T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 2263 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ale;
Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 20 febbraio 2009, depositato il successivo 6 marzo, la società ricorrente impugna, chiedendone l’annullamento, la nota 23 dicembre 2008 n. 28930, con la quale il Ministero dell’ambiente le ha imposto "l’attivazione di specifiche caratterizzazioni e misure di messa in sicurezza di emergenza nelle aree inquinate di proprietà della società stessa". Chiede, inoltre, la condanna dell’amministrazione alla reintegrazione in forma specifica, ovvero, in subordine, al risarcimento dei danni per equivalente, nella misura determinata in corso di causa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

La ricorrente premette che la nota ora impugnata è stata adottata "nell’ambito di un procedimento di bonifica che risulta aperto fin dal 2001" ed all’epoca condotto dal Comune di Bussi nei confronti della società Ausimont s.p.a. (controllata da M. s.p.a., poi divenuta E. s.p.a.), società dalla quale la ricorrente "ha acquistato ed assunto la titolarità dello stabilimento e del sito di Bussi".

Benchè non responsabile dell’inquinamento,la soc. S. "ha proseguito nell’attuare ogni misura di tutela ambientale che sia stata richiesta dall’amministrazione competente in merito al sito di Bussi sul Tirino".

Tuttavia, il problema ambientale ha acquisito dimensioni sempre più ampie, ed è stato affrontato dapprima con la nomina di un Commissario straordinario delegato per la realizzazione di interventi urgenti nell’asta fluviale del bacino del fiume Aterno", poi direttamente dalla Regione Abruzzo, ciò soprattutto a seguito della "scoperta di una grandissima discarica, da subito denominata significativamente dalla stampa come "megadiscarica dei veleni", attualmente ancora di proprietà di M. s.r.l.".

Quest’ultima – espone la ricorrente – già in questa fase del procedimento "è stata chiamata, in accoglimento di una istanza presentata da S.S., a far parte del procedimento relativo al sito di Bussi di proprietà S.S., evidentemente nella qualità di soggetto inquinatore".

Successivamente "a seguito della scoperta della gravissima contaminazione indotta dalla mega discarica dei veleni", con OPCM 4 ottobre 2007 i poteri del Commissario straordinario sono stati estesi ed è stato istituito il "Sito di interesse nazionale di Bussi sul Tirino" ( D.M. 29 maggio 2008).

Descritte le vicende relative all’acquisto di Ausimont e affermato che "solo dopo avere acquisito la gestione dello stabilimento di Bussi, S.S. subentrata nella gestione del sito dal 2002, ha dovuto constatare che la situazione ambientale in cui versava il sito era ben più compromessa di quella falsamente rassicurante rappresentata da M. durante le trattative del 2001 per la cessione delle azioni Ausimont"; affermata altresì la propria estraneità all’inquinamento, "riconducibile ai precedenti proprietari e gestori del sito in quanto gli inquinanti rinvenuti erano legati a processi produttivi svolti dal gruppo M. fino all’inizio degli anni settanta (pagg. 7- 16 ric.), la società ricorrente propone i seguenti motivi di ricorso:

a) violazione e falsa applicazione artt. 242 ss. d. lgs. n. 152/2006 e art. 174 Trattato C.E. "chi inquina paga"; violazione art. 1 l. n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; ciò in quanto il Ministero "ha imposto attività di messa in sicurezza dei suoli e della falda a S.S., che non ha alcuna responsabilità nelle cause dell’inquinamento, soltanto perché la società è proprietaria del sito", laddove le norme prescrivono che sia il "responsabile del’inquinamento il soggetto chiamato a occuparsi dei processi di messa in sicurezza e bonifica dei siti inquinati". Al contrario, "a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia anche responsabile della contaminazione, non incombe invece alcun obbligo di porre in essere gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza, anche se di natura emergenziale", poiché questi "ha soltanto la facoltà di eseguirli spontaneamente, al fine di evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sulla proprietà sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare". Né, infine, gli interventi imposti possono essere considerati "misure di prevenzione ascrivibili anche al proprietario incolpevole", essendo essi "vere e proprie misure di messa in sicurezza di emergenza, la cui esecuzione spetta esclusivamente al responsabile dell’inquinamento";

