Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-02-2011) 16-03-2011, n. 10686 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Catania, 1A sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale in sede appellata da L.C., con la quale questi era stato dichiarato colpevole del delitto di cui all’art. 648 bis c.p. per avere acquistato e comunque detenuto autovettura FIAT Panda in origine targata (OMISSIS) provento di furto commesso il (OMISSIS) in danno di M.O. con alterazione dei numeri di telaio e sostituzione delle targhe e condannato, riconosciute l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 prevalente sulla contestata recidiva, alla pena di due anni e otto mesi di reclusione.

La Corte territoriale riteneva inattendibile la versione fornita tardivamente dall’imputato, a distanza di nove anni dal sequestro del veicolo. Il fatto era stato correttamente qualificato. Non ricorreva l’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 bis c.p., comma 3.

L’entità della pena non poteva essere ulteriormente ridotta perchè quantificata nel minimo edittale.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – mancanza o quanto meno insufficienza della motivazione nella parte in cui sono state considerate come mero espediente difensivo le dichiarazioni rese spontaneamente dall’imputato dinanzi alla Corte di appello allorchè si è confessato responsabile del delitto di furto, previa dettagliata descrizione delle modalità di asportazione del veicolo stesso, furto posto in essere nel medesimo quartiere di residenza del ricorrente, avente ad oggetto veicolo delle medesime caratteristiche di quello (vecchio e mal funzionante) di proprietà dello stesso. I precedenti penali per furto valevano ad asseverare ulteriormente la sua confessione. La tardività era da addebitare piuttosto al ritardo con il quale si è celebrato il giudizio di appello.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Con l’appello l’imputato aveva instato per la riqualificazione del fatto come ricettazione ovvero incauto acquisto. La nuova richiesta di qualificarlo come furto è stata proposta quindi tardivamente in sede di dibattimento, per effetto di dichiarazioni spontanee, che sono dotate di ridotto valore probatorio, non equiparabile all’esame, che si svolge in contraddittorio delle parti. Ed invero nel sistema processuale di tipo accusatorio solo l’esame dell’imputato è qualificabile come prova. La sua assunzione va effettuata nel corso del dibattimento di primo grado, secondo le cadenze normativamente previste (cfr. Cass. Sez. 1, 20.5.2001 n. 25239; Cass. Sez. 1, 3.7.1998 n. 9628).

Sicchè anche per tale ultimo profilo le doglianze difensive sono svolte in maniera inammissibile, perchè sollecitano in questa sede un’ alternativa e non consentita valutazione di merito di un dato conoscitivo, già analizzato dalla Corte territoriale con motivazione che, in quanto non manifestamente illogica, non può essere oggetto di censura in questa sede, tanto più che a tal fine il ricorrente introduce elementi di natura fattuale, ancorchè specificamente indicati, ma in ipotesi di sentenza di appello conforme a quella del giudizio di primo grado.

Come noto, la formula novellata dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ha introdotto come nuova ipotesi di vizio della motivazione (oltre alla mancanza e alla manifesta illogicità) la contraddittorietà della stessa, risultante non soltanto dal testo del provvedimento impugnato, ma anche "da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".

La questione assume particolare rilevanza nel caso in cui (a differenza di quello in esame) il giudice dell’appello sia andato di contrario avviso rispetto alla decisione adottata in prima istanza, ponendo così la parte vittoriosa in primo grado in condizione di non potersi difendere adeguatamente nel successivo grado di giudizio che, essendo di legittimità, preclude qualsiasi riesame nel merito.

La giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. 30.10-24.11.2003 n. 45276), al fine di ovviare alle difficoltà della parte soccombente in appello, aveva individuato quale possibilità di ricondurre nel vizio di mancanza di motivazione (in quanto all’epoca già deducibile in sede di legittimità) la mancata risposta da parte del decidente alle sollecitazioni proposte con memorie difensive, dirette ad estendere le sue valutazioni su elementi diversi non posti a fondamento dell’atto di appello e non oggetto di valutazione da parte del primo giudice. Nel contempo sollecitava il legislatore per un opportuno intervento che rimediasse alle difficoltà evidenziate e suggeriva di modificare il giudizio di appello con la previsione, in caso di difformità di valutazione, di separare la fase rescindente da quella rescissoria. La scelta del legislatore è stata diversa: ha esteso il ricorso per cassazione, con le modifiche apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. D) ed E).

Il dato normativo lascia inalterata la natura del controllo del giudizio di cassazione, che può essere solo di legittimità.

Non si fa carico alla suprema corte di formulare un’ ulteriore valutazione di merito. Si estende soltanto la congerie dei vizi denunciabili e rilevabili. Il nuovo vizio è quello che attiene sempre alla motivazione ma che individua come tertium comparationis, al fine di rilevarne la mancanza l’illogicità o la contraddittorietà, non solo il testo del provvedimento stesso ma "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". La novella normativa introduce così due nuovi vizi definibili come: 1) travisamento della prova, che si realizza allorchè nella motivazione della sentenza si introduce un’informazione rilevante che non esiste nel processo; 2) omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione. Attraverso l’indicazione specifica della prova che si assume travisata o omessa si consente alla corte di cassazione di verificare la correttezza della motivazione (sotto il profilo della sua non contraddittorietà e completezza) rispetto al processo. Questo ovviamente (si ribadisce) nel caso di decisione di appello difforme da quella di primo grado.

Ed invero in caso di c.d. doppia conforme il limite del devolutum non può essere valicato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (Cass.- Sez. 2, 22.3-20.4.2006 n. 13994; Cass. Sez. 2. 12-22.12.2006 n. 42353; Cass. Sez. 2, 21.1-7.2.2007 n. 5223). Il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di aver rappresentato con l’appello il risultato probatorio del dibattimento (nella specie le dichiarazioni della persona offesa) per poter poi denunciare il vizio di mancanza di motivazione, in relazione all’omessa considerazione delle deduzioni difensive, che all’epoca non erano state però formulate, per una scelta dell’imputato di non presentarsi nella sede propria del giudizio di primo grado.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e – il ricorrente deve essere in conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali e della somma, che in ragione dei motivi di inammissibilità, si stima equo liquidare in Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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