Cass. civ. Sez. III, Sent., 24-05-2011, n. 11375 Responsabilità professionale

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o Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo

Con sentenza 1 marzo-13 maggio 2006 la Corte d’appello di Milano riformava la decisione del Tribunale di Monza 5-8 ottobre 2003, che aveva respinto la domanda di risarcimento di danni proposta da A. D. e F.D. nei confronti dell’avv. B.L., in relazione all’esito di una prima controversia avente ad oggetto i danni derivati dall’incidente stradale del (OMISSIS). La D. ed il F., rispettivamente conducente e proprietaria dell’auto a bordo della quale era trasportato il secondo (ferma ad un incrocio in (OMISSIS)) avevano riportato lesioni personali a seguito del tamponamento di altra auto di proprietà di Ma.Lu.

D., a sua volta tamponata da altra autovettura rimasta sconosciuta. Il giudice di pace di Olbia, dinanzi al quale era stata introdotta la causa, aveva rigettato la domanda degli attori, rilevando:

che il difensore degli attori, dopo aver chiamato in causa solamente la Toro assicurazioni, quale impresa designata dal Fondo di Garanzia, non aveva provveduto a chiamare in causa la De., indicando addirittura questa ultima come testimone dei fatti (con il risultato che la stessa non era stata ammessa a deporre, per il suo interesse al giudizio); in pratica, nessuna domanda era stata rivolta nei confronti della De. e della compagnia presso la quale era assicurata la vettura di proprietà della stessa;

che l’avv. B., inoltre, non aveva partecipato a due udienze:

quella del 14 gennaio e 24 marzo 2000 (ed in un’altra udienza aveva formulato la richiesta di sentire a testimone D.Y., richiesta dichiarata inammissibile, perchè tardiva);

la domanda era rimasta sprovvista di qualsiasi prova. In effetti, sottolineava il giudice di pace, non erano chiari i motivi per i quali era stata proposta azione giudiziale solo nei confronti della compagnia di assicurazioni designata dalla CONSAP (Toro assicurazioni) per essere rimasti ignoti la targa ed il conducente del veicolo, che non era entrato in collisione diretta con l’auto degli attori., quando invece gli stessi ben conoscevano il conducente e la compagnia di assicurazione che li aveva direttamente tamponati.

A seguito del rigetto della domanda proposta contro la Toro, la D. ed il F. avevano subito una serie di conseguenze negati: non avevano ricevuto alcun risarcimento in conseguenza dell’incidente ed erano stati condannati a pagare le spese del giudizio nei confronti della società convenuta.

Con successo atto di citazione notificato in data 5 luglio 2001, gli stessi attori convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Monza l’avv. B.L., chiedendo l’accertamento della responsabilità della stessa imputandole le conseguenze sfavorevoli determinatesi seguito della decisione del giudice di pace (con il rigetto delle richieste di pagamento degli onorari e spese avanzate dalla B. e la condanna di questa al risarcimento dei danni derivati dall’incidente, oltre al rimborso delle spese legali corrisposte alla stessa B. ed al difensore della Toro).

L’avv. B., costituendosi in giudizio chiedeva la chiamata in causa della Gan Italia assicurazioni spa, dalla quale voleva essere garantita per ogni addebito conseguente all’accertamento di una propria responsabilità professionale.

Il Tribunale di Monza accertava la responsabilità professionale dell’avv. B., condannandola al pagamento del risarcimento dei danni subiti dall’incidente dai due attori ed al rimborso delle spese legali.

Condannava quindi la terza chiamata a tenere indenne la convenuta da quanto da essa dovuto (al netto della franchigia).

Rilevava il Tribunale che maggiore prudenza professionale avrebbe dovuto consigliere fin dall’inizio di citare sia il Fondo di Garanzia che la De. ed il suo istituto assicuratore, garantendo in tal modo un sicuro risultato risarcitorio degli attori.