b) violazione e falsa applicazione art. 5 l. n. 225/1992; incompetenza; violazione e falsa applicazione art. 242 d. lgs. n. 152/2006; artt. 1, 14 e 14ter l. n. 241/1990; difetto di istruttoria; incompetenza; poiché il Ministero "ha prescritto alla ricorrente l’adozione di misure straordinarie senza avere acquisito – né in conferenza di servizi né dopo – il consenso del commissario straordinario", ed ha inoltre adottato la nota impugnata "al di fuori ed in assenza di una conferenza dei servizi decisoria cui dovevano partecipare gli enti e le autorità competenti";

c) violazione e falsa applicazione art. 242 ss. d. lgs. n. 152/2006; violazione artt. 1, 14 e 14ter, l. n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione del principio di efficienza dell’azione amministrativa; difetto di istruttoria e della motivazione; poiché nel caso di specie è stata imposta "l’attuazione di rilevanti interventi di messa in sicurezza senza avere minimamente svolto la doverosa attività istruttoria e di indagine circa l’effettiva utilità e indifferibilità delle misure prescritte, le cause e la riconducibilità (anche ipotetica) di queste al soggetto cui dette misure e prescrizioni sono impartite";

d) violazione art. 21quinquies l. n. 241/1990; violazione art. 1 l. n. 241/1990 e del principio di efficienza dell’azione amministrativa; difetto di istruttoria e della motivazione; poiché con l’adozione della nota impugnata, il Ministero "ha implicitamente revocato gli atti del procedimento di messa in sicurezza e di bonifica ambientale adottati dalle autorità competenti nei procedimenti "comunale", "regionale" e "commissariale", che hanno portato alla approvazione definitiva dei piani di caratterizzazione… nonché delle determinazioni amministrative degli enti che hanno approvato gli interventi sui suoli e sulla falda acquifera", e ciò "senza specificare le ragioni di pubblico interesse sottese a tale mutamento di indirizzo";

e) violazione e falsa applicazione art. 242 ss. d. lgs. n. 152/2006; difetto dei presupposti di fatto e di diritto; contraddittorietà con precedenti determinazioni delle P.A. competenti; irragionevolezza; poiché gli interventi imposti "sono inutili e privi di alcun fondamento normativo", poiché "si pongono in aperto contrasto rispetto a quanto già realizzato da S.S. nel corso del procedimento di bonifica" e fanno riferimento a parametri e soluzioni tecniche privi di riscontro normativo; inoltre, detti interventi sono "irragionevoli e contraddittori", poiché molte delle attività richieste "comportano un inutile dispendio di risorse".

2. Con successivo ricorso per motivi aggiunti (depositato il 12 aprile 2010), la società ricorrente ha impugnato una pluralità di atti e, in particolare, il decreto del direttore del Ministero dell’ambiente 17 febbraio 2010, di adozione delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria, relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di "Bussi sul Tirino" del 11 febbraio 2010.

Preliminarmente la società, che è "nudo proprietario del sito", premette che oggetto di gravame "sono gli atti del procedimento di bonifica del sito industriale di Bussi sul Tirino, nella parte in cui non identificano come obbligato o quantomeno coobbligato E. s.p.a. (già M. s.p.a.) e, quindi, anche per il successivo iter del procedimento di bonifica non prevedano la partecipazione diretta della controinteressata alla predisposizione e all’esecuzione degli interventi di bonifica del sito e delle aree oggi di proprietà di S.S. s.p.a.".

