Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-02-2011) 16-03-2011, n. 10972

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Con doppia conforme – sentenza del gup del tribunale di Bari in data 6.2.2009 e sentenza della corte di assise di appello della stessa città in data 30.3/13.4.2010 – P.G. era condannato alla pena di anni sedici di reclusione quale concorrente morale nell’omicidio ai danni di Pi.Mi. e nei delitti di detenzione e porto di armi, con esclusione dell’aggravante contestata dal P.M. di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, con la riduzione per il rito abbreviato.

-2- Il fatto: verso le ore 17, 45 dell’ (OMISSIS), nei pressi del Poliambulatorio " (OMISSIS)", Pi.Mi. veniva attinto da più colpi di fucile caricato a "pallettoni", mentre si trovava fermo sul marciapiede di uno spiazzo destinato a parcheggio, a bordo del suo quadri – ciclo. Sono rimasti non identificati gli esecutori materiali dell’assassinio.

-3- Due gli elementi fondanti il giudizio di colpevolezza formulato dai giudici di secondo grado: la causale, rappresentata dalla ritorsione al pregresso tentativo, ritenuto ad opera di Pi., di omicidio ai danni dell’imputato in data 27.10.2002, da un lato, la ritenuta confessione stragiudiziale del P. che, all’indomani del delitto, si sarebbe avvicinato alla figlia della persona offesa Pi.Co. alla quale, mostrandole il braccio ferito nel corso del pregresso attentato subito, avrebbe rivolto la frase che segue: "a me mi fa male ancora…..e non ti credere che finisce qua…".

Intorno a queste due circostanze ruota tutta la motivazione della sentenza gravata di impugnazione, i cui percorsi logici si esporranno con attento riferimento alle parti rilevanti nella misura in cui costituiscono oggetto dell’impegno critico della difesa del ricorrente.

Il discorso giudiziale in merito ai fatti e circostanze condizionanti la valutazione di colpevolezza è preceduto nella sentenza da un discorso critico sulle eccezioni in rito sollevate con i motivi di appello ed in qualche modo reiterate con i motivi di ricorso.

Due le risposte giudiziali alle censure mosse con i motivi di appello. La prima: piena utilizzabilità delle registrazioni delle dichiarazioni rese da due testi, Pi.Co. e D.I. A.M., rispettivamente figlia e moglie separata dell’ucciso, perchè prova documentale ai sensi dell’art. 234 codice di rito. La seconda: nessuna violazione del diritto di difesa, pur eccepita dalla difesa che richiama l’art. 521 c.p.p., per la non correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Al P. sarebbe stato contestato il concorso morale, e non materiale come sostiene la difesa, nell’omicidio e per questa imputazione sarebbe poi stato condannato.

La causale, come sopra richiamata, dai primi giudici sarebbe stata tratta dalle dichiarazioni di Pi.Co. che avrebbe appreso del coinvolgimento del padre nel tentato omicidio di P.G. dal fratello Pi.. I secondi giudici però sottolineano la scarsa affidabilità della teste per una serie di ragioni che hanno modo di elencare partitamente: le dichiarazioni erano de relato, la teste era stata imputata di falsa testimonianza e calunnia per aver indicato come autori materiali persone – G. L., Pi.Sa., suo cugino – che in seguito al procedimento con sentenza 12.3.2010 del tribunale di Foggia erano stati assolti, interrogata il 30.10.2007 nel dibattimento relativo al procedimento contro B. + 23 davanti alla corte di assise di Foggia sulle sue pregresse dichiarazioni aveva ritrattato tutto, addebitando le sue pregresse dichiarazioni alle pressioni ricevute da parte dei Carabinieri, la teste, infine, aveva dichiarato che l’imputato era presente nel luogo e nell’ora del delitto tanto da dirigere le operazioni che portarono all’uccisione del Pi., ma quelle dichiarazioni non erano state ritenute credibili già dal giudice di primo grado perchè smentite dal teste D.G. M., terzo non interessato e quindi degno di fede.