La Corte territoriale, andando di diverso avviso, osservava che l’insuccesso della azione giudiziaria intrapresa dagli odierni appellati non poteva essere ricondotta alla scarsa "prudenza professionale" del difensore dal momento che la scelta processuale di evocare in giudizio il solo Fondo di Garanzia era stata frustrata non in quanto in se stessa errata o insufficiente, ma in quanto non aveva avuto il supporto probatorio di una prova piena e tranquillante, prova piena e tranquillante che non poteva dirsi non raggiunta per un deficit di assistenza professionale.

Quanto alla mancata citazione del teste E., questa era da imputare alle difficoltà di provvedere alla notificazione della stessa che non aveva consentito di raggiungere a persona indicata a teste.

Per quanto riguarda la D.Y., trasportata a bordo del veicolo degli appellati, erano stati questi ultimi, in un primo momento, a stabilire di non indicarla come testimone.

Solo successivamente, gli attori D. e F. aveva autorizzato a coinvolgere il teste D.Y., ma la relativa istanza era stata considerata tardiva dal giudice di pace.

Queste circostanze, sottolineavano i giudici di appello, erano state affermate dall’avv. B. senza alcuna contestazione da parte degli appellati, con la conseguenza che dovevano considerarsi del tutto pacifiche.

Per questi motivi i giudici di appello rigettavano la richiesta risarcitoria svolta dagli appellati, con tutte le conseguenze in ordine alla restituzione delle somme eventualmente percepite, in conseguenza della esecuzione della decisine di primo grado.

La Corte d’appello ha accolto la domanda riconvenzionale proposta dall’avv. B. intesa ad ottenere il pagamento della parcella professionale per la attività professionale svolta a loro favore.

La domanda – non esaminata in primo grado – doveva essere accolta, secondo la decisione della Corte d’appello, poichè in assenza di profili di responsabilità professionale, il legale professionista aveva diritto dal pagamento delle proprie spettanze, atteso che la sua prestazione non era comunque di risultato ma di mezzi.

Avverso tale decisione la D. ed il F. hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da cinque motivi, cui resiste la B. con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce il vizio di motivazione sotto diversi profili e la omessa e/o erronea valutazione di risultanze processuali.

I giudici di appello avevano fatto riferimento a circostanze (quali quelle relative alla mancata notificazione o tardiva indicazione di testimoni) che non aveva formato oggetto di esame da parte del giudice di primo grado.

In ogni caso la Corte territoriale non aveva spiegato le ragioni per le quali, pur di fronte a molteplici inadempienze professionali addebitate all’avv. B., di fatto ne aveva preso in considerazione una sola, ritenendola sufficiente a modificare l’accertamento della sua responsabilità professionale.

I giudici di appello avrebbero dovuto, comunque, motivare perchè la attenuante di una (sia pure ipotetica) corresponsabilità dei clienti avrebbe dovuto giustificare un esonero completo da responsabilità del suddetto professionista.

La sentenza impugnata, inoltre, non conteneva alcun riferimento a norme di diritto sostanziale applicate e di orientamenti giurisprudenziali seguiti, per giungere alla riforma totale della decisione di primo grado.

In nessun atto del giudizio di primo grado era contenuto un accenno alla decadenza dalle prove orali riguardanti le testimonianze dei signori D.Y. ed E..

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono vizio di ultrapetizione art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4.

Nessuno dei rilievi relativi ai testi E. e D.Y. era stato sollevato dalla appellante.

Gli elementi esaminati dalla Corte territoriale dovevano considerarsi del tutto estranei al processo.

In pratica i giudici di appello si erano sostituiti alla parte.

L’elemento di una corresponsabilità degli attori per quanto riguarda le scelte processuali operate dall’avv. B. non costituiva argomento di causa e non avrebbe dovuto, dunque, essere esaminato dalla Corte territoriale.

Questo costituiva, in effetti, l’unico elemento utilizzato dalla Corte territoriale per accogliere la impugnazione, e riformare la sentenza di primo grado.

In primo grado si era discusso solo di una condotta commissiva addebitata al difensore, il giudice di appello aveva invece introdotto fatti omissivi degli appellati, di cui non si era mai discusso in precedenza e che non risultavano dagli atti processuali.

Osservano ancora i ricorrenti che l’azione proposta contro la Toro, impresa designata, non avrebbe mai consentito di ottenere il risarcimento dei danni materiali subiti dalla autovettura, non rientrando questi tra i danni risarcibili ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 19, lett. a).