Ciò in quanto – precisa la ricorrente – "l’accertamento delle cause dell’inquinamento e delle relative responsabilità nel procedimento sarà infatti determinante ai fini dell’azione di rivalsa che S.S., in qualità di proprietario non responsabile dell’inquinamento, eserciterà… nei confronti di E. s.p.a. (già M. s.p.a.), soggetto responsabile della contaminazione del sito e delle aree di S.S. per le spese da questa sostenute e che dovrà sostenere in futuro nonché per l’eventuale maggior danno che essa subirà".

La ricorrente premette altresì che con il decreto impugnato, il Ministero "questa volta all’esito di una rituale conferenza di servizi", ha in questo modo "sostanzialmente assorbito il decreto del 23 dicembre 2008 impugnato con il primo ricorso, continuando però a non coinvolgere nelle relative attività e a non identificare il vero responsabile dell’inquinamento; E., l’odierna controinteressata".

Propone, quindi, i seguenti, ulteriori motivi di ricorso:

a) violazione e falsa applicazione artt. 242, 244 e 245 d. lgs. n. 152/2006; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione art. 1 l. n. 241/1990 e del principio di efficienza dell’azione amministrativa; difetto di istruttoria e di motivazione; poiché si sono ascritti solo a S. "rilevanti e onerosissimi obblighi di messa in sicurezza del sito e di bonifica, senza contemplare più E.", laddove occorre individuare il soggetto che ha causato l’inquinamento, ordinandogli la bonifica"; d’altra parte, il mancato coinvolgimento del soggetto responsabile pregiudica o comunque seriamente ostacola il diritto di rivalsa per obblighi di bonifica "che pure si volesse spontaneamente assumere come proprietario non responsabile";

b) violazione e falsa applicazione artt. 242, 244 e 245 d. lgs. n. 152/2006; violazione del principio "chi inquina paga"; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; difetto di istruttoria; poiché non si è considerata la posizione di E., la quale in qualità di soggetto responsabile della politica ambientale del gruppo e segnatamente della gestione diretta che essa ha avuto dello stabilimento de quo è certamente responsabile della contaminazione del sito"; peraltro, le norme in materia di responsabilità ambientale "lì dove si riferiscono al soggetto inquinatore, certamente coinvolgono anche una controllante che si sia manifestamente ingerita nell’attività della controllata" (cioè E. nei confronti di Ausimont);

c) violazione e falsa applicazione degli artt. 242 ss. d. lgs. n. 152/2006; art. 1 l. n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; difetto di istruttoria e di motivazione; poichè "la mancata identificazione di E. come inquinatore o almeno coinquinatore provoca anche un evidente difetto di istruttoria", non acquisendosi da tale soggetto "informazioni rilevantissime ai fini della corretta individuazione degli interventi di bonifica";

d) violazione e falsa applicazione artt. 239 ss. d. lgs. n.152/2006 e del principio "chi inquina paga"; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; irragionevolezza e contraddittorietà con precedenti determinazioni delle P.A. competenti e difetto di istruttoria; poiché gli interventi imposti "sono irragionevoli, contraddittori e privi di fondamento giuridico";

e) violazione artt. 239 ss. d. lgs. n. 152/2006 e del principio "chi inquina paga"; violazione e falsa applicazione dell’art. 174 Trattato C.E.; violazione artt. 311, 313, 314 d.lgs. n. 152/2006; difetto di istruttoria; violazione art. 3 l. n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;ciò relativamente alla trasmissione alla ricorrente della relazione ISPRA, posto che essa è proprietario non responsabile dell’inquinamento, che non è stata comunque consultata nel procedimento, di modo che la quantificazione del danno "di per sé abnorme e sproporzionata… è stata effettuata senza alcuna comprensione delle cause e dei fenomeni di inquinamento rilevati",

f) incompetenza e violazione di legge, posto che il provvedimento risulta adottato anche dal Commissario straordinario, mentre non possono coesistere nel medesimo sito di interesse nazionale i poteri ordinari del Ministro e quelli straordinari del Commissario.