La causale allora dai giudici di merito è stata individuata in base alle dichiarazioni di Pi.Pi. che il giorno del tentato omicidio ai danni di P.G. era stato avvicinato dal padre per consegnargli dei vestiti e delle scarpe raccomandando di nasconderli o distruggerli ("di questa cosa vedi che devi fare").

Pi.Pi. li aveva nascosti sotto il suo letto, quindi era subito uscito fuori e, richiamato dall’assembramento di una folla, aveva appreso che poco prima era stato perpetrato il tentativo di omicidio ai danni dell’odierno imputato. Per liberarsi dal dubbio, dopo qualche giorno aveva domandato al padre se era stato lui a compiere l’azione, ricevendone risposta affermativa. Il secondo elemento indiziante – la ritenuta confessione stragiudiziale dell’imputato alla Pi.Co. con la frase rivoltale il giorno dopo l’omicidio del padre "a me mi fa ancora male….e non ti credere che finisce qua.." – è tenuto ben fermo dai giudici di merito, nonostante le contrarie dichiarazioni di L.F.I., la persona legata da vincoli di amicizia all’imputato e che a questi, secondo le dichiarazioni di Pi.Co., si accompagnava nell’occasione della frase dianzi riportata. I giudici di merito non ritengono credibile L.F. anche per il contenuto di una conversazione intercettata in data 5.1.2003 tra il predetto e tale S., a cui il primo riferiva delle modalità dell’azione omicidiaria con indicazione di particolari tali da dover rappresentarsi il F. o quale testimone oculare del fatto o, comunque, aver ricevuto le informazioni da gli stessi esecutori materiali ovvero da persona, quale l’imputato, che ne fosse a sicura conoscenza.

-4- Cinque i motivi di ricorso, corredati da una corposa memoria datata 21.1.2011, proposti, tramite difensore, da P. G.:

a) Ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c, violazione dell’art. 521 c.p. per aver ritenuto il giudice di primo grado colpevole l’imputato per un fatto diverso da quello contestato in sede di richiesta di rinvio a giudizio. Secondo l’originaria imputazione, l’imputato era stato rinviato a giudizio per aver eseguito la deliberazione di tale L.F. (coimputato ed assolto in primo grado per non aver commesso il fatto), "contribuendo all’allestimento ed all’organizzazione dell’agguato ed agevolando l’omicidio del Pi….". giuste le dichiarazioni di Pi.Co. che aveva appreso dal fratello Pi. che l’imputato si trovava sul luogo del delitto ed aveva indicato, servendosi di un telefonino, agli sparatori la persona da colpire. Secondo la ricostruzione del giudice dibattimentale, invece, il ruolo dell’imputato era stato nella vicenda solo di concorrente morale, nel senso di mandante, dell’azione omicidiaria. Vi sarebbe stato una violazione di difesa ed un dirottamento, stante l’originaria imputazione, della strategia difensiva che avrebbe condizionato la richiesta, altrimenti di certo non avanzata, di giudizio abbreviato. b) Ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), omessa valutazione della prova decisiva rappresentata dalle informazioni rese il 9.11.2002 da Pi.Pi. e travisamento delle sue informazioni. I giudici di merito di secondo grado, una volta rilevata l’inaffidabilità delle dichiarazioni di Pi.

C. anche in seguito alla sentenza del tribunale di Foggia del 12.3.2010 che assolveva G.L., Pi.Sa. e Pi.Pi., i primi due indicati dalla suddetta Pi.Co., quali esecutori del tentato omicidio ai danni di P.G. ed in seguito alla acquisizione di verbali della deposizione della stessa nel procedimento, con le quali la stessa ritrattava le accuse formulate a carico dell’odierno imputato, hanno fatto perno per le proprie determinazioni sulle dichiarazioni rese il 5.5.2004 da Pi.Pi. a danno del proprio padre, del tutto trascurando, non menzionando cioè, le dichiarazioni dallo stesso rese il 9.11.2002 di diverso contenuto con le successive dichiarazioni. Dichiarazioni peraltro del tutto sovrapponibili alle quelle rese, e per nulla considerate, dal fratello Sa. il quale aveva riferito circostanze che escludevano radicalmente la partecipazione di Pi.Mi. al tentato omicidio ai danni dell’odierno imputato. c) Ancora ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), violazione dell’art. 142 c.p.p. che impone la sottoscrizione del verbale dell’ufficiale che lo ha redatto, con riferimento al verbale del 5.4.2004 relativo alle dichiarazioni di Pi.Co., registrate senza l’osservanza delle prescrizioni di cui all’art. 134 e seg. c.p.p..

