T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 14-03-2011, n. 2238 Sanità e igiene

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 14 giugno 2010 e depositato il successivo 15 luglio 2010 la L.G. s.p.a. e la M.I.F. s.p.a. hanno impugnato il decreto del commissario ad acta 19 marzo 2010 n. 24, recante "Promozione dell’appropriatezza e razionalizzazione d’uso dei farmaci che agiscono sul sistema reninaangiotensina".

Parte ricorrente espone, in fatto, di far parte del G.M. e di operare nel campo della ricerca, produzione e commercializzazione di sostanze medicinali. Producono e commercializzano, per quanto di interesse nel presente gravame, medicinali, tutti brevettati, appartenenti alla Fascia A, che ricomprende "medicinali impiegati per patologie gravi, croniche e acute". Ai sensi della delibera CIPE 1 febbraio 2001 n. 3 il prezzo dei farmaci della fascia A non è determinato sulla base di semplici dinamiche del mercato e attraverso una negoziazione con le imprese farmaceutiche, che si fonda su parametri predeterminati. Si tiene conto dell’efficacia terapeutica del medicinale, della presenza sul mercato di prodotti con le stesse indicazioni terapeutiche, degli investimenti che sono stati necessari per sviluppare il medicinale, del probabile bacino d’utenza a livello nazionale, che determinerà il quantitativo stimabile di prodotto che sarà acquistato a carico del Servizio sanitario nazionale. La contrattazione è svolta dall’AIFA (e, prima di questa, dal CUF).

Con l’impugnato decreto del Commissario ad acta del 19 marzo 2010 n. 24 sono state introdotte limitazioni alla prescrivibilità di alcune categorie di farmaci presenti in fascia A, quali i sartani, penalizzando le specialità prodotte dalle ricorrenti. E’ stato stabilito che la percentuale massima di prescrizioni attinenti una classe di farmaci sul totale delle confezioni di medicinali che agiscono sul sistema reninaangiotensina non deve superare il 30% per l’anno 2010. Si è aggiunto che, all’interno di tale categoria, l’incidenza minima delle confezioni del principio attivo losartan deve essere pari al 40% del totale delle confezioni dei sartani non associati e l’incidenza minima delle confezioni del principio attivo losartan in associazione deve essere pari al 40% del totale delle confezioni di sartani associati. Infine, sono fissate le modalità di cura dei pazienti ipertesi: nel paziente naive (cioè non trattato in precedenza) il trattamento, relativamente alle indicazioni autorizzate, deve essere iniziato con l’aceinibitore, prediligendo le molecole a brevetto scaduto e, laddove ci siano controindicazioni dovute a intolleranza, con il losartan fino alla dose piena di 100 mg.. L’eventuale cambio di terapia (intendendosi per tale la sostituzione della molecola con un’altra nell’ambito della stessa classe farmacologica) può avvenire solo per casi documentati che non rispondono dopo un periodo congruo di 8 settimane di trattamento continuativo con il predetto principio. Tali indicazioni devono essere rispettate sia nel caso del principio attivo non associato che in associazione.

Con tali prescrizioni si introducono, dunque, limitazioni alla generale prescrivibilità di alcuni tipi di farmaci.

2. Avverso i predetti provvedimenti la ricorrente è insorta deducendo:

a) Violazione art. 117 Cost. – Violazione art. 3 Cost. – Violazione artt. 32 e 117 Cost. – Violazione e/o falsa applicazione direttiva 01/83/CE "codice comunitario sui medicinali".

Con l’adozione dell’impugnato decreto il commissario ad acta finisce per costringere i medici a somministrare i farmaci di costo inferiore, in luogo di quelli ritenuti più adeguati. E ciò nonostante entrambi facciano parte della classe A del prontuario farmaceutico.

b) Violazione artt. 6 e 7 direttiva 89/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988 – Violazione art. 3 L. n. 241 del 1990.

Il decreto commissariale si pone in aperto contrasto con la direttiva europea 89/105/CE del 21 dicembre 1988, perché limita la prescrizione di farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale.

c) Violazione del regolamento comunitario n. 1768/1992 – Violazione della direttiva 89/1905/CEE sotto ulteriore profilo.

Il decreto commissariale impugnato viola la disciplina comunitaria anche perché sacrifica la proprietà intellettuale sottesa ai brevetti che tutelano le specialità medicinali prodotte dalle ricorrenti, obbligando i medici a prescrivere prodotti non più tutelati da privativa industriale.

d) Violazione e/o falsa applicazione artt. 5 e 6 D.L. n. 347 del 2001 – Eccesso di potere per illogicità manifesta, contraddittorietà e disparità di trattamento.