3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

Si è costituta in giudizio la società M., la quale, fin dalla memoria depositata il 27 aprile 2010, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso ed il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che essa non è mai stata "la proprietaria degli stabilimenti del polo chimico di Bussi sul Tirino, né mai ne ha assunto la gestione". Ha comunque concluso richiedendo il rigetto dei ricorsi, stante la loro infondatezza.

Si è altresì costituita in giudizio la società E. s.p.a., che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, poiché con esso si "mira ad ottenere l’emanazione di una sentenza che, oltre ad annullare i provvedimenti impugnati, disponga il coinvolgimento di E. nel procedimento amministrativo in corso, quale soggetto responsabile dell’inquinamento, sovrapponendo il convincimento del Tribunale ad una valutazione riservata esclusivamente alla Pubblica Amministrazione"; in definitiva, il Tribunale finirebbe per esercitare giurisdizione di merito in casi non previsti. Ha comunque concluso richiedendo il rigetto dei ricorsi, stante la loro infondatezza.

All’odierna udienza la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione

4. Preliminarmente, il Tribunale deve dichiarare l’improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto la nota 28 dicembre 2008 n. 28930, risulta superata dalla successiva emanazione del decreto 17 febbraio 2010, impugnato con il ricorso per motivi aggiunti.

La stessa ricorrente (v. memoria depositata il 2 dicembre 2010, pag. 3), ha dichiarato, peraltro, che il ricorso introduttivo "deve intendersi ormai assorbito dal ricorso per motivi aggiunti", proprio in virtù dell’emanazione del secondo provvedimento citato.

Il Tribunale ritiene, inoltre, di poter prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità, in quanto relative al ricorso per motivi aggiunti, avanzate dalle controinteressate E. e M., nonchè di carenza di legittimazione passiva (avanzata dalla sola M.), alla luce della pronuncia adottata nel merito.

5. Il ricorso per motivi aggiunti è infondato e deve essere, pertanto, respinto, alla luce delle ragioni di seguito esposte.

Occorre innanzi tutto precisare, in punto di fatto, che:

– con nota 23 dicembre 2008 n. 28930, indirizzata alla società S.S., il Direttore generale della Direzione generale per la qualità della vita del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, constatato che, nel sito di interesse nazionale da bonificare di Bussi sul Tirino, "a fronte del grave e diffuso stato di contaminazione non risultano essere state adottate misure di messa in sicurezza dei suoli e delle citate discariche", ordinava alla società in indirizzo di procedere ad una pluralità di interventi (pagg. 36 della nota), riservandosi "ulteriori prescrizioni in merito alle attività di caratterizzazione e di progettazione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza d’emergenza";

– con successivo decreto 17 febbraio 2010 n. 8813, (indirizzato sia alla soc. "S.S. s.p.a. (ex Ausimont)", sia alla soc. "S. Chimica Bussi", il medesimo Direttore generale del Ministero dell’ambiente, a seguito della conferenza di servizi decisoria del 11 febbraio 2010, tenuto conto che nel verbale di detta conferenza "sono individuati gli interventi necessari per la bonifica del sito di interesse nazionale di Bussi sul Tirino nonché i soggetti obbligati alla loro realizzazione"; tenuto altresì conto che "i soggetti così individuati hanno l’obbligo di adempiere alle prescrizioni stabilite dall’amministrazione procedente", approvava e considerava "come definitive tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della conferenza di servizi decisoria del 11 febbraio 2010".

Dal verbale della conferenza di servizi 11 febbraio 2010, si evince che ciò che riguarda la soc. S.S. è il terzo punto all’o.d.g.,, con riferimento agli interventi sub lettere a)e). In particolare (pag. 9) si legge che "i partecipanti alla odierna conferenza di servizi deliberano di prendere atto dei citati documenti presentati da S.S. subordinatamente al recepimento delle succitate prescrizioni dal numero 1 al numero 16".

