Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-02-2011) 16-03-2011, n. 11041 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ssibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Firenze respingeva la domanda avanzata da A.G., volta alla concessione del differimento della esecuzione della pena per incompatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario ovvero, per le medesime ragioni, della misura alternativa della detenzione domiciliare.

Osservava, a ragione, che in base alla perizia d’ufficio il condannato non versava in pericolo di vita ma lamentava svariate patologie, alcune in stadio iniziale (sindrome nevrosica), altre in fase di diagnosi (ipercortisolismo), altre semplicemente da lui riferite (incontinenza urinale e fecale, allergia a punture da insetto. L’unica patologia sicuramente accertata e che poteva considerasi grave, non tanto in sè quanto in collegamento con gli esiti algodistrofici di una ferita da arma da fuoco all’arto inferiore, era l’obesità, che comportava secondo i periti una situazione di incompatibilità relativa con il regime carcerario, apparendo necessario, per risolvere la patologia, un intervento chirurgico riduttivo non praticabile in regime intramurale e nei centri clinici carcerari.

Tuttavia proprio il detenuto aveva dimostrato di non essere intenzionato a sottoporsi ad alcun intervento chirurgico, non avendo inoltrato alcuna richiesta in tal senso, mai avendo programmato siffatto intervento, ed anzi rifiutando addirittura la terapia e la dieta alimentare cui avrebbe dovuto comunque essere sottoposto.

Inoltre, pur risultando che le sue condizioni di salute erano invariate da anni, aveva anche in passato avanzato richieste che prescindevano sempre completamente dall’intervento chirurgico. La situazione descritta dimostrava il carattere strumentale, allo stato, della richiesta di differimento. Restava fermo che se davvero "l’ A. avesse manifestato la volontà di effettuare tale intervento" il Tribunale ne avrebbe disposto la immediata scarcerazione a tutela del suoi diritto a curarsi in modo adeguato:

ma ciò non si era ancora verificato.

Quanto alla richiesta di arresti domiciliari, all’accoglimento della stessa era d’ostacolo il fatto che l’ A. non disponeva nè di un domicilio privato in cui stare nè di persone che potessero prendersi cura di lui, mentre la Casa di cura di Lucca aveva dato disponibilità per soli 14 giorni.

2. Ricorre l’interessato a mezzo del difensore, avvocato Cinzia Corradori, che chiede l’annullamento del provvedimento denunziando:

2.1. vizi della motivazione e travisamento dei dati fattuali perchè, in particolare, il Tribunale di sorveglianza aveva di fatto:

disatteso i risultati della perizia sulla base di una non corretta lettura delle considerazioni dei periti che individuavano la gravità della situazione del detenuto e serie ragioni di pericolo nel complesso delle patologie che lo affliggevano; travisato e pretermessa la valutazione delle dichiarazioni fatte in udienza dal detenuto, che aveva espressamente affermato la sua intenzione di operarsi; ipervalutato atti di protesta che avevano il solo scopo di richiamare su di sè l’attenzione dei sanitari;

2.2. violazione di legge per l’omessa adeguata considerazione della gravità delle patologie non adeguatamente fronteggiabili in regime carcerario, con conseguente scadimento della restrizione carceraria al di sotto della soglia dell’umanamente tollerabile.

3. Con atto trasmesso via fax in data 2.2.2011, denominato "motivi nuovi e memoria", il difensore insiste sostanzialmente nelle deduzioni articolate nel ricorso, affermando che in realtà i periti non avevano indicato la terapia chirurgica come l’unico rimedio praticabile, ma avevano indicato la necessità in ogni caso di cure e terapie diverse e più efficaci di quelle praticabili in Istituto.
Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.

Il Tribunale ha adeguatamente fondato il suo convincimento sulla perizia medico legale, esaminando natura e gravità delle patologie e concludendo che se era vero che il paziente necessitava di intervento chirurgico riduttivo dell’obesità, che non poteva essere attuato in regime carcerario, di fatto aveva sempre omesso di richiedere e di programmare seriamente tale intervento, dimostrando anzi in concreto completo disinteresse anche per le terapie minime (alimentari) indispensabili per siffatta patologia.

La motivazione, nel merito del tutto plausibile, correttamente evidenzia così il comportamento "ostile" manifestato dal detenuto con la sua mancanza di effettiva programmazione e consenso all’intervento, prestando ossequio ai principi elaborati dalla Corte di Strasburgo in tema di interpretazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e valutazione di compatibilita tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso (in particolare si veda, anche per il rilievo di un comportamento ostruzionisitico, decisione 24.1.2006, Martinelli c. Italia n. 68625/01, nonchè, tra molte: Coppola c. Italia, n. 50550/06; Jalloh c. Germania ric. n. 54810/00; Kudta c. Polonia, n. 30210/96, Riviere c. Francia, n. 33834/03), nonchè a quelli, analoghi, elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione al medesimo aspetto (tra molte sentenze n. 165 del 1996, n. 134 del 1984).

A fronte, le deduzioni con le quali si sostiene una sorta di travisamento delle conclusioni peritali sono prive di autosufficienza e si risolvono nella improponibile richiesta di una rivalutazione del significato dell’elaborato sulla base di alcuni brani estrapolati dal testo della consulenza, non allegato al ricorso e senza neppure alcuna pretesa di completezza.

Manifestamente infondata è quindi la doglianza relativa alla mancata considerazione della volontà di sottoporsi ad intervento che il condannato avrebbe espresso in udienza: la richiesta di intervento chirurgico e l’adesione ad un preciso programma in tal senso va manifestata nelle sedi proprie e deve essere rivolta ai sanitari, non certo a giudici che a quelli non possono certamente sostituirsi nel raccogliere il consenso informato del paziente e nel fissare dell’intervento tempi e modi.

D’altronde il Tribunale ha chiaramente affermato che il condannato potrà certamente ottenere quanto richiesto nel momento in cui dimostrerà che realmente intende essere operato. Nè può prescindersi dal rilievo che il comportamento sostanzialmente ostruzionistico del ricorrente, e comunque la mancanza di collaborazione alle terapie, risulta già sottolineato da sez. 7, n. 29879 del 2010 a ragione della dichiarazione d’inammissibilità di suo precedente ricorso.

2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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