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione art. 1176 c.c., comma 2, artt. 38 e 49 codice deontologico forense 14 aprile 1997, con successive modifiche 16 ottobre 1999.

L’avv. B. aveva un preciso onere, quello di avvertire i clienti della necessità di inviare la lettera interruttiva della prescrizione ai responsabili dell’incidente ed alla compagnia di assicurazione e degli effetti derivanti dalla mancata citazione dei testimoni.

Si deduce con il quarto motivo carenza di motivazione e motivazione apparente oltre che violazione di norma di legge (tuttavia non specificata, essendo formulato, a pag. 74, un quesito di diritto).

La parcella prodotta dall’avv. B. non era corredata dal parere del Consiglio dell’Ordine e non era mai stata inviata ai clienti prima della notificazione dell’atto di citazione.

L’avvocato aveva l’onere di dimostrare la entità delle prestazioni eseguite, per consentire la determinazione del suo compenso.

Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria su appello incidentale.

Il Tribunale di Monza, pur avendo dato sostanzialmente ragione ai due attori, non aveva pronunciato in ordine alle due richieste risarcitorie minori.

Queste non erano state esaminate dai giudici di appello in I considerazione della decisione sfavorevole agli originari attori.

Le stesse, in caso di accoglimento del ricorso, dovrebbero essere comunque essere esaminate dalla Cassazione o in sede di rinvio.

Il Collegio rileva:

Il primo, quarto ed il quinto motivo riguardano vizi della motivazione. Essi sono inammissibili.

Si ricorda che anche nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 il motivo di ricorso deve contenere un momento di sintesi (analogo al quesito di diritto), che individui le censure rivolte alla sentenza impugnata e ne circoscriva puntualmente i limiti (Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603; Cass. civ. Sez. 3^ n. 4646/2008 e n. 4719/2008).

Tale requisito non si può ritenere rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato del motivo di impugnazione (Cass. civ., Sez. 3^, ord. 16 luglio 2007 n. 16002, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

Quanto agli altri motivi, con i quali si deduce la violazione di norme di legge, deve parimenti rilevarsene la inammissibilità, in quanto del tutto astratti e generici.

Le disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, con l’art. 366 bis c.p.c., impongono l’obbligo di formulare il quesito di diritto in modo esplicito senza possibilità che esso possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso (Cass. S.U. 24 dicembre 2009 n. 27368, 31 gennaio 2008 n. 2271, 27 marzo 2007 n. 7258; Cass. sez. 3^, 4 marzo 2010 n. 5208, 21 settembre 2008 n. 19847).

Tali requisiti non sono rinvenibili nei motivi di ricorso dal secondo al quarto, che appare opportuno riportare integralmente:

2. "il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato fissato dall’art. 112 c.p.c. deve ritenersi violato ogni volta che il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni diversi e/o mutati rispetto alla materia del contendere, sottoposta per volontà delle parti, introducendo nel processo un titolo o "causa petendi" nuovo e/o diverso da quello enunciato dall’una o dall’altra parte a sostegno della domanda o della eccezione". 3. "la responsabilità del professionista per i danni causati nell’esercizio della sua attività postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello di diligenza che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell’attività; in rapporto con la professione di avvocato, il professionista deve considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge, e in genere nei casi in cui per negligenza e imperizia comprometta il buon esito del giudizio". 4. "il professionista che agisca per ottenere il soddisfacimento di crediti inerenti ad attività prestate a favore del cliente ha l’onere di provare sia l’"an" del credito vantato sia la entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, che dovrà essere rapportato e proporzionato alla qualità ed alla attività svolta".

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

Al momento della notifica del ricorso per cassazione (novembre 2006) non poteva dirsi ancora consolidata la rigorosa giurisprudenza di questa Corte, a sezioni Unite che, in ordine alla formulazione dei motivi di ricorso per cassazione, richiede la specificità dei quesiti diritto e la individuazione di un preciso momento di sintesi, rispettivamente per i casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso, compensa le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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