Da tale affermazione, occorre dedurre che le "prescrizioni" costituiscono gli "interventi necessari", di cui al decreto dirigenziale impugnato, e che il "soggetto obbligato ala loro realizzazione" è la soc. S.S. (in quanto presentatore dei documenti oggetto di esame in conferenza).

Appare dunque evidente dalla lettura degli atti, che né nel verbale della conferenza di servizi del 11 febbraio 2010, cui il provvedimento impugnato rinvia per relationem, né nello stesso decreto dirigenziale impugnato, si procede alla individuazione del "soggetto responsabile dell’inquinamento" (e pertanto gli interventi prescritti non sono conseguenza di un accertamento di responsabilità), ma che le prescrizioni che i soggetti hanno "l’obbligo di adempiere" conseguono alla accertata proprietà dei beni sui quali gli interventi devono essere attuati, e ciò in conseguenza di presentazione di documenti (relativi ad attività di caratterizzazione, ad attività di messa in sicurezza d’emergenza, ad indagini idrogeologiche, etc.) effettuata proprio nella predetta qualità di proprietari degli immobili.

In definitiva, laddove il decreto dirigenziale afferma essere intervenuta una individuazione dei "soggetti obbligati alla loro realizzazione" (degli interventi necessari per la bonifica del sito), lo stesso deve essere inteso escludendo che esso intenda riferirsi ad obblighi conseguenti ad un definitivo accertamento di responsabilità, bensì ad "obblighi" connessi alle prescrizioni (interventi) impartite, come da verbale della conferenza di servizi. E ciò a prescindere dalla definitiva attribuzione delle obbligazioni quale conseguenza dell’accertamento della responsabilità dell’inquinamento.

Ciò che risulta nei confronti di S.S. s.p.a (punto 3 o.d.g. conferenza di servizi), è riscontrabile, in pratica con lo stesso modus operandi, sia nei confronti di E. s.p.a. (punto 4 o.d.g.) e di E. s.p.a. (punto 6 o.d.g.).

6. Tanto premesso in punto di fatto, ed evincibile dalla lettura dei documenti indicati, occorre ricordare che il d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Codice dell’ambiente), prevede (Titolo V, "Bonifica dei siti contaminati"):

– all’art. 242, una pluralità di obblighi a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento, prevedendo, in particolare, che "al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne da immediata comunicazione…" (co.1); che "il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento…" e "provvede al ripristino delle zone contaminate" (co. 2);

– all’art. 244, relativo al potere di ordinanza, che l’amministrazione "dopo avere svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento" dei livelli di contaminazione, "diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo" (co. 2); tale ordinanza "è comunque notificata anche al proprietario del sito" (co. 3), ai sensi e per gli effetti dell’art. 253. Inoltre, si prevede che (co. 4) "se il responsabile non sia individuabile o non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari… sono adottati dall’amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall’art. 250";

– all’art. 245, che "le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili"; inoltre, "fatti salvi gli obblighi della potenziale contaminazione", il proprietario che rilevi il superamento o il pericolo di superamento della concentrazione soglia di contaminazione., deve "attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242";

– all’art. 250, che "qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’art. 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione";

– all’art. 253, che gli interventi costituiscono onere reale sui siti contaminati, qualora effettuati di ufficio dall’autorità competente (co. 1), e che le spese sostenute per gli interventi "sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime" (co. 2). Infine, il comma 3 prevede che "il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito del provvedimento motivato dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità".

Alla luce delle disposizioni citate, appare evidente che, nel sistema sanzionatorio ambientale, il proprietario del sito inquinato è senza dubbio soggetto diverso dal responsabile dell’inquinamento (pur potendo, ovviamente, i due soggetti coincidere); su quest’ultimo gravano, oltre altri tipi di responsabilità da illecito, tutti gli obblighi di intervento, di bonifica e lato sensu ripristinatori, previsti dal Codice dell’ambiente (in particolare, dagli artt. 242 ss.).