La trascrizione delle dichiarazioni del 5.4.2004 non aveva osservato le prescrizioni di cui agli artt. 134 e seg. c.p.p.e seg. e comunque ove fosse considerato verbale, questo sarebbe nullo per la mancata sottoscrizione del p.u. che lo ha redatto.

Tanto meno le trascrizioni così operate potrebbero ritenersi prova documentale ai sensi dell’art. 234 c.p.p., caratterizzate dal rappresentare fatti ed accadimenti avvenuti fuori del processo, e non invece la riproduzione meccanica di atti processuali che devono assumere una unica forma: quella del verbale. d) Sempre ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), violazione dell’art. 192 c.p.p. per non averne seguito le indicazioni sui criteri di valutazione delle dichiarazioni rese da Pi.

C..

Da un lato la Pi. è stata ritenuta inaffidabile per la parte in cui ha indicato la sua fonte di conoscenza nel Pi.

P. che ha reso sui punti dichiarazioni difformi; ancora inaffidabile nella parte in cui ha indicato in determinate persone, poi assolte, gli autori materiali del tentativo di omicidio ai danni del P.; inaffidabile nella parte in cui ha riferito della presenza dell’imputato nel luogo e nel momento della azione omicidiaria ai danni di proprio padre; inaffidabile, infine, le sue dichiarazioni "…ai fini della ricerca e della dimostrazione del movente dell’omicidio qui giudicato". Dall’altro, senza fornire una qualsiasi ragione del diverso avviso, quelle dichiarazioni sono state ritenute affidabili nella parte relativa all’incontro con l’imputato ed alla frase da questi rivoltale in quel contesto.

Il riscontro offerto dai giudici è stato solo quello secondo cui il P. si accompagnava a L.F.I. dopo il tentato omicidio di P.G. in data 27.10.2002. Ma in proposito non si è rilevato che il L.F. utilizzava non una Lancia Tema, come riferisce la teste, ma una BMW. E non si è indicato il criterio di ragione, quale che sia, per privilegiare le dichiarazioni della Pi. rispetto a quelle divergenti del L.F.. In particolare dall’intercettazione del 5.1.2003 si evidenziava che il L.F. aveva appreso le circostanze dell’omicidio da altri che non fossero gli esecutori o il mandante. e) Infine sempre ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per aver ritenuto i giudici della corte di assise di appello di Bari, contraddittoriamente, gli stessi elementi nello stesso tempo incerti ed equivoci da un lato, certi e non equivoci dall’altro.

Con ordinanza del 23.3.2010 il giudice di appello aveva disposto l’acquisizione degli atti del processo contro gli imputati del tentato omicidio ai danni di P.G. conclusosi con la assoluzione dei predetti, e la convocazione in udienza di Pi.Co. e L.F.. Ebbene la Pi.

C., quale imputata di calunnia e di falsa testimonianza in un procedimento connesso, ha esercitato la facoltà di non rispondere in sede del dibattimento di appello, mentre il L.F. ha negato l’episodio, riferito dalla Pi., del 9.11.2002, il giorno successivo all’omicidio di Pi.Mi., di essere stata avvicinata dall’imputato che le avrebbe rivolto la frase "a me mi fa male ancora…". La Corte non avrebbe indicato i criteri di ragione che l’avrebbero indotta a disporre la rinnovazione del dibattimento per chiarire la circostanza predetta per poi, a fronte dell’esercizio della facoltà di non deporre della Pi. e delle contrarie dichiarazioni sul punto di L.F., non aveva ritenuto credibile quest’ultimo ed invece credibile l’imputata che si era rifiutata di essere interrogata.

