Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-05-2011, n. 11377 Rappresentanza

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Svolgimento del processo

Cu.An., quale amministratore giudiziario dell’eredità di S.V.C. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di S.V.M.R. e Sa.Ma. al fine di far dichiarare inefficaci od annullare due contratti di locazione stipulati dal secondo, in qualità di rappresentante degli eredi S. e dalla stessa S.M.R., aventi ad oggetto due immobili compresi nella massa ereditaria relitta da C. S.V..

Sosteneva l’attore che le locazioni erano state concesse in favore della moglie dello stipulante, S.M.R. per canoni di locazione notevolmente inferiori non solo a quelli di mercato ma anche a quelli pattuiti per gli stessi immobili con precedenti conduttori. Affermava inoltre il Cu. che Sa.Ma. aveva concluso i suddetti contratti senza averne il potere. Chiedeva pertanto dichiararsi l’inefficacia dei contratti di locazione e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni. In via subordinata chiedeva la risoluzione dei medesimi contratti per grave inadempimento della conduttrice S.M.R. con la condanna della stessa al pagamento dei canoni scaduti.

S.M.R. eccepiva la irritualità della proposizione della controversia in quanto introdotta con citazione pur avendo ad oggetto locazioni ed eccepiva anche la carenza di legittimazione attiva del Cu. sostenendo che questi, in qualità di custode dei beni ereditari non avrebbe potuto costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici aventi ad oggetto i beni stessi.

Contestava l’affermazione secondo la quale i canoni erano stati stipulati a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato ed a quelli corrisposti da precedenti inquilini.

Si costituiva in giudizio anche Sa.Ma. che ribadiva le medesime eccezioni quanto all’atto introduttivo del giudizio ed ai poteri del Cu. contestando l’efficacia del provvedimento di concessione del sequestro in conseguenza della tardiva presa di possesso dei predetti beni. Nel merito riteneva non condivisibile l’affermazione secondo la quale egli non avrebbe avuto il potere di stipulare i contratti in oggetto avendo agito in qualità di comproprietario degli stessi e di mandatario degli altri coeredi da cui aveva ricevuto la nomina di amministratore dell’eredità ed avendo, nella medesima veste, stipulato anche altri contratti di locazione. Sa. contestava inoltre l’asserito pregiudizio arrecato all’eredità dalla stipulazione delle locazioni con la S.M.R..

Il Tribunale di Vasto annullava i contratti di locazione sul presupposto che gli stessi fossero contrari agli interessi economici della comunione ereditaria, di cui i beni facevano parte, e condannava la S.M.R., in solido con il Santoro, al rilascio degli immobili ed alla rifusione dei danni.

S.M.R. impugnava la suddetta sentenza deducendo la carenza di legittimazione attiva di Cu.An., non avendo egli stipulato i contratti. Rilevava altresì la violazione dell’art. 1394 c.c., non costituendo causa di annullamento nè la mera convergenza di interessi tra rappresentante e rappresentato, nè l’uso malaccorto che il rappresentante avesse fatto del suo potere, stipulando negozi di nulla o scarsa utilità.

Concludeva, pertanto, per la riforma integrale della sentenza.

Si costituiva il Sa., associandosi ai proposti motivi d’appello.

Si costituiva anche C.C., nominato in sostituzione del precedente custode giudiziario, proponendo appello incidentale, nell’ipotesi in cui fosse stato accolto l’appello principale avente ad oggetto la risoluzione del contratto per morosità della conduttrice, con il conseguente rilascio dei medesimi immobili.

La Corte d’Appello di L’Aquila in parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della sentenza di primo grado condannava S.M.R. a corrispondere a titolo di risarcimento dei danni le somme di Euro 7.746,85 e 42.349,47 oltre accessori.

Propone ricorso per cassazione S.M.R. con tre motivi.