Tuttavia, il proprietario dell’immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione. Ed infatti:

– in primo luogo, il proprietario è comunque tenuto ad attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 (art. 245);

– in secondo luogo, il proprietario, ancorchè non responsabile, può sempre attivare volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale (art. 245);

– infine, il proprietario è il soggetto sul quale l’ordinamento, in ultima istanza, fa gravare – in mancanza di individuazione del responsabile o in caso di sua infruttuosa escussione – le conseguenze dell’inquinamento e dei successivi interventi (art. 253).

In sostanza, se gli obblighi di bonifica, ripristino ambientale e quant’altro occorrente a seguito della constata contaminazione, ovvero gli obblighi di riparazione per equivalente gravano sul responsabile dell’inquinamento, è altrettanto vero che, in subordine, qualora il responsabile non venga individuato, ovvero risulti che non sia in grado di far fronte alle proprie obbligazioni risarcitorie, le obbligazioni risarcitorie per equivalente sono dall’ordinamento posti a carico del proprietario, ancorchè "incolpevole dell’inquinamento", attesa proprio la natura di onere reale degli interventi effettuati (art. 253).

In definitiva, l’ordinamento

– per un verso attua il principio "chi inquina paga", introdotto dall’art. 174, comma 2, del Trattato UE (secondo il quale " la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto delle diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga", individuando nel responsabile dell’inquinamento il soggetto responsabile per le obbligazioni ripristinatorie e risarcitorie;

– per altro verso, non prevede che – in assenza di individuazione del responsabile ovvero di impossibilità di questi a far fronte alle proprie obbligazioni – il costo degli interventi gravi sulla collettività (per il tramite di uno degli enti esponenziali di questa), ma pone tali costi a carico della proprietà. D’altra parte, la ratio sottesa al principio comunitario "chi inquina paga", è quella di escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti colpiti da inquinamento venga sopportato dalla collettività.

Né tale previsione risulta costituzionalmente illegittima, sia in quanto essa è destinata a trovare attuazione solo a seguito di accertata impossibilità di individuare il responsabile o di escuterlo fruttuosamente, ciò dichiarando attraverso un atto congruamente motivato ed assoggettato al controllo giurisdizionale (escludendosi ogni forma di solidarietà del proprietario), sia in quanto è principio generale del nostro ordinamento quello relativo alla funzione sociale della proprietà ( art. 42 Cost.), che giustifica anche la conformazione, imposizione di pesi o oneri, ed infine la stessa estinzione per espropriazione del diritto.

In conclusione, il proprietario del sito contaminato non è estraneo, ancorchè incolpevole, alle vicende successive al constatato inquinamento, né immune dall’attribuzione "finale", pur con le modalità e cautele previste, delle obbligazioni risarcitorie.

E proprio perché può essere il titolare finale di dette obbligazioni risarcitorie, il proprietario è titolare di un interesse legittimo a che l’amministrazione eserciti ogni attività volta alla individuazione del responsabile, pretenda da questi le attività di ripristino necessarie per legge in relazione alla contaminazione constatata, ovvero ponga a suo carico le spese di quanto si è dovuto attuare di ufficio.

Allo stesso tempo, laddove l’amministrazione non avesse a ciò provveduto, ben può il proprietario impugnare il provvedimento eventualmente emanato ai sensi dell’art. 253, co. 3, deducendo i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere di cui tale atto risulterebbe affetto.

7. Orbene, proprio perché il proprietario non è estraneo alle vicende successive all’accertata contaminazione dell’immobile oggetto del suo diritto; proprio perché egli è tenuto ad attuare le misure di prevenzione necessarie; proprio perché egli può – anche in vista delle conseguenze future in cui potrebbe incorrere ex art. 253 – sempre farsi carico volontariamente degli interventi necessari, non sussiste alcun impedimento a ritenere che il proprietario possa essere reso destinatario dall’amministrazione competente – salvo sua rivalsa nei confronti del responsabile – degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, e ciò senza che tale attribuzione consegua o sia indice di una sua responsabilità.