-4- Con la memoria aggiunta il difensore dell’imputato, ha ritenuto di approfondire tre temi proposti con i motivi di ricorso.

Il primo: ha chiesto di rivisitare la giurisprudenza di questa Corte, richiamata dal giudice di appello, che non ravvisa la mancata correlazione tra l’accusa contestata e la sentenza, allorchè l’imputato, rinviato a giudizio per concorso materiale venga invece condannato per concorso morale. Ebbene tale affermazione, se valida in tesi nel contesto del giudizio ordinario, manifesterebbe elementi di criticità nel caso che si affermasse in sede di giudizio abbreviato, dove le minore garanzie offerte all’imputato renderebbero necessaria la immutabilità, la cristallizzazione della contestazione – "essere il P. presente sul luogo del delitto, e comunque la sua partecipazione alla fase esecutiva contribuendo all’allestimento ed alla organizzazione dell’agguato ed agevolando l’omicidio…." – come operata in sede di rinvio a giudizio e che ha condizionato le scelte del rito dell’imputato. La mancanza di un pieno contraddittorio nel giudizio abbreviato ha motivato la richiesta del rito, perciò stesso condizionata dalla contestazione cristallizzata nel capo di imputazione.

Il secondo: il travisamento della prova dovrebbe riscontrarsi per la parte relativa alla causale dell’omicidio. Le dichiarazioni rese dai due fratelli, Pi.Sa. e Pi.Pi., erano nel senso di essere contraddittorie, quelle del secondo, avendo in un primo momento – il 9.11.2002 – escluso, e successivamente – 5.5.2004 – incluso il coinvolgimento del padre Mi. nel tentato omicidio del P., quelle del secondo invece, coerenti e ferme nell’escluderlo quel coinvolgimento tanto da dire che il 27.10.2002, alle ore 19,15, l’ora del tentato omicidio, il padre era con lui presso il bar (OMISSIS). Questa seconda testimonianza non sarebbe stata considerata, non si sarebbe spiegato il criterio di ragione per non considerarla e ritenerla inattendibile, alla luce poi della sua certa conferma nell’ambito del procedimento celebrato a Foggia contro i presunti esecutori dell’omicidio de quo.

Il terzo: illogicità dei criteri di valutazione della prova tratta dalle dichiarazioni di Pi.Co.. La difesa enumera le varie deposizioni a cui la teste è stata chiamata nei due procedimenti, e sottolinea le contraddizioni e soprattutto il fatto che si è avvalsa della facoltà di non rispondere nel dibattimento.

Da un lato quindi incostanza, incoerenza, imprecisione delle dichiarazioni di Pi.Co., dall’altro rifiuto di rispondere in dibattimento e sottrarsi al contraddittorio.

-5- Il ricorso merita accoglimento sul punto relativo alla ritenuta affidabilità della dichiarazione di Pi.Co. in merito all’incontro, il giorno successivo all’omicidio del di lei padre, con l’imputato che le avrebbe rivolto la frase come sopra riportata: "a me mi fa male ancora… e non ti credere che finisce qui…".

Preliminarmente però devono ritenersi infondate le questioni di rito promosse dal ricorrente. Per giurisprudenza costante non ricorre un’ipotesi di mutamento della contestazione qualora l’imputato, cui sia stato contestato di essere l’autore materiale del reato, venga riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale in esso, tale modificazione non comportando una trasformazione essenziale del fatto addebitato, nè potendo provocare menomazione del diritto di difesa, poichè l’accusa di partecipazione materiale al reato necessariamente implica, a differenza di quanto avverrebbe nell’ipotesi inversa, la contestazione di un concorso morale nella commissione del reato (v. per tutte, Sez. 1^, 25.9/18.11.2008, Pipa, Rv 241825). Per la verità la difesa ritiene che un tale principio deve essere rivisitato nel caso in cui il problema si pone nella prospettiva di un giudizio abbreviato, caratterizzato da una limitazione del diritto di difesa rispetto al rito ordinario.