Resiste con controricorso C.C..
Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 670 e 676 cod. proc. civ. degli artt. 520, 521 e 560 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo parte ricorrente il custode, non essendo un rappresentante delle parti, è sprovvisto di legittimazione attiva rispetto alla domanda tesa a far valere il presunto conflitto di interessi. Inoltre i contratti di locazione erano preesistenti al sequestro ed il custode avrebbe dovuto limitarsi a prenderne atto, non avendo egli il potere di assumere alcuna iniziativa per modificare, costituire o estinguere rapporti giuridici riguardanti beni sequestrati, ma unicamente esercitare i poteri di conservazione e di amministrazione degli stessi. Non risulta poi, secondo la S.M.R., che il custode giudiziario era munito dell’autorizzazione del Giudice che, ai sensi degli artt. 520, 521 e 560 c.p.c. era necessaria per compiere atti rilevanti, quale l’iniziativa per modificare o estinguere rapporti giuridici riguardanti i beni sequestrati.

Il motivo è parzialmente fondato.

La questione della mancanza di autorizzazione del giudice per l’esperimento dell’azione è inammissibile perchè nuova, non risultando prospettata nella sentenza impugnata e quindi in appello.

La posizione processuale del custode dei beni sottoposti a sequestro giudiziario, il quale agisca a tutela della conservazione del valore del patrimonio affidatogli, equivale a quella di un sostituto processuale (Cass., 31 marzo 2006, n. 7693).

Va invece accolta la censura relativamente al punto che il custode è legittimato alle azioni relative solo ai rapporti da lui posti in essere, ovvero che attengono a circostanze verificatesi in pendenza della custodia cautelare, nelle quali egli può stare in giudizio come attore e come convenuto (Cass., 17 aprile 2003, n. 6185; Cass., 15 luglio 2002, n. 10252; Cass., 17 luglio 2001, n. 9692).

E’ infatti esatto che la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente consolidata nel senso che il custode giudiziario ha una funzione limitata alla conservazione ed amministrazione dei beni che gli vengono affidati; per cui i poteri, derivati direttamente dalla legge o determinati dal provvedimento giudiziale, non possono non trovare in essa l’area di esercizio ed i limiti massimi di espansione, oltre i quali opera un divieto insuperabile, perchè connaturale a siffatta funzione di custodire. Ma ciò comporta, nel sequestro giudiziario, che egli non è legittimato a stare in giudizio nelle controversie che attengono alla proprietà o ad altro diritto reale sul bene medesimo, e comunque a pretese rivolte ad incrementare i diritti su di esso; e che, per converso, tale legittimazione gli compete in ordine a tutte le situazioni sorte nel corso della sua amministrazione e ricollegabili ad atti da lui posti in essere in tale qualità, in cui è indispensabile agire o resistere a tutela della conservazione del bene e per preservare la funzione strumentale del provvedimento cautelare (Cass., 22 maggio 2007, n. 11843). Ciò comporta il potere d vere del custode non solo di amministrarlo, ma anche ed in primis di conservarlo, nonchè di compiere tutti gli atti necessari onde raggiungere tale finalità cui è ordinata la sua stessa funzione: fra cui, quindi, anzitutto quelli diretti ad impedire il verificarsi di fatti che ne compromettano la stessa possibilità di conservazione.

Il punto va condiviso in quanto l’azione di annullamento esisteva già prima della custodia e se i sostituiti dal custode (cioè gli eredi) non hanno inteso esperirla, a ciò non può sostituirsi il custode.

Con il secondo e terzo motivo parte ricorrente rispettivamente denuncia: 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

3) motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

I motivi devono considerarsi assorbiti.

In conclusione deve essere accolto il primo motivo nei termini di cui sopra; devono considerarsi assorbiti i restanti; deve essere cassata l’impugnata sentenza e con decisione nel merito deve dichiararsi inammissibile la domanda. Tenuto conto della peculiarità della fattispecie si ritiene sussistano giusti motivi per l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie nei termini di cui in motivazione il primo motivo di ricorso; assorbiti i restanti. Cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

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