In altre parole, se il proprietario è in definitiva il soggetto al quale, pur senza sua responsabilità, vengono poste a carico le obbligazioni risarcitorie conseguenti all’inquinamento (e ciò proprio e solo perché proprietario), ben può lo stesso proprietario essere reso destinatario di un obbligo di attuare i necessari interventi, salva successiva rivalsa nei confronti del responsabile, che l’amministrazione ha l’obbligo di individuare.

La titolarità ultima delle obbligazioni risarcitorie rende cioè possibile anche la attribuzione (provvisoria) delle obbligazioni ripristinatorie.

Questo Tribunale è consapevole delle diverse conclusioni cui è giunta la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2009 n. 3885; TAR Piemonte, sez. I, 24 novembre 2010 n. 1575; TAR Toscana, sez. II, 19 maggio 2010, n. 1524), secondo la quale l’obbligo di bonifica è posto in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare, mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera "facoltà" di effettuare interventi di bonifica.

Ciò nonostante, la conclusione ora esposta, che si ricava dagli articoli del Codice dell’ambiente sopra indicati e che non è esclusa espressamente da alcuna norma, appare ragionevole anche considerando che:

– per un verso, nel quadro di complesse operazioni dove la adozione di misure di prevenzione (che espressamente compete al proprietario, ex art. 245) è propedeutica o comunque connessa alle opere di bonifica e ripristino ambientale, l’attribuzione complessiva degli interventi al proprietario può costituire la soluzione più ragionevole ed efficiente;

– per altro verso, l’intervento dell’amministrazione, in assenza di individuazione del responsabile, comporterebbe comunque un sacrificio del diritto del proprietario, stando la temporanea sospensione delle sue facoltà di godimento del bene;

– per altro verso ancora, non è escluso che, in conseguenza della esecuzione "di ufficio" degli interventi, le spese che il proprietario vedrebbe conclusivamente poste a proprio carico risultino più elevate, rispetto ad una sua attuazione "diretta" degli interventi;

– infine, il proprietario è tenuto agli interventi "intra vires", e cioè nei limiti di valore dell’area di sua proprietà sulla quale gravano onere reale e privilegio speciale immobiliare (TAR Veneto, sez. III, 15 settembre 2009 n. 2804), ben potendo quindi egli dolersi di un provvedimento che gli commetta interventi di valore superiore.

E’ appena il caso di ripetere che l’attribuzione al proprietario di interventi sui siti contaminati non comporta alcuna affermazione, nemmeno implicita, di una sua responsabilità per l’inquinamento; che resta fermo il diritto di rivalsa del proprietario nei confronti del responsabile; che sussiste l’obbligo dell’amministrazione di individuare quest’ultimo, con la conseguenza, in particolare, che, laddove l’amministrazione abbia posto gli interventi a carico del proprietario non responsabile e non provveda all’accertamento di questi, essa potrebbe non essere (in astratto) immune da responsabilità nei confronti del proprietario da essa stessa gravato, in via provvisoria, di obbligazioni ripristinatorie.

8. Nel caso di specie, si è già chiarito che con il provvedimento impugnato l’amministrazione, pur avendo posto taluni interventi a carico della società ricorrente, ciò ha disposto in considerazione della sua veste di proprietario del sito inquinato, non essendo rinvenibile nell’atto citato alcuna affermazione di responsabilità per l’inquinamento a carico della S.S..