L’impugnato decreto è stato adottato senza la previa consultazione delle associazioni di categoria interessate ed ha arbitrariamente determinato un decadimento dei livelli essenziali di assistenza.

3. La ricorrente chiede altresì la condanna al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’azione dell’illegittimo decreto commissariale.

4. Si è costituita in giudizio la Regione Lazio, che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

5. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non si è costituita in giudizio.

6. La D.G. s.r.l. non si è costituita in giudizio.

7. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive.

8. Alla Camera di consiglio del 10 settembre 2010, sull’accordo delle parti, l’esame dell’istanza di sospensione cautelare è stato abbinato al merito.

9. All’udienza del 9 marzo 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. In via preliminare alcune considerazioni appaiono necessarie al fine di ricondurre la materia del contendere nei confini entro i quali è esperibile il sindacato del giudice amministrativo.

Il Collegio richiama i principi enunciati nella recente sentenza n. 1239 dell’8 febbraio 2011 secondo cui il settore sanitario è uno dei tanti settori di spiccato rilievo sociale nei quali lo Stato è costituzionalmente obbligato ad intervenire anche con misure di sostegno finanziario che pesano sul suo bilancio, equamente distribuendole fra gli stessi sulla base di una comparazione dei relativi bisogni riservata all’esclusiva e responsabile valutazione del legislatore e della competente Amministrazione, ma con il limite costituito dalle risorse finanziarie in atto disponibili per la copertura della relativa spesa.

La sede in cui queste vengono accertate, quantificate e distribuite fra i settori interessati è il bilancio di previsione dello Stato, le cui prescrizioni costituiscono un limite invalicabile e il cui superamento, qualunque siano le cause che lo hanno determinato (aumento della richiesta da parte dell’utenza, lievitazione dei costi afferenti le prestazioni dovute, abusi, ecc.), rende doverosi gli interventi correttivi immediati, che s’impongono a tutti coloro che, a diverso titolo, sono presenti nello specifico settore (utenti, strutture operative, fornitori di prestazioni).

La necessità di assicurare compatibilità ed equilibrio fra spesa sostenibile e qualità e quantità del servizio da erogare alla collettività costituisce infatti regola indefettibile, in quanto dettata a tutela dell’interesse generale, a fronte del quale l’interesse del privato (sia esso utente o fornitore del servizio) deve ritenersi, nei limiti della ragionevolezza, recessivo.

Questa regola s’impone anche per il settore sanitario, in esso ricomprendendo naturalmente anche il servizio farmaceutico, che è fra quelli che più pesano sul bilancio dello Stato, con continui aumenti della spesa conseguenti, in non trascurabile parte, a carenze nella gestione del servizio pubblico, specie nella parte affidata alla mano privata, e alla mancanza di adeguati controlli sull’attività speculativa dei produttori di farmaci, sulla pubblicità martellante di prodotti aventi la medesima efficacia terapeutica ed aventi il solo scopo di acquisire, con un costo che si riflette immediatamente su quello finale dei singoli prodotti, un uso anomalo di questi ultimi.

Di qui la necessità di intervenire con determinazioni di carattere autoritativo e vincolante, e non concordata e convenzionale, per la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché per la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni. (Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008 n. 1; id., sez. V, 19 novembre 2009 n. 7236; id. 25 gennaio 2002 n. 418). Il carattere autoritativo e vincolante delle determinazioni in tema di limiti delle spese sanitarie esprime infatti la necessità che l’attività dei vari soggetti operanti nel relativo sistema si svolga nell’ambito di una pianificazione finanziaria, tendente a garantire la corretta gestione delle limitate risorse disponibili (Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2002 n. 418).

Segue da ciò che dette determinazioni sono espressione di un potere discrezionale che, per la sua necessaria ampiezza, concede solo spazi limitatissimi per gli interventi annullatori e/o correttivi del giudice della legittimità, dovendo esso bilanciare interessi diversi e confliggenti, quali quelli al contenimento della spesa, quelli relativi alla pretesa degli assistiti a prestazioni sanitarie e farmaceutiche adeguate, quelli degli operatori privati, che ancora ritengono di potersi muovere anche nel sistema sanitario pubblico con la logica imprenditoriale usuale nel libero mercato, quelli dell’efficienza delle strutture pubbliche che costituiscono un pilastro del sistema sanitario nazionale, con conseguente necessità per i pubblici poteri di accentuare in una determinata fase storica l’esigenza di contenimento della spesa ed in un’altra l’esigenza di rafforzamento della tutela sanitaria, essendo l’atto in esame quello che condiziona l’esercizio del diritto sociale alla salute, compatibilizzandolo con il suo costo parimenti sociale.