Il rilievo ad avviso del collegio non coglie nel segno per via che la contestazione non è influenzata certo dalle modalità di acquisizione e di assunzione degli elementi di prova. Vi è da precisare però che sempre, in ogni giudizio, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione.

E in proposito non può certo contestarsi che dalle carte processuali emergeva con chiarezza la possibilità di una causale che riguardava proprio i rapporti tra l’imputato e la persona offesa correlati al pregresso tentato omicidio del primo che avrebbe potuto attribuirsi, per i timori avanzati dallo stesso Pi., a quest’ultimo.

Nemmeno l’eccezione relativa all’acquisizione della trascrizione della registrazione del verbale del 5.4.2004 (in sentenza la data viene erroneamente indicata nel 1.4.2004) pare fondata e per un duplice ordine di motivi: da un lato, per il consenso prestato dall’imputato perchè la decisione avvenisse allo stato degli atti, in sede di giudizio abbreviato, senza alcuna eccezione, ed agli atti era stata acquisita la fonoregistrazione delle dichiarazioni rese da Pi.Co. al P.M.; dall’altro, per il fatto che la fonoregistrazione, e la relativa trascrizione, delle dichiarazioni rese al P.M., pur non costituendo prova "diretta" in quanto non è attività tipica di documentazione fornita di una propria autonomia conoscitiva, non rientra tra le prove illegittimamente acquisite di cui è vietata l’utilizzazione ( art. 191 cod. proc. pen.) ma tra quelle "atipiche" in quanto non disciplinate dalla legge ( art. 189 cod. proc. pen.), da considerarsi legittima perchè volta ad assicurare l’accertamento idoneo dei fatti, senza pregiudizio per la libertà morale dei dichiaranti (v. Sez. 3, 6.7/4.10.2007, Alberti, Rv 237564).

-6- I motivi di ricorso colgono invece nel segno sul punto relativo alla denunciata inattendibilità delle dichiarazioni rese da Pi.Co. in ordine a quella che i giudici di merito hanno definito una vera e propria confessione stragiudiziale dell’imputato resa alla predetta Pi.. La circostanza è stata valorizzata dal giudici di merito nella misura in cui hanno ritenuto di trarre da essa, insieme alla ritenuta causale, le basi fondanti del loro convincimento.

Senonchè la motivazione giudiziale, a fronte delle pur riconosciute contraddittorietà, se non conclamate falsità, che hanno contrassegnato nel corso del procedimento e del processo, e non solo di quello de quo, le deposizioni della teste, si palesa latitante sul terreno proprio dove radicare il giudizio di attendibilità della fonte probatoria: che è quello propria delle ragioni in forza della quali ritenere, in un contesto testimoniale complessivamente inaffidabile, affidabile invece il contenuto testimoniale su una circostanza di non poco momento.

Vale la pena di ripercorrere, ai fini della decisione, il percorso accidentato nel processo di Pi.Co.: a distanza di due anni dall’omicidio del padre, il 5.4., riferiva al P.M. di Bari, per averlo appreso dal fratello Pi., che la smentirà sul punto, che l’imputato era presente sulla scena del delitto ed anzi vi aveva materialmente partecipato segnalando agli esecutori dell’omicidio la presenza del padre sul posto dove fu poi colpito; riferiva ancora l’incontro, il giorno successivo con il P.G. che le avrebbe rivolto la frase auto – indiziante come sopra riferita. Il 4.5.2004 ribadiva, con ulteriori particolari la prima circostanza agli ufficiali di p.g., che la interrogavano su delega del P.M. di Bari, riportandosi, con la consueta dichiarazione preliminare introduttiva della deposizione, alle precedenti dichiarazioni rese davanti al p.m.. Il 30.10.2007, davanti alla corte di assise di Foggia, nel procedimento a carico di B.A. + 23 dichiarava che le dichiarazioni rese il 4.5. non erano veritiere perchè indotte dalle pressioni dei Carabinieri prima di essere interrogata dal p.m., infine il 16.2.2010, nel dibattimento davanti al tribunale di Foggia nel processo penale per il tentato omicidio di P.G., e, di seguito, il 30.3.2010 nel dibattimento davanti alla corte di assise di appello di Bari nel processo de quo, nel primo dichiarava di non ricordare nulla dei fatti, nel secondo si avvaleva della facoltà di non rispondere.

