Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-05-2011, n. 11455 Detrazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di verifica fiscale eseguita nei confronti del fallimento della Driussi & Ghisellini s.n.c. veniva notificato un avviso di rettifica dell’imposta IVA dovuta per l’anno 1995, sulla base di numerosi rilievi, tra i quali anche quello relativo al punto 4/a, avente ad oggetto "l’indebita detrazione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19….. dell’imposta in relazione all’associazione temporanea di imprese" costituita con la società T.K.I. per l’esecuzione di un fabbricato commissionato dalla ditta Edilgamma.

La società impugnava l’avviso di rettifica e la C.T.P. di Padova accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo infondati molti dei rilievi contestati, ma non anche quello innanzi specificato.

La sentenza veniva appellata in via principale dall’Ufficio, e in via incidentale dalla contribuente che insisteva tra l’altro per l’annullamento anche del rilievo sub 4/a, e la C.T.R. del Veneto, pronunciandosi al riguardo con sentenza n. 52/31/02, depositata il 19.7.2002, accoglieva l’appello incidentale nella parte relativa al rilievo in questione, mentre lo rigettava nel resto unitamente all’appello principale.

Per la cassazione della citata sentenza proponevano ricorso l’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, articolando un unico complesso motivo, al cui accoglimento si opponeva la società con controricorso ritualmente e tempestivamente notificato, e sostenuto successivamente anche con il deposito di due memorie aggiunte.
Motivi della decisione

Con il motivo articolato denunciano i ricorrenti i vizi di violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 584 del 1977, art. 22 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Più in particolare le censure in tal modo svolte dai ricorrenti sembrano far riferimento al fatto che la Driussi e Ghisellini avrebbe erroneamente portato in detrazione l’imposta corrispondente all’intero importo dei lavori eseguiti in esecuzione dell’appalto in questione, laddove trattandosi di appalto stipulato in con altra società, ciascuna impresa associata avrebbe dovuto fatturare direttamente alla società appaltante i corrispettivi dell’appalto nei limiti della propria quota della commessa globale, e che la detrazione comunque non sarebbe proprio spettata D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19 in assenza di adeguata documentazione.

Il ricorso così come formulato risulta infondato, anche perchè privo di autosufficienza in relazione a profili della vicenda assolutamente rilevanti.

Ed invero, la doglianza relativa alla totale insussistenza del diritto alla detrazione, così come prevista e disciplinata dal cit. art. 19, che avrebbe avuto rilievo assorbente nella definizione della controversia, e che figura invece esposta in maniera estremamente sintetica e superficiale nelle ultime cinque righe del ricorso, risulta addirittura inammissibile avendo ad oggetto una questione da ritenersi posta per la prima volta in questa sede, non essendovene traccia con riferimento alle precedenti fasi del giudizio.

Per quanto relativo invece all’ammontare della detrazione spettante alla Driussi e Ghisellini, il ricorso risulta privo di autosufficienza. Per un verso, infatti, in nessun modo chiarisce perchè si invochi a sostegno della legittimità dell’atto impositivo la disciplina prevista dalla L. n. 584 del 1977, art. 22 pur riguardando quest’ultima i soli appalti di lavori pubblici, laddove nel caso di specie risulta dalla sentenza trattarsi di appalto per la realizzazione di un fabbricato residenziale, intervenuto tra soggetti privati.

Per altro verso, poi, la peculiarità della vicenda sottostante, costituita dall’esecuzione dei lavori della cui fatturazione si discute, da parte di una società (quella verificata) costituita in A.T.D. impone una preliminare riflessione.

L’Associazione Temporanea di Imprese, invero, figura contrattuale non specificamente disciplinata dal legislatore, nella pratica applicativa nel mentre può dar luogo alla creazione di un nuovo, autonomo soggetto di diritto nei rapporti con i terzi, non necessariamente comporta, quale conseguenza del mandato conferito alla impresa investita della rappresentanza, la perdita dell’autonomia negoziale e fiscale delle singole imprese associate, relativamente ai rapporti connessi all’esecuzione dei lavori per i quali l’associazione viene costituita. Tanto premesso è evidente che solo una compiuta esposizione dei contenuti degli atti negoziali intervenuti nella fattispecie concreta (atto di costituzione dell’A.T.D. e contratto di appalto) e una più completa ricostruzione della procedura seguita dalla società per la fatturazione dei lavori, avrebbero potuto consentire di comprendere quanto verificatosi nel caso di specie, e quindi la ragione del rilievo al riguardo effettuato dall’Ufficio competente. Al contrario, il ricorso contiene una esposizione dei fatti assolutamente generica, senza nessun riferimento concreto ai contratti di cui innanzi, ed anzi così sommaria da rendere addirittura non pienamente comprensibile cosa sia effettivamente accaduto nei rapporti tra le imprese associate e la committente Edilgamma, e quale sia l’esatto contenuto del rilievo dell’Ufficio. Particolarmente emblematico al riguardo è il reiterato richiamo alla "disciplina negoziale intervenuta tra la controparte e la T.K.I.", della quale però non risultano specificamente indicati neanche gli aspetti più rilevanti e significativi ai fini della decisione.

In proposito ampiamente consolidata è la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla necessità che il ricorso per cassazione, nel rispetto dei contenuti fissati dall’art. 366 c.p.c. risulti chiaro sia nell’esposizione che nella ricostruzione dei fatti, e preciso nell’indicare le ragioni dei vizi dedotti, così da consentire alla Corte di ricavare dalla sola lettura del ricorso la violazione o la falsa applicazione della norma di diritto, o la nullità della sentenza, o il vizio motivazionale della stessa (per tutte v. Cass. Sentenza n. 12984 del 31/05/2006).

Da qui la conclusione già innanzi anticipata, e, con il rigetto del ricorso, per il principio della soccombenza la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per spese vive, e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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