2. Nel caso in esame, come si è detto in narrativa, è contestata dalle ricorrenti la legittimità del provvedimento commissariale che – in presenza di un nuovo prodotto farmaceutico che, pur avendo un’efficacia terapeutica "non inferiore" a quella di altri finalizzati alla cura delle medesime patologie (l’ipertensione nelle sue diverse manifestazioni), ha un prezzo di vendita di gran lunga superiore – ha fissato un limite massimo di prescrivilibità e, quindi, di rimborsabilità dello stesso, ma facendo salvi i casi nei quali, dopo un periodo congruo di trattamento continuativo, i prodotti di minor prezzo risultino, a giudizio e sotto la responsabilità personale del medico curante, non prescrivibili per intolleranza, allergia, inefficacia, particolari esigenze terapeutiche per pazienti a rischio e prosecuzione di terapia.

Al di fuori di questi casi l’impugnato provvedimento impone ai medici prescrittori di far ricorso a medicinali aventi la medesima o superiore efficacia terapeutica, ma che hanno un prezzo di vendita inferiore per scadenza o prossima scadenza del brevetto, in quanto soluzione idonea a soddisfare il rapporto costoefficacia.

Tale essendo la motivazione a supporto dell’impugnato provvedimento il ricorso deve essere respinto essendo non pertinenti o palesemente infondate le censure dedotte contro di esso.

3. Prive di pregio sono le censure dedotte con il primo e il secondo motivo di ricorso e volte a contestare, con richiamo alla normativa nazionale e comunitaria, la competenza della Regione (e quindi del commissario ad acta regionale) ad adottare provvedimenti intesi ad "impedire la prescrizione e il rimborso a carico del S.S.N. di farmaci inseriti in classe A".

Premesso in punto di fatto che il deliberato del commissario non impedisce, ma limita la prescrizione del farmaco prodotto dalle ricorrenti per le ragioni innanzi esposte – e che non sussiste alcuna violazione del diritto fondamentale alla salute ( art. 32 Cost.), atteso che esso è adeguatamente tutelato dalla prescrivibilità di farmaci di eguale se non superiore e collaudata efficacia terapeutica, ma di minor costo per la collettività, sulla quale ricade la relativa spesa – la competenza della Regione non può essere messa in discussione, atteso che essa è il soggetto "pagatore", obbligato a contenere i costi dell’assistenza farmaceutica entro il limite massimo fissato dal bilancio di previsione dello Stato e per legge tenuto a rendere compatibile la spesa sostenibile con le risorse finanziarie disponibili, evitando costi ingiustificati e adottando misure idonee a scongiurare gli sprechi che, soprattutto nel settore farmaceutico, costituiscono un fenomeno noto e in larga misura responsabile del dissesto finanziario della sanità pubblica.

Non pertinente al fine del decidere sulla competenza del commissario ad acta regionale è il richiamo delle ricorrenti alla direttiva comunitaria 89/105/CEE del Consiglio 21 dicembre 1988, atteso che il suo riferimento allo Stato membro non è finalizzato a individuare in esso il soggetto competente a intervenire nel settore farmaceutico, ma solo a lasciare ad ogni Stato membro il compito di "definire i prezzi" delle singole specialità medicinali e la loro "inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia" (che è questione del tutto estranea alla materia del contendere), nel rispetto dei principi generali da essa dettati, ma lasciando alle "autorità competenti di ciascuno Stato membro" il compito di "decidere l’esclusione di singole specialità medicinali o categorie di specialità medicinali dalla copertura del proprio regime nazionale di assicurazione malattia".

Con riferimento a dette ipotesi (estranee alla materia del contendere) la direttiva impone ai singoli Stati membri e, per essi, alle "singole autorità competenti" l’esposizione dei motivi "basati su criteri obiettivi e verificabili" che hanno determinato l’inclusione di determinati farmaci nei c.d. "elenchi negativi".

