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali".

"Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello della "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402, ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric. Petrella).

2. Tutti gli altri motivi di ricorso, con i quali si propone formale censura di inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 648, 494, 485, 491, 477 e 482 c.p.:

2.1. sono dedotti in maniera inammissibile quanto ai delitti di cui ai capi A e C del foglio 4, perchè le deduzioni difensive sono svolte mediante il riferimento al contenuto delle dichiarazioni di A.S., laddove la sentenza impugnata privilegia, come dato probatorio, l’accertato utilizzo di documento d’identità falsificato riproducente la fotografia del ricorrente; l’assunto contenuto in sentenza, per il quale "tutte le persone sentite….. avevano sempre puntualizzato che la fotografia apposta su ognuna delle carte d’identità presentate di volta in volta per commettere i reati effigiava realmente la persona con cui era stato concluso il contratto" è oggetto di critica sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione in riferimento a quanto effettivamente dichiarato dalla A. (c.d. travisamento della prova) senza però curare la specifica indicazione dell’atto del processo dal quale il denunciato travisamento dovrebbe risultare, sicchè la deduzione è generica per difetto di autosufficienza del ricorso.

Va invero ribadito "è inammissibile il ricorso per Cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze" (Cass. Sez 5, 22.1-26.3.2010 n. 11910).

Quanto alla questione della natura sussidiaria del delitto di cui all’art. 494 c.p., si osserva che il ricorso è inammissibile in quanto mera reiterazione di motivo di appello, in relazione al quale la sentenza impugnata ha congruamente risposto richiamando anche la diffusa motivazione della sentenza di primo grado, la quale aveva spiegato che vi era stata una successione di autonome condotte integranti distinti segmenti integranti quindi le diverse ipotesi di reato, in concorso fra loro.

"Il delitto di sostituzione di persona può ritenersi assorbito in altra figura criminosa solo quando ci si trovi in presenza di un unico fatto, contemporaneamente riconducibile sia alla previsione di cui all’art. 494 c.p., sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica; per contro, si ha concorso materiale di reati quando (come nella fattispecie, nella quale l’imputato aveva falsificato il tesserino ufficiale di riconoscimento del soggetto cui successivamente si era sostituito per commettere ulteriori reati), ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate" (Cass. Sez. 2, 7.3.2005 n. 8754).

Il caso in esame è coincidente con quello esaminato da questa Corte nella sentenza ora rammentata;

2.2. sono infondati quanto ai delitti di cui ai capi D f. 4 e D f.

15, perchè la sentenza impugnata individua la responsabilità del ricorrente nel delitto di falsificazione a titolo di concorso ex art. 110 c.p..

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza se la condanna è pronunciata per concorso morale, a fronte di un addebito per partecipazione materiale. (Cass. Sez. 5, 23.2.2007 n. 7638).

Non ricorre un’ipotesi di mutamento della contestazione qualora l’imputato, cui sia stato contestato di essere l’autore materiale del reato, venga riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale in esso, tale modificazione non comportando una trasformazione essenziale del fatto addebitato, nè potendo provocare menomazione del diritto di difesa, poichè l’accusa di partecipazione materiale al reato necessariamente implica, a differenza di quanto avverrebbe nell’ipotesi inversa, la contestazione di un concorso morale nella commissione del reato. (Cass. Sez. 1, 18.11.2008 n. 42993);

2.3. è inammissibile per genericità relativamente al capo F f. 4 ed I f. 5 perchè a fronte della motivazione della sentenza impugnata o si limita ad affermare che "dalle carte processuali non emerge la prova dell’autore del reato in esame", ovvero formula deduzioni in fatto per escludere la consapevolezza dell’illecita provenienza del titolo al rilievo che il suo dante causa sarebbe persona amica, senza formulare alcuna critica specifica alla motivazione della sentenza impugnata la quale aveva rammentato che in concorso sempre con Ma. aveva ricevuto altri assegni provenienti dal medesimo carnet provento di furto, senza fornire alcuna giustificazione;

2.4. è infondato per la parte in cui afferma l’inutilizzabilità ai fini di prova della sentenza di patteggiamento, perchè la sentenza impugnata, in relazione ai delitti di cui ai capi A, C, D, F ed I f.

