Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-02-2011) 16-03-2011, n. 11017

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 9 agosto 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, confermava quella resa dal G.I.P. dello stesso Tribunale che in danno di R.C. aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere, giacchè gravamente indiziato del reato di cui all’art. 416-bis c.p. ed in particolare di essere partecipe dell’associazione mafiosa denominata "cosca Cordì" operante nell’area della locride, nel cui ambito l’indagato, con il grado di sbarrista, avrebbe avuto il compito di garantire la latitanza di C.P., killer del sodalizio mafioso.

Alla sostegno della decisione il Tribunale, richiamando l’ordinanza di custodia cautelare impugnata, premetteva un’ampia ed argomentata ricostruzione delle vicende malavitose della c.d. cosca Cordì, al fine di dimostrarne – attraverso il riferimento a ripetuti atti giudiziari, a vicende malavitose particolarmente significative (gli omicidi di P.C. e Co.Sa.) a collaborazioni assunte come di notevole rilevanza investigativa (quelle dei pentiti N. e P.) ad intercettazioni telefoniche ed ambientali – l’attuale operatività, attraverso una struttura di comando al cui vertice si porrebbero Co.Co., Co.An. e Co.

V.. A carico di R.C. il tribunale tratteggiava il quadro indiziario a sostegno delle accuse in premessa sintetizzate, osservando che:

– il R. risulta indagato per il reato di cui all’art. 390 c.p. (procurata inosservanza di pena) originariamente aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, reato in relazione al quale questa Corte di legittimità, in data 30.6.2010, ha annullato con rinvio l’ordinanza cautelare, ritenendo irritualmente mantenuta, da parte del Tribunale del riesame, l’aggravante di cui al citato art. 7 e non raggiunta la soglia di gravità indiziaria in relazione al reato di cui all’art. 390 c.p.;

– gli indizi posti a base dell’originaria richiesta cautelare erano costituiti dalle intercettazioni ambientali effettuate a bordo dell’autovettura di Co.Do.;

– durante il periodo di detenzione patito dal R. presso il carcere di Palmi, l’indagato ha avuto rapporti con M.V., detenuto nello stesso luogo insieme ad altri esponenti del clan Cordì;

– in questo periodo il R., insieme ai fratelli Co.Ce. ed At., sarebbe stato "battezzato" con il grado malavitoso di "sgarro di seta";

– il collaboratore M., con dovizia di particolari, in modo diffuso e con racconto coerente, privo di contraddizioni, ha riferito agli inquirenti modi, tempi e dati del rito mafioso;

– al riguardo la credibilità soggettiva del dichiarante va riconosciuta in considerazione della sua sottoposizione a programma di protezione, della spontaneità, autonomia e precisione del racconto;

– l’attendibilità intrinseca del propalante è dimostrata da particolari inediti dallo stesso riferiti quanto alla posizione del R., ai suoi rapporti col latitante C., familiarmente nominato, dai riscontri rinvenienti dalle conversazioni intercettate sull’autovettura di Co.Do.;

– quanto ai riscontri esterni essi vanno individuati nelle dichiarazioni testimoniali del capo della polizia penitenziaria S., il quale ha descritto il luogo ove avvenne il rituale mafioso di promozione gerarchica ed in particolare la circostanza che detto luogo dell’area di passeggio non era visibile dalla postazione di controllo della polizia penitenziaria, cosi come riferito dal M. agli inquirenti;

– le dichiarazioni del M. consentono, in definitiva, di ritenere provata la partecipazione mafiosa del R. alla cosca Cordì e pertanto, acquisita, per quanto di interesse nella presente fase, la necessaria gravità indiziaria per sostenere l’accusa a mente dell’art. 416-bis e la misura cautelare per questo richiesta ed emessa;

– quanto alle esigenze cautelari ricorrono tutte le condizioni ed i requisiti di legge per l’applicazione della disciplina di rigore di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. 2. Ricorre al giudice di legittimità per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il R., assistito dal suo difensore di fiducia, illustrando due motivi di impugnazione.

2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), del giudicato penale e della legge processuale, nonchè difetto di motivazione, in particolare deducendo che:

– il 30 giugno 2010, questa prima sezione della Corte di Cassazione aveva discusso il ricorso avanzato dal R. avverso l’originaria misura cautelare detentiva, in suo danno disposta dal GIP, accogliendolo in parte e cioè negando la sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 contestata in relazione al reato di cui all’art. 390 c.p.;

– analogo annullamento con rinvio aveva deliberato la Corte in relazione al similare ricorso proposto in precedenza da Co.

