Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2011, n. 11508 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1057 del 2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Genova, ritenuta l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra F.M. e la s.p.a. Poste Italiane, per "esigenze eccezionali" ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-1997, dal 2-11-1999 al 31-12-1999, dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 2-11-1999 e condannava la società a ricostituire il rapporto ed a corrispondere le retribuzioni maturate dalla messa in mora.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma, con il rigetto della domanda di controparte.

La F. si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello incidentale per ottenere la retrodatazione della decorrenza dell’indennità risarcitoria, nonchè la condanna della società al pagamento integrale delle spese.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata il 22-5-2006, respingeva l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con un unico motivo.

La F. ha resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con l’unico motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, artt. 23, artt. 1362 e ss. c.c. e vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la sentenza impugnata, violando il principio della "delega in bianco" riconosciuta dalla L. del 1987 alla contrattazione collettiva ed i canoni interpretativi, nonchè con motivazione insufficiente e/o contraddittoria, erroneamente ha ritenuto che "le parti sociali abbiano inteso delimitare temporalmente l’efficacia dell’accordo sindacale del 25-9-97".

Il motivo è infondato e tanto basta per confermare la nullità del termine apposto al contratto de quo, anche se la motivazione della sentenza impugnata merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Correttamente la Corte di merito ha ritenuto che la contrattazione collettiva abbia fissato termini di scadenza dell’autorizzazione alla stipula di contratti a termine per l’ipotesi de qua.

In particolare, come questa Corte ha ripetutamente affermato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuati vo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale orientamento ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7- 2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va confermata la nullità del termine apposto al contratto in esame (concluso per "esigenze eccezionali" ex acc. az. 25-9-97, il 2-10-2000, in data successiva al 30-4-1998), correggendosi, però, la motivazione della impugnata sentenza che, invece, ha ritenuto che gli accordi attuativi ebbero a stabilire, non i termini entro i quali era consentita l’adozione del tipo contrattuale, ma proprio i termini che legittimamente potevano essere apposti ai contratti individuali (v., in casi analoghi, fra le altre, Cass. 10-1-2006 n. 166, Cass. 28-3-2008 n. 8121).

In tal senso, quindi, va respinto il ricorso, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla F. le spese, liquidate in Euro 15,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 14 aprile 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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