T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 14-03-2011, n. 730

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con deliberazione di Consiglio Comunale n. 53 del 25.9.2009, il Comune di Malnate (VA), approvava definitivamente il piano attuativo di via Gasparotto/Kennedy/Mons. Sonzini, zona polifunzionale 5, in variante al vigente PRG.

Nel piano era prevista, fra l’altro, la realizzazione di due medie strutture di vendita, una alimentare e l’altra non alimentare, oltre ad un edificio per la somministrazione di alimenti e bevande.

La società cooperativa C.L. (di seguito, per brevità, anche solo "C.L."), proprietaria di un immobile nello stesso Comune, destinato all’attività di vendita di generi alimentari e non alimentari, proponeva il presente ricorso, con domanda di sospensiva, per i motivi che possono così essere sintetizzati:

1) eccesso di potere per contraddittorietà, sviamento, perplessità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, dell’art. 13dc delle NTA disciplina urbanistica del commercio approvate con deliberazione di CC n. 40/2005, dell’art. 4 del D.Lgs. 114/1998, dell’art. 2 della DGR 4.7.2007 n. 8/5054.

Attraverso tale mezzo, assai articolato, si sostiene che le due medie strutture di vendita, nonostante la qualificazione ad esse attribuita, darebbero luogo invece ad un grande struttura di vendita o ad un centro commerciale, in violazione delle disposizioni pianificatorie del Comune, che per la zona polifunzionale n. 5, consentono di realizzare solo medie strutture di vendita;

2) eccesso di potere per contraddittorietà, sviamento, perplessità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, degli articoli 25 e 92 comma 5° della legge regionale 12/2005, dell’art. 34 del D.Lgs. 267/2000, dell’art. 5 della legge regionale 14/1999, dell’art. 9 del D.Lgs. 114/1998, degli articoli 25 e 26 del regolamento regionale n. 3/2000, dell’art. 3.dc delle NTA del PRG disciplina urbanistica del commercio.

Mediante tale censura, anch’essa molto articolata, si evidenzia come l’Amministrazione comunale avrebbe violato non solo la disciplina del commercio, ma anche quella urbanistica, avendo adottato una variante non consentita dalla legge;

3) eccesso di potere per contraddittorietà, sviamento, perplessità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, degli articoli 2 e 3 della legge regionale 23/1997, degli articoli 4 e 25 della legge regionale 12/2005, della delibera C.R. 13.3.2007 n. 351 art. 4.6, della delibera G.R. 27.12.2007 n. 6420 art. 5 ed incompetenza.

Con tale mezzo, proposto in via subordinata, si denunciano presunti vizi del procedimento di approvazione del piano attuativo in variante;

4) eccesso di potere per contraddittorietà, sviamento, perplessità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, dell’art. 2, comma 1°, lett. c della legge regionale 23/1997, dell’art. 13dc NTA di PRG disciplina urbanistica del commercio, degli articoli 2, 122 e 32 D.Lgs. 163/2006, dei principi comunitari in materia di appalti pubblici, dell’art. 46 della legge regionale 12/2005.

Attraverso tale censura, si lamentano diverse violazioni della disciplina sulla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria;

56) invalidità derivata ed invalidità per vizi propri della convenzione di attuazione della delibera impugnata;

7) (anche se nel ricorso numerato come 6), invalidità derivata e violazione dell’art. 25 del regolamento regionale 3/2000, con riguardo ai permessi di costruire medio tempore rilasciati.

Si costituivano in giudizio il Comune di Malnate e la società O.L. Srl, concludendo per l’inammissibilità ed in ogni caso per l’infondatezza nel merito del gravame.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 16.3.2010, C.L. impugnava i permessi di costruire nel frattempo rilasciati, oltre alle autorizzazioni commerciali, esponendo le seguenti censure:

1) eccesso di potere per contraddittorietà, sviamento, perplessità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, dell’art. 13dc delle NTA disciplina urbanistica del commercio approvate con deliberazione di CC n. 40/2005;

2) eccesso di potere per contraddittorietà, sviamento, perplessità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, dell’art. 9 del D.Lgs. 114/1998, degli articoli 25 e 26 del regolamento regionale 3/2000, dell’art. 2.8 e dell’art. 5 DGR Lombardia 5.12.2007 n. 6024;

3) eccesso di potere per contraddittorietà, sviamento, perplessità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 e dell’art. 14 ter della legge 241/1990.

In esito all’udienza in camera di consiglio del 25.3.2010, la domanda di sospensiva era respinta con ordinanza n. 287/2010.

Alla pubblica udienza del 10.2.2011, la causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

In via preliminare, deve darsi atto che la società esponente ha depositato il 25.3.2010, atto di rituale rinuncia al ricorso nei riguardi della società O.C. Srl.

