T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 14-03-2011, n. 2303 Condono

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Gli odierni ricorrenti si dolgono del decreto della Sovrintendenza di annullamento del parere favorevole espresso dal Comune di Tivoli in ordine alla richiesta di sanatoria ex art. 39 L. n. 724/94 relativa ad un Capannone agricolo ivi realizzato in via Favale.

A sostegno del ricorso gli interessati deducono profili di violazione di legge ed eccesso di potere.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio.

Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano che il provvedimento impugnato è affetto da incompetenza poichè il potere di emanazione del provvedimento impugnato sarebbe spettato al dirigente dell’ufficio centrale e non al Soprintendente.

La doglianza non può essere accolta.

La competenza a rilasciare il nulla osta di cui all’articolo 32 L. 47/85, appartiene alla Soprintendenza e non al Ministero o al dirigente dell’ufficio centrale.

Il DPR n. 441 del 2000, "Regolamento recante norme di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali", vigente all’epoca dei fatti in esame, all’art. 14, comma 3, prevede: "3. In particolare, il Soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio autorizza ai sensi dell’articolo 156 del testo unico, i progetti relativi alle opere pubbliche ricadenti nel territorio di competenza e adotta i provvedimenti di annullamento di cui all’articolo 151 del testo unico."

Il potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica concessa, nell’ambito di una procedura di condono ai sensi dell’art. 32 della l. n. 47/1985, è infatti in tutto assimilabile a quello di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche ai sensi dell’art. 151 del testo unico

490/1999 (all’epoca in vigore).

Nel caso di specie l’autorizzazione annullata riguarda un’opera non statale e interessante il solo territorio comunale di Tivoli, ne consegue che il Soprintendente (annullando la autorizzazione) ha legittimamente esercitato la potestà spettategli.

In questo senso, peraltro, era anche la disciplina previgente.

Infatti, il potere di annullamento della autorizzazione paesaggistica, che l’art. 82 del d.p.r. 616/1977 attribuiva direttamente al Ministro, deve ritenersi – a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 29/1993, che ha attribuito ai dirigenti la competenza su tutti gli atti gestionali già riservati agli organi politici – di competenza della dirigenza ministeriale e, segnatamente, del Direttore generale dell’Ufficio centrale per i BB.AA.PP.

Successivamente, il decreto ministeriale 18.12.1996 (pubblicato in G.U. n. 3 del 4 gennaio 1997), in sede di disciplina delle forme di decentramento dei poteri in materia di tutela ambientale e paesaggistica, ha delegato ai Soprintendenti territorialmente competenti la emanazione dei provvedimenti ex art. 8 2, 9° comma, D.P.R. n. 616/1977 concernenti gli interventi che interessano "il territorio di un unico Comune ad esclusione degli interventi relativi ad opere statali…". (cfr. in termini Cons. Stato, sez. VI, 03 novembre 2000, n. 5934)

Con una seconda censura i ricorrenti deducono la illegittimità dell’atto impugnato per violazione del D.M. 18 dicembre 1996 in relazione all’intervenuto decorso del termine di 60 giorni previsto per l’annullamento ministeriale che, secondo la tesi prospettata, atterrebbe non solo alla adozione dell’atto ma anche alla sua ricezione da parte del destinatario.

L’assunto è infondato.

Rileva il Collegio come la giurisprudenza si è ormai da tempo consolidata nell’affermare che il provvedimento di annullamento del nullaosta paesistico non ha natura di atto recettizio, con la conseguenza che il termine – perentorio – di sessanta giorni previsto per la sua adozione attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell’amministrazione statale e non anche alla comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento stesso (da ultimo si veda TAR Brescia, Sez. I, 14 dicembre 2010, n. 3523).

Nel caso di specie, in particolare – così come si legge nel provvedimento impugnato – la Sovrintendenza ha ricevuto la documentazione completa in data 3 luglio 2002 ed ha emesso il provvedimento in data 29 agosto 2002 nel pieno rispetto del termine di 60 giorni previsto dalla normativa, a nulla rilevando la diversa data della ricezione del provvedimento (24 settembre 2002) che, come rilevato non deve considerarsi atto recettizio.