Così come si è già chiarito che la ricorrente deve ritenersi "obbligata" ad eseguire gli interventi(oltre che "intra vires", nei sensi sopra precisati) in quanto detti obblighi sono connessi alle prescrizioni (interventi) impartite, come da verbale della conferenza di servizi, a prescindere dalla definitiva attribuzione delle obbligazioni quale conseguenza dell’accertamento della responsabilità dell’inquinamento.

Ciò considerato, ed alla luce di quanto sin qui esposto, consegue l’infondatezza dei motivi (proposti con il ricorso per motivi aggiunti) riportati sub a), b) ed e) dell’esposizione in fatto, tutti in pratica fondati sul presupposto della necessaria attribuzione dell’obbligo di intervenire al solo responsabile dell’inquinamento.

Sul punto, giova ancora osservare che tali motivi di ricorso si fondano sull’assunto di una sorta di "indifferenza" e/o "estraneità" del proprietario alle vicende successive al’inquinamento e alle attività (e spese conseguenti) per il ripristino ambientale, laddove l’art. 253 codice dell’ambiente non consente tale conclusione.

In altre parole, il recepimento del principio "chi inquina paga" nel nostro ordinamento – che vede giustamente, nei modi sopradescritti, l’affermazione della responsabilità dell’autore dell’illecito – non giunge fino al punto di addossare alla collettività le conseguenze di tale inquinamento, ponendo in rilievo la particolare posizione del proprietario.

Nel caso di specie, occorre altresì aggiungere che:

– per un verso, gli interventi prescritti alla società ricorrente conseguono proprio a proposte e documentazione dalla stessa presentate e valutate in conferenza di servizi;

– per altro verso, nell’ambito dei detti interventi appare difficile (né tale distinzione è stata effettuata dalla S.S.) distinguere tra interventi di prevenzione (per i quali lo stesso art. 245 prevede l’obbligo di intervento del proprietario) e "vere e proprie misure di messa in sicurezza di emergenza", che in ricorso si assume non essere tenuti ad attuare.

Infine, non può costituire motivo di illegittimità del provvedimento la non ancora intervenuta individuazione del responsabile dell’inquinamento, dovendo l’amministrazione comunque procedervi e ben potendo il proprietario richiedere che l’amministrazione vi provveda, utilizzando gli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento avverso l’inerzia della P.A., ovvero avverso le conseguenze dannose di tale inerzia, escludendosi per tali ragioni che – così come lamentato con il primo motivo di ricorso – il mancato coinvolgimento del soggetto responsabile possa pregiudicare o comunque seriamente ostacolare il diritto di rivalsa per obblighi di bonifica (fermo restando quanto previsto dall’art. 253 Codice ambiente).

Altrettanto infondati risultano essere i motivi sub lett. c) e d) dell’esposizione in fatto, posto che, per un verso, essi sono affetti da genericità, non essendo indicati quali effettivi contributi istruttori su sarebbero potuti ottenere per il tramite del previo accertamento del responsabile dell’inquinamento, né perché gli interventi disposti sarebbero "irragionevoli, contraddittori e privi di fondamento giuridico".

Infine, risulta infondato anche il motivo sub f), proposto dalla ricorrente "in via del tutto subordinata" (pag. 38 ric. per motivi aggiunti), posto che, avendo il Commissario straordinario partecipato alla conferenza di servizi, il decreto ministeriale si presenta solo come "provvedimento finale del procedimento", ex art. 14ter l. n. 241/1990.

Né, d’altra parte, attesa la convergenza del Commissario straordinario e del Ministero dell’ambiente sulla decisione adottata, la ricorrente ha interesse all’accertamento del vizio di incompetenza, posto che, quale che possa essere considerata l’amministrazione competente, avendo ambedue le amministrazioni convenuto sul contenuto provvedimentale, quest’ultimo non subirebbe modifiche.

Per le ragioni sin qui esposte, il ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da S.S. s.p.a. (n. 1815/2009 r.g.):

a) dichiara improcedibile il ricorso introduttivo;

b) rigetta il ricorso per motivi aggiunti;

c) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *