Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-02-2011) 16-03-2011, n. 10687

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 15 aprile 2009, la Corte d’Appello di Catania, 1A sezione penale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Siracusa sezione distaccata di Lentini appellata da M. S., dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo B) perchè estinto per prescrizione; determinava la pena per il residuo delitto di cui al capo A in tre anni quattro mesi di reclusione e Euro 500,00 di multa nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile L.R.A. liquidate in Euro mille oltre I.V.A. e C.P.A.; confermava nel resto la decisione impugnata con la quale M. era stato dichiarato colpevole di estorsione in danno del lavoratore dipendente L.R.A. costretto ad accettare una retribuzione effettiva inferiore rispetto a quella indicata in busta paga mediante la minaccia di licenziamento e di negative referenze presso gli altri esercizi commerciali.

La Corte territoriale riteneva corretta la qualificazione giuridica e fondata la prova della responsabilità sulla scorta delle testimonianze del L.R. e degli altri dipendenti L. C.G. e M.M..

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione che, redatta a mano e leggibile con difficoltà, è sicuramente apparente e fittizia perchè relazionata alla motivazione della sentenza di primo grado, senza dare alcuna risposta agli specifici motivi di appello con i quali si erano evidenziate le ragioni per le quali i testimoni-persone offese non potevano esser considerati attendibili, tanto più che lo stesso Tribunale aveva dato atto delle precarie condizioni economiche in cui versava l’attività dell’imputato; – inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 629 c.p. in relazione al quale nulla è stato detto in ordine all’elemento oggettivo e a quello soggettivo, omettendo di rispondere agli specifici motivi di appello in cui si era dato conto della cronologia degli avvenimenti e alla circostanza che la corresponsione parziale del salario era dovuta all’impossibilità oggettiva, nota ai dipendenti. Nessuna minaccia era stata posta in essere e comunque l’inadempimento non era volontario e non vi era alcun intento estorsivo.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso:

1.1. è dedotto in maniera generica, e quindi inammissibile, per la parte in cui, al fine di dar conto delle ragioni della fondatezza della denunciata mancanza di motivazione in relazione all’attendibilità di L.R. e del teste R., fa rinvio al contenuto dell’atto di appello, senza riportarne (o almeno riassuntivamente spiegarne) il contenuto. Ed invero per l’atto di impugnazione non è consentita la motivazione per relationem. Essa è consentita per la sentenza in ragione del dettato normativo che richiede "una concisa esposizione dei motivi……." ( art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), ma non per le impugnazione, perchè i motivi a sostegno di ogni richiesta devono contenere "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" ( art. 581 c.p.p., lett. c), in omaggio al principio della c.d.

"autosufficienza" del ricorso (v. per tutte Cass. Sez. 5, 22.1.2010 n. 11919);

1.2. è infondato quanto alla denuncia di omessa motivazione in ordine all’attendibilità della testimonianza di L.C. G., perchè la sentenza impugnata si sofferma sulla posizione di tale teste; lo prende in considerazione come elemento di conferma della testimonianza di L.R. e risponde alle critiche difensive perchè, dopo aver dato atto dell’esistenza di una controversia da lui instaurata nei confronti di M., ne valuta positivamente l’attendibilità per l’esistenza di riscontri da parte del teste R.S. e per i puntuale e circostanziati riferimenti sulla condotta dell’imputato;

1.3. è inammissibile per la parte in cui, per la prima volta in questa sede, pretende di attribuire rilevo alle condizioni economiche dell’imputato, al rilievo che il primo giudice ne avrebbe dato atto allorchè ha spiegato le ragioni per le quali quantificava la pena del minimo edittale, senza tuttavia spiegare se tale circostanza era stata oggetto di specifica deduzione con i motivi di appello, al fine di verificare, in questa sede di legittimità, la ricorrenza dei presupposti per ritenere la denunciata omessa motivazione;

1.4. è infondato per la parte in cui denuncia come apparente e fittizia la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui conferma la correttezza della qualificazione giuridica. Rilevato che tale parte della motivazione, ancorchè manoscritta, è comprensibile, si deve affermare che, nella pur stringata concisione, la Corte territoriale ha correttamente individuato le ragioni per le quali la condotta minacciosa si è realizzata, volta che la vittima ha percepito il concreto pregiudizio che gli veniva prefigurato, in ipotesi correttamente ricondotta allo schema dell’estorsione c.d. contrattuale. Il Collegio condivide il principio per il quale:

"integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi", (Cass. Sez. 2, 21.9.2007 n. 36642).

2. Il secondo motivo di ricorso:

2.1. è inammissibile per genericità per la parte in cui afferma che la sentenza impugnata non ha preso in considerazione importanti elementi di fatto "evidenziati dalla difesa nel corso del dibattimento e corroborati da una puntuale produzione dibattimentale", senza indicarli specificamente e, soprattutto, senza spiegare se con l’atto di appello erano stati oggetto di puntuale indicazione, in modo di adempiere all’obbligo imposto dal già citato art. 581 c.p.p., lett. c);

2.2. è inammissibile per genericità per la parte in cui afferma non essere per nulla pacifica la circostanza relativa alla non corrispondenza tra quanto dichiarato in busta paga e quanto percepito dai dipendenti, senza dare conto degli elementi eventualmente rappresentati con l’appello in relazione ai quali poter lamentare violazione di legge per tale motivo, tanto più che con la proposizione immediatamente successiva ha dovuto ammettere di non esser stato in grado di corrispondere quanto dovuto;

2.3. è manifestamente infondato per la parte in cui, dopo aver riportato il condiviso principio di diritto secondo il quale la mera sottoscrizione da parte del lavoratore di busta paga contenente indicazione di retribuzione superiore a quella effettivamente corrisposta non integra di per sè il delitto di estorsione (Cass, Sez. 5A 28 marzo 2003 n. 20082), al fine di escludere la sussistenza della minaccia (ben evidenziata nella sentenza impugnata che l’ha individuata nella minaccia di licenziamento e di fornire referenze negative agli esercizi commerciali della zona), formula considerazioni in fatto, peraltro genericamente enunciate, sull’ottimo stato dei rapporti di lavoro e sull’assenza di rilievi al momento della sottoscrizione della busta paga;

2.4. è inammissibile per la parte in cui afferma l’insussistenza di elementi di prova in ordine all’elemento soggettivo del reato, perchè la deduzione è svolta valorizzando un’ottica defensionale senza formulare alcuna critica all’apparato argomentativo della sentenza impugnata, che espressamente ha giustificato il convincimento della deliberata e cosciente scelta di costringere il lavoratore dipendente ad accettare retribuzione inferiore a quella risultante dalla busta paga per effetto di minaccia di licenziamento e di "negativa pubblicità" per la prospettiva di cercare nuove occasioni di lavoro.

3. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il presente grado di giudizio, spese che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile L.R.A., liquidate in complessivi Euro 2900,00 oltre spese generali I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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