Con una terza censura i ricorrenti deducono la illegittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo della violazione del giusto procedimento, non avendo l’Amministrazione statale provveduto a comunicare l’avvio del procedimento che ha condotto alla emanazione del provvedimento negativo.

La censura è infondata.

Rileva il Collegio come l’art. 2 del D.M. n. 165 del 2002 – applicabile ratione temporis alla presente fattispecie – aveva ripristinato – prima dell’intervento del D.Lgs. n. 42/2004 che ha espressamente reintrodotto l’obbligo di previa comunicazione dell’avvio del procedimento di competenza della Sovrintendenza con conseguente implicita abrogazione del D.M. n. 165/2002 – il quadro normativo antecedente all’entrata in vigore del regolamento ministeriale n. 495 del 1994, prevedendo che il Ministero (e, per esso, la Sovrintendenza) potesse emettere il proprio parere senza la preventiva comunicazione dell’avvio del subprocedimento di propria competenza e salva, comunque, la possibilità per l’interessato di presentare memorie o documenti ritenuti utili per quella fase (comma 1 bis, dell’art. 4 del d.m. 495/1994, introdotto dall’art. 2 del d.m. n. 165 del 2002).

Alcuna violazione dell’obbligo relativo alla comunicazione di avvio del subprocedimento, quindi, può imputarsi alla Amministrazione statale che, correttamente, ha provveduto ad emettere il proprio parere con riguardo al procedimento avviato dal Comune su istanza di parte.

Con una quarta censura i ricorrenti deducono la illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere per errore sul presupposto oltre che per errore di motivazione.

La censura è infondata.

La tesi della ricorrente, secondo cui, essendo il vincolo successivo alla realizzazione delle opere, l’intervento sarebbe di per sé sanabile senza necessità dell’acquisizione del parere di compatibilità, non può essere condivisa: secondo il costante orientamento della giurisprudenza, anche in caso di vincolo successivo, è comunque necessario il parere dell’Autorità preposta alla gestione del vincolo, in quanto la compatibilità dell’opera con il contesto ambientale deve essere valutata con riferimento al momento in cui deve essere esaminata la domanda di sanatoria (Cons. Stato Sez. V 22/12/94 n. 1574; Cons. Stato A.P. 22/7/99 n. 20; Cons. Stato Sez. VI 22/8/03 n. 4765; ecc.).

La giurisprudenza ha poi precisato che, nel caso di vincolo assoluto di inedificabilità, il vincolo non può considerarsi del tutto inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (e ritenere quindi che l’abuso sia sanabile solo perché l’art. 33, comma 1, della L. 47/85 si riferisce ai vincoli di inedificabilità assoluta imposti prima dell’esecuzione delle opere): in questi casi deve essere applicato lo stesso regime indicato nella previsione generale di cui all’art. 32, comma 1, della L. 47/85, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere sottoposte a vincolo, al parere favorevole dell’autorità preposta alla sua tutela (cfr. Cons. Stato A.P. n. 20/99).

In pratica, il vincolo da assoluto diviene relativo, ed è necessario il rilascio del parere di conformità.

Occorre però rilevare che, secondo la giurisprudenza, nel compiere il giudizio di compatibilità, l’Amministrazione non può non tener conto delle prescrizioni recate dal vincolo stesso, così come accade nel caso di vincolo relativo sopravvenuto (Cons. Stato Sez. V 7/10/03 n. 5918), con l’effetto, quindi, di poter ritenere non sanabile il manufatto quando contrasti con le prescrizioni recate dal provvedimento di vincolo (si veda, anche, T.A.R. Lazio, Sez. II, 5 febbraio 2009, n. 1212).

In tale prospettiva, dunque, appare irrilevante, nel caso di specie, il periodo temporale di realizzazione del capannone mentre correttamente risultano richiamate le disposizioni di cui agli artt. 32 e 33 L. n. 47/1985.

Conseguentemente e per i motivi esposti, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento, nei confronti della Amministrazione costituita, al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi euro 1.500,00 oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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