Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-02-2011) 16-03-2011, n. 10811 Scarcerazione per decorrenza termini

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Genova ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice delle indagini preliminari in sede aveva respinto l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia, istanza basata sulla qualificazione dei fatti ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e sul relativo più breve termine ex art. 303 c.p.p.. Osserva il Tribunale che le modalità della condotta, la flessibilità con cui l’indagato assecondava le richieste dei consumatori, il numero degli acquirenti emergente dalla conversazioni intercettate sono elementi che depongono per la disponibilità di quantitativi non modesti di droga, per quanto poi di vola in vola modeste fossero le quantità cedute singolarmente.

Avverso tale decisione il ricorrente propone personalmente ricorso e lamenta l’esistenza di un vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della circostanza prevista dal quinto comma del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

L’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari e quella del Tribunale appaiono, secondo il ricorrente, manifestamente contraddittorie allorchè ritengono di escludere la predetta attenuante a causa della possibilità del ricorrente di accedere stabilmente a fonti di approvvigionamento; tale affermazione non è supportata da alcun elemento di fatto (si vedano gli esiti negativi della perquisizione domiciliare e del controllo effettuato sulla persona di P.V.) e risulta smentita dalle modeste quantità di sostanza ceduta, come lo stesso Giudice delle indagini preliminari espressamente riconosce. Gli stessi acquirenti ascoltati in sede di indagine hanno riferito di acquisti saltuari e di quantità modestissime, mentre le intercettazioni telefoniche non evidenziano un circuito di "spaccio" rilevante al punto di escludere la circostanza attenuante invocata.
Motivi della decisione

Ritiene preliminarmente la Corte che debbano trovare qui applicazione i principi interpretativi in tema di limiti del giudizio di legittimità e di definizione dei concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione che sono contenuti nelle sentenze delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale prospettiva di ordine generale va, dunque, seguita la costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

Tali considerazioni hanno valenza anche nel giudizio relativo al procedimento incidentale di controllo sulla libertà personale, con la conseguenza che non è consentito alla Corte sostituire la propria valutazione in tema di quadro indiziario e qualificazione dei fatti a quella operata dai giudici di merito, con la sola eccezione dei casi in cui la motivazione presenti aspetti di macroscopica incoerenza o manifesta illogicità che imporrebbero l’annullamento del provvedimento impugnato.

Sulla base delle considerazioni che precedono la Corte ritiene che il ricorso non possa essere accolto, proprio perchè prospetta come manifesto vizio motivazione quello che in realtà costituirebbe niente di più che una non condivisa valutazione delle risultanze d’indagine. La motivazione dell’ordinanza impugnata non può, infatti, considerarsi manifestamente illogica nel momento in cui ritiene che la costante attività di cessione, che segnala un’adeguata disponibilità di sostanza, riscontrata dai verbalizzanti e il numero elevato di acquirenti emergenti dai contatti telefonici concorrano a rappresentare – nell’ambito della gravità indiziaria richiesta dall’art. 273 c.p.p., e ss., una realtà in cui la condotta del ricorrente si connota in termini non modesti e non riconducibili, allo stato, alla fattispecie prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso dev’essere respinto, con conseguente condanna ex art. 616 c.p.p. del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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