Nel caso in esame, quand’anche si potesse ritenere che si tratta di regole applicabili per analogia anche ai provvedimenti che fissano la quantità dei prodotti farmaceutici rimborsabili (tesi peraltro nient’affatto condivisibile, attesa la specialità della prescrizione comunitaria), le stesse sono state comunque ampiamente rispettate dal commissario ad acta regionale, il quale nel suo provvedimento ha chiarito le ragioni che l’hanno indotto ad intervenire e che non sono solo ragionevoli, ma anche obbligatorie nel quadro di un doveroso rispetto della spesa sostenibile e della tutela comunque da assicurare agli utenti del Sevizio sanitario regionale.

Segue da ciò che l’affermazione delle ricorrenti, secondo cui (pag. 23 dell’atto introduttivo del giudizio) il provvedimento commissariale sarebbe "atto non solo privo di qualsiasi indicazione di criterio obiettivo atto giustificare la scelta, ma addirittura privo di una reale motivazione", non è condivisibile in presenza di un testo letterale dal contenuto inequivocabile.

Lo stesso dicasi per il richiamo a principi enunciati dal giudice delle leggi e dal giudice della legittimità in ordine ai rapporti fra disciplina comunitaria e disciplina nazionale, che non sono pertinenti al caso in esame atteso che, come si è dimostrato, non esiste alcuna violazione della prima ad opera della seconda.

4. Privo di pregio è anche il terzo motivo di doglianza, con il quale si sostiene che l’impugnato provvedimento si porrebbe in contrasto con la normativa comunitaria e internazionale a tutela del diritto al normale sfruttamento del brevetto da parte del suo titolare, nel caso in esame pregiudicato dal limite quantitativo posto alla rimborsabilità del prodotto farmaceutico sul quale detto brevetto è apposto e dalla dichiarata preferenza per farmaci di eguale efficacia terapeutica per i quali il relativo brevetto è scaduto.

Ciò che colpisce nell’impostazione generale data dalle ricorrenti alla difesa delle proprie ragioni è l’implicito rifiuto a prendere consapevolezza che l’operatore economico, che ha chiesto ed ottenuto di poter operare nel settore sanitario pubblico per ricavare un guadagno dalla vendita in esso dei suoi prodotti, non è libero di agire secondo le regole proprie di un libero mercato, ma soggiace a quelle fissate dall’Autorità alla quale è affidato il governo di detto settore e che deve conciliare il bisogno di assistenza sanitaria da garantire alla collettività con le sempre più ridotte risorse finanziarie di cui dispone.

In sostanza quello sanitario pubblico non è un mercato nel quale l’operatore economico è libero di agire secondo le proprie regole, fissando la quantità e il prezzo delle sue prestazioni, ma soggiace a quelle che fissa il gestore dello stesso, che può contestare solo sotto il profilo della contrarietà a principi di diritto, della irragionevolezza e della ingiustificata disparità di trattamento.

Nel caso di specie il Commissario ad acta regionale ha messo a raffronto prodotti farmaceutici di eguale efficacia terapeutica e, preso atto della notevole differenza di prezzo di acquisto fra gli stessi, ha dato istruzione ai medici di ridurre entro limiti prestabiliti la prescrizione di quello che ha un costo per la Regione (e, quindi, per collettività) superiore agli altri e che trova giustificazione solo nell’interesse del produttore a sfruttare il relativo brevetto.

Si tratta di scelta assolutamente legittima, che deve ragionevolmente ritenersi corrispondente a quella che la ricorrente compie quando acquista sul mercato la materia prima necessaria per la produzione del farmaco, cioè la migliore qualità al minor prezzo.

Né è pertinente il richiamo del legislatore comunitario alla necessità per gli Stati membri di incoraggiare, in sede di determinazione dei prezzi dei farmaci, la ricerca scientifica atteso che questa va tutelata quando il prodotto farmaceutico è veramente innovativo perché fronteggia una patologia rispetto alla quale i prodotti esistenti sono inefficaci o non sufficientemente efficaci, e non quando è finalizzata solo all’individuazione di un principio attivo capace di diversificare il nuovo prodotto soltanto sotto il profilo dei suoi componenti e di assicurare al produttore la possibilità di competere con i produttori di altri farmaci di eguale o superiore efficacia, da tempo presenti sul mercato e già collaudati sotto il profilo della piena efficacia terapeutica.

L’interesse perseguito dalla ricorrente è in effetti solo speculativo, e quindi non assecondabile in un settore, quale quello sanitario pubblico, nel quale ben altri sono gli interessi che la Regione è obbligata a tutelare, cioè la salute dei cittadini, rispetto alla quale l’intento della ricorrente di uscire vittoriosa dalla competizione con altri produttori di farmaci aventi le medesime proprietà terapeutiche è del tutto recessivo.