D.;

– nella notte tra il 30 giugno 2010, epoca della decisione innanzi citata ed il primo luglio il R. veniva raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare, emessa nell’ambito dello stesso procedimento, con contestazione del reato di cui all’art. 416-bis c.p.;

– a sostegno dell’ordinanza il gip richiamava il sopraggiungere di nuovi elementi indiziari, costituiti dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia M.V.;

– in sede di impugnazione di tale nuova misura cautelare la difesa dell’indagato aveva cura di depositare la motivazione del provvedimento del giudice di legittimità, appena evocato, al fine di dimostrare che in quella sede la Corte aveva altresì valutato le dichiarazioni del pentito M., ritenendole irrilevanti ai fini dell’annullamento poi disposto;

– nonostante tale rilevante esibizione processuale il Tribunale ha rigettato l’impugnazione senza tenere conto del pronunciato detto, con ciò incorrendo in palese vizio motivazionale e nella altrettanto evidente violazione del giudicato cautelare formatosi in seguito alla pronuncia di questa Corte;

– quest’ultima aveva ritenuto non sussistente il reato fine consumato dal R. quale partecipe dell’associazione malavitosa attualmente contestata.

2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in relazione alla ritenuta gravità indiziaria a sostegno del provvedimento impugnato.

– la condotta partecipativa richiesta dall’art. 416-bis c.p. non è provata ancorchè nei limiti della gravità indiziaria;

– le dichiarazioni del M. sono vaghe, generiche, altalenanti, prive di costanza e linearità;

– non hanno valenza probatoria i riferiti discorsi circa i rapporti tra R. e C.;

– il riscontro sulla descrizione dei luoghi è processualmente privo di sostanza e vale come il richiamo della Torre di Pisa quale luogo vicino al quale si sarebbe consumata una qualche condotta criminosa;

– anche la pretesa affiliazione del R. non ha fondatezza apprezzabile, nè rilievo cautelare e non si comprende quale evoluzione processuale possa essa avere.

3. Il ricorso è infondato.

Ed in vero, in tema di associazione di tipo mafioso, secondo autorevole lezione interpretativa di questa Corte nella sua più autorevole composizione, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Sviluppando poi tale premessa la Corte ha osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l’appartenenza nel senso indicato, purchè si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di "uomo d’onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi "facta concludentia" – idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Cass., Sez. Unite, 12/07/2005, n. 33748, Mannino; Cass., Sez. 1 Sent., 11/12/2007, n. 1470). Orbene nel caso di specie a carico dell’indagato risulta adeguatamente provato, a maggior ragione se in rapporto ai limiti della probatio minor richiesta nella attuale fase procedimentale, la investitura, nelle forme rituali proprie della consorteria malavitosa operante nel territorio, di un preciso "grado", distintivo di un ruolo ben definito nell’ambito di operatività dell’associazione mafiosa. Nè possono condividersi le valutazioni di merito circa la maggiore o minore rilevanza dell’appena indicato rituale, ovvero la mancanza di credibilità delle dichiarazioni offerte dal collaborante M. su quanto avvenuto in sua presenza, sia perchè su di esse v’è adeguata giustificazione motiva del giudice territoriale, che ne ha sottolineato la precisione, l’articolazione e la congruenza, insieme ai sicuri contesti temporali e di luogo indicati dal dichiarante come teatro del tristo cerimoniale, sia perchè, sulla base di questi dati, ricorrono i necessari riscontri individualizzanti.

Peraltro in materia va tenuto conto che in tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato integrano i gravi indizi di colpevolezza soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioè da assumere idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando, però, la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (Cass., Sez. 1, 01/04/2010, n. 19517) di guisa che deve considerarsi che detta chiamata in reità, siccome formulata nell’attuale contesto del procedimento, non deve certo mirare alla certezza processuale della responsabilità del chiamato, ma a farne ritenere, molto più semplicemente, probabile la prognosi di colpevolezza (Cass., Sez. 1, 20/09/2006, n. 35710). Del pari di valore dialettico non decisivo deve ritenersi il richiamo difensivo al citato, precedente pronunciamento di questa Corte a carico dell’indagato, dappoichè relativo esso al reato di cui all’art. 390 c.p. ed alla sola ricorrenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, ritenuta sussistente in sede di riesame nonostante la sua esclusione in prime cure, eppertanto per mera considerazione processuale e non di merito.

La Corte di legittimità, inoltre, ed è questo il rilievo decisivo, non ha mai valutato le dichiarazioni del collaborante ai fini della sussistenza o meno del reato di cui all’art. 416-bis c.p., ma ha considerato le medesime semplicemente insufficienti come prova circa la consumazione del reato ex art. 390 c.p., giudicato non motivato quanto a gravità indiziaria idonea a giustificare la misura cautelare e comunque non aggravato, giova ribadirlo, ex art. 7 citato. Quali dichiarazioni del collaborante abbia poi valutato questa Corte in costanza del precedente pronunciamento non è stato per nulla precisato dal ricorrente.

4. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato ed al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento…..bielle spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte rigetta e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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