4 e 5, individua la scelta di aver patteggiato in relazione al delitto di ricettazione della carta di identità come elemento meramente ausiliario, il convincimento essendosi fondato sulla circostanza inequivoca che il documento utilizzato dal soggetto agente riportava la fotografia del ricorrente, dato che il ricorrente non contesta nel suo significato probatorio;

2.5. è inammissibile in relazione ai delitti di cui ai capi B ed E f. 8-9 perchè non critica specificamente la motivazione della sentenza impugnata (la quale ha giustificato il convincimento del concorso con Ma.Mi. al rilievo che erano insieme e che i titoli facevano parte del medesimo libretto compendio di furto dal quale erano stati tratti altri assegni usati direttamente dal ricorrente), ma sollecita lettura alternativa del materiale probatorio rappresentando quello che le persone offese avrebbero dichiarato e quindi non consentita ulteriore valutazione di merito;

2.6. è ancora inammissibile, per le medesime ragioni sopra rappresentate, in relazione ai delitti di cui ai capi C e G f. 9, perchè lo stesso ricorrente ammette che uno degli assegni è stato "consegnato a F.F.", sicchè la Corte territoriale congruamente rammenta che si tratta di titolo che proviene dal consueto stocK di assegni compendio di furto. Quanto all’assegno di cui al capo G nessuna critica specifica viene mossa alla sentenza impugnata che richiama quella di primo grado, la quale ha rammentato che l’assegno consegnato al gestore del distributore Q8 aveva firma falsa di trenta " S.D.", identica a quella dell’assegno (sempre proveniente dal medesimo libretto) di cui al capo E consegnato personalmente dal ricorrente a Mi.Vi. che lo ha con certezza indicato;

2.7. è fondato relativamente al capo D f.9, per carenza assoluta di motivazione, sicchè la sentenza va annullata ma senza rinvio per le ragioni di seguito esposte al par. 3;

2.8. è inammissibile in relazione al capo A f. 15 ( art. 494 c.p.) perchè mera reiterazione di questione già affrontata e congruamente giustificata dai giudici di merito (vedi sopra par. 2.1. al quale si rinvia);

2.9. è inammissibile per genericità relativamente ai capi B, C ed F f. 15, perchè non formula alcuna critica alla motivazione della sentenza impugnata, ma si limita ad affermare che "manca la prova" degli elementi costitutivi del reato, ovvero che F. abbia formato il documento ovvero della commissione del delitto di truffa da parte del ricorrente, senza alcuna ulteriore specificazione; la doglianza è quindi proposta in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), che impone che ogni richiesta sia giustificata dall’indicazione specifica delle ragioni di diritto (e degli elementi in fatto) a sostegno della richiesta stessa, violazione sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

3. L’ultimo motivo di ricorso è fondato.

Non risulta invero che la recidiva sia stata contestata in relazione ai reati-fine e comunque il primo giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti. Trattandosi di reati commessi anteriormente alle modifiche introdotte con L. n. 251 del 2005, va applicata la disciplina transitoria della citata legge, art. 10., che prevede l’ultrattività della regola più favorevole. Erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto applicabile l’art. 161 cpv. c.p. nell’attuale formulazione, in quanto norma di carattere sostanziale deteriore.

Il ricorso, per la parte in cui insta per l’annullamento della sentenza impugnata relativamente ai reati di cui al capi A e C del foglio 2 (recte: C e D del foglio 4 perchè relativi ai reati di cui agli artt. 494, 477 e 482 c.p.); D del foglio 9; A, C, D, ed F del f.

15 per prescrizione, merita accoglimento. Anche a tener conto dei periodi di sospensione per i rinvii delle udienze (calcolati complessivamente in un anno un mese e 24 giorni), la prescrizione è maturata per il fatto più recente (truffa di cui al capo D f. 9) il 17.9.2009 (per gli altri reati sopra indicati ancor prima).

Vanno in conseguenza eliminate le relative pene detentive applicate in aumento per la continuazione per come quantificate nella sentenza di primo grado: gg. 15 capo C e mesi 2 capo D del foglio 4; mesi 1 capo D f. 9; gg. 15 capo C e mesi 2 capo D, mesi 6 capo F del foglio 15 per un totale di un anno e 15 giorni di reclusione da ridurre di un terzo per la scelta del rito e quindi otto mesi e dieci giorni, sicchè la pena finale (tenuto conto che la pena quantificata dalla Corte d’Appello è stata di 4 anni 2 mesi e 10 giorni) va ridotta a 3 anni e sei mesi di reclusione.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi C e D del foglio 4; D del foglio 9; A, C, D, ed F del foglio 15 della richiesta di rinvio a giudizio perchè estinti per prescrizione; elimina le relative pene inflitte in aumento per la ritenuta continuazione nella misura di 8 mesi e 10 giorni di reclusione; determina la pena residua in tre anni e sei mesi di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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