Non è neppure pertinente il richiamo alla sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato 15 giugno 2004 n. 4004 (pag. 31 dell’atto introduttivo del giudizio), atteso che l’esigenza da essa rappresentata, cioè di tener conto in sede di determinazione del prezzo di un farmaco con brevetto scaduto delle sue "peculiarità", è questione che potrebbe essere sollevata dai produttori di farmaci con prezzo ridotto per la sopravvenuta indisponibilità del brevetto, e quindi non solo non è pertinente rispetto alla tesi della ricorrente, ma introduce un ulteriore elemento di non condivisibilità nella parte in cui rivendica un trattamento potiore perché titolare di un brevetto ancora operativo.

Nel deliberato del commissario ad acta non è quindi ravvisabile una ingiustificata disparità di trattamento, in ragione delle diverse posizioni dei produttori di farmaci messi a raffronto. D’altro canto la legittima diversità di trattamento potrebbe essere neutralizzata dalla ricorrente rinunciando allo sfruttamento economico del brevetto, atteso che da questo non deriva – come attestato dalla scienza medica – un riconosciuto apprezzabile vantaggio terapeutico per i soggetti affetti da ipertensione.

5. Manifestamente infondato è l’ultimo motivo di ricorso, in tutte le censure con esso dedotte.

In punto di fatto non esiste alcuna indebita invasione da parte del commissario regionale ad acta nell’ambito delle competenze assegnate all’AIFA, atteso che quest’ultima ha formalmente riconosciuto la legittimità dell’impiego di farmaci non coperti più da brevetto, essendo gli stessi in grado coniugare la piena e collaudata efficacia terapeutica con un doveroso risparmio di spese.

L’impugnato provvedimento non comporta affatto l’esclusione dalla classe A del farmaco prodotto dalle ricorrenti, ma ne limita la prescrivibilità – oltre il limite quantitativo prefissato – ai casi nei quali gli altri prodotti non risultino efficaci, il che è del tutto ragionevole e, quindi, legittimo per le ragioni innanzi esposte.

Non è condivisibile la tesi delle ricorrenti secondo cui il suddetto provvedimento avrebbe leso la libera scelta degli utenti sul farmaco da utilizzare, atteso che l’individuazione della terapia da adottare è rimessa al medico curante, e non al malato il quale è libero, ove non condivida la scelta del sanitario che lo ha preso in cura, di rivolgersi ad altro medico.

Da ultimo è decisamente da disattendere l’affermazione secondo la quale l’impugnato provvedimento, imponendo ai medici prescrittori determinate regole e sanzionandoli in caso di inosservanza delle stesse, limiterebbe la loro libertà di scelta della terapia da prescrivere al malato. E’ agevole infatti opporre che l’obbligo che si impone al medico, nel caso in cui ritenga essenziale nel singolo caso di specie di utilizzare il farmaco delle ricorrenti, è solo di motivare adeguatamente la scelta effettuata.

In secondo luogo il medico, che ha chiesto ed ottenuto di operare a diverso titolo nel sistema sanitario regionale (dipendente, convenzionato, ecc.), è tenuto a rispettare le regole per esso prefissate, potendo da esse discostarsi, per quanto attiene ai farmaci da prescrivere, solo se in scienza e coscienza è convinto che il farmaco più costoso è il solo capace di fronteggiare la patologia al suo esame, e ne dà adeguata dimostrazione.

La violazione del codice deontologico del medico sussiste invece nel caso in cui, per altre ragioni che in questa sede non è necessario richiamare e specificare, prescrive il farmaco più costoso pur essendo adeguati agli effetti terapeutici quelli di minor costo per la collettività, che alla fine è chiamata a sostenere la spesa farmaceutica senza un apprezzabile vantaggio sul piano terapeutico, come dimostrato dalle dichiarazioni rese da qualificati esponenti della scienza medica.

6. La riconosciuta legittimità dell’impugnato provvedimento conduce al rigetto dell’istanza di risarcimento dei danni asseritamene subiti dalle ricorrenti, fra l’altro dalle stesse neppure specificati, comprovati e quantificati.

7. Il ricorso deve pertanto essere respinto.

Ai sensi dell’art. 16, comma 1, c.p.a. le spese e gli onorari del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidati in dispositivo in favore della sola Regione Lazio, resistente e costituita.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna, ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a., parte ricorrente al pagamento in favore della resistente e costituita Regione Lazio delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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