Ora a fronte di un comportamento processuale così contraddittorio ed altalenante, la sentenza ha preso atto, testualmente, che "riesce difficile condividere la scelta del primo giudice di puntare sulle dichiarazioni della Pi. ai fini della ricerca e della dimostrazione del movente dell’omicidio". Pur tuttavia ha ritenuto credibile le dichiarazioni della Pi. sull’episodio del giorno successivo all’omicidio del di lui padre – dell’essere stata avvicinata da P.G. che le avrebbe rivolto la frase più volte sopra riportata – anche a fronte delle contrarie dichiarazioni di L.F.. L’inattendibilità delle cui contrarie dichiarazioni – tratta dai giudici dalla intercettazione di una conversazione intervenuta il 5.1.2003 tra il precetto e tale S. nel corso della quale il primo avrebbe riferito al secondo particolari dell’uccisione del Pi. asseritamente inediti – viene formulata scartando la possibilità che quelle modalità il F. avrà potuto apprenderli dai due testi oculari quanto meno della parte più significativa dell’azione esecutiva, tali R. L. e D.G.M., come riportate in sentenza dai giudici di primo grado, ed anzi ipotizzando che quella conoscenza potesse ben essere derivata dagli stessi esecutori del delitto. Il che non si traduce certo, sul piano della consequenzialità logica, sulla sicura,certa inattendibilità del teste in merito ai suoi movimenti del giorno successivo all’omicidio. Il giudice del rinvio allora dovrà colmare, ove possibile, la lacuna del ragionamento giudiziale, rinvenendo il criterio di ragione in forza del quale le dichiarazioni della Pi. in merito alla ritenuta "confessione stragiudiziale" dell’imputato meriterebbero credito e meriterebbero invece discreto con riferimento ai contenuti delle pregresse dichiarazioni, ai silenzi di quelle successive, ed alla inattendibilità complessiva su circostanze diverse e pur funzionali a veicolare il procedimento verso una conclusione sfavorevole all’imputato.

L’infondatezza degli ulteriori motivi di ricorso non vale a far recuperare al discorso giudiziale un valore di resistenza ai fini della conferma della decisione impugnata. La causale è stata tratta dai giudici di merito con sicura congruenza e logicità attraverso la valorizzazione delle dichiarazioni di Pi.Pi., del tutto trascurate dalla analisi critica della difesa: invero il Pi.

P. riferisce della circostanza, confermata peraltro dalla ex coniuge dell’ucciso, D.I.A.M., della consegna, poco dopo il tentato omicidio di P.G., dei capi di vestiario da parte del padre, con la raccomandazione di farli sparire, e riferisce ancora di aver ricevuto dal padre, su sua domanda, la confidenza di aver commesso il tentato omicidio ai danni del P.G.. E non hanno mancato i giudici di sottolineare i timori manifestati dalla vittima di essere oggetto di attentati da parte dell’imputato che gli attribuiva la responsabilità per il suo tentato omicidio.

Ma è d’obbligo rilevare che la causale, conservando di per sè un margine di ambiguità, funge da elemento catalizzatore e rafforzativo della valenza probatoria degli elementi positivi di responsabilità, solo quando, nel quadro di una valutazione globale d’insieme, gli indizi si presentino chiari, precisi e convergenti pur la loro univoca significazione, anche in virtù della chiave di lettura di essi offerta dal medesimo movente. La ricerca di tali elementi integrativi dovrà costituire l’impegno dei giudici del rinvio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo ad altra sezione della corte di assise di appello di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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