Nei soli confronti di quest’ultima, pertanto, il gravame deve ritenersi estinto per rinuncia.

Sempre in via pregiudiziale, reputa il Collegio di poter prescindere dall’esame delle eccezioni di rito sollevate dalle parti intimate nelle loro difese, attesa l’infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti, per le ragioni che seguono.

1. Nel primo motivo l’esponente afferma, in sostanza, che le due asserite medie strutture di vendita realizzate attraverso il piano attuativo, configurerebbero in realtà una grande struttura di vendita e/o un centro commerciale, in violazione delle norme di piano del Comune di Malnate.

Sul punto, occorre premettere che in base all’art. 13dc delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA)Disciplina urbanistica del commercio del Comune di Malnate (cfr. doc. 7 della ricorrente) – articolo relativo alle zone polifunzionali – nella zona di cui è causa (zona 5, area via Gasparotto), è consentita la realizzazione, oltre che di esercizi di vicinato, di non più di due medie strutture di vendita "non superiori a mq 2500 ciascuna, non funzionalmente connesse".

E’ invece espressamente esclusa la realizzazione di grandi strutture di vendita e di centri commerciali (cfr. il citato doc. 7, pag. 12).

La relazione illustrativa allegata alla delibera consiliare 53/2009 (cfr. doc. 1 bis della ricorrente, pag. 7), prevede la suddivisione dell’area in due lotti contigui ma indipendenti fra loro (almeno quanto ad accessi, spazi di sosta e parcheggio, allacciamento alle reti dei sottoservizi), separati da un muretto di recinzione in calcestruzzo armato con soprastante rete metallica e siepe.

Tale soluzione progettuale dovrebbe garantire, nelle intenzioni dell’Amministrazione e degli operatori, quella separazione funzionale fra medie strutture richiesta dall’art. 13dc delle NTA.

Del resto, nel corso della discussione che ha preceduto l’approvazione del piano attuativo, furono svolte tre osservazioni (una della minoranza consiliare, una della Polizia Locale e la terza dell’Associazione Commercianti di Varese), attraverso le quali era evidenziata la necessità di evitare la realizzazione di grandi strutture o di un centro commerciale all’interno dell’area di cui è causa (cfr. 2 della ricorrente).

L’osservazione n. 1 era stata respinta, mentre avevano trovato accoglimento le altre due, sicché l’Amministrazione aveva ritenuto di evidenziare meglio, in sede progettuale, il carattere di medie struttura di vendita funzionalmente separate, una alimentare con insegna "TIGROS" e l’altra non alimentare con insegna "BricoOk".

Accanto ai due edifici commerciali suindicati, insiste un immobile con insegna "MCDRIVE’, destinato alla ristorazione.

Orbene, secondo l’esponente, la soluzione definitivamente approvata sarebbe elusiva del divieto, contenuto nelle norme di piano, di realizzare una grande struttura o un centro commerciale.

La tesi difensiva della ricorrente non può trovare accoglimento.

Per quanto riguarda la grande struttura di vendita, è noto che quest’ultima è definita (art. 4, comma 1, lettera f del D.Lgs. 114/1998), come un esercizio avente superficie di vendita superiore a 2.500 metri quadrati (mq).

Nel caso di specie – la circostanza è pacifica in fatto ed ammessa anche dall’esponente nel ricorso – nessuno dei due esercizi collocati nei lotti 1 e 2 della zona 5 ha una superficie di vendita superiore a 2.500 mq: in particolare l’esercizio alimentare ha una superficie di 2.490 mq, quello non alimentare di 1.600 mq.

Tenuto conto che l’individuazione di una grande struttura di vendita avviene soltanto in base ad un dato numerico (superficie di vendita), nel caso di specie nessuno dei due edifici supera la misura prevista dalla legge di 2.500 mq, sicché deve escludersi di essere in presenza di strutture di vendita "grandi".

Per quanto riguarda – invece – la configurabilità di un centro commerciale, valgano le considerazioni che seguono.

Per l’art. 4 comma 1°, lett. g, del D.Lgs. 114/1998, costituisce "centro commerciale", "una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente".

La Regione Lombardia, con delibera di Giunta 4.7.2007, n. 8/5054 (cfr. doc. 11 della ricorrente), ha meglio specificato il significato di "centro commerciale" (vedesi allegato A alla delibera citata, art. 4.2.1, lettera a), distinguendo il centro commerciale tradizionale (a1) da quello multifunzionale (a2) ed infine dal Factory Outlet Centre (a3).

Esclusi, nel caso di specie, le ipotesi delle lettere a2 ed a3 della disciplina regionale, il centro commerciale tradizionale si caratterizza (lettera a1), per l’aggregazione di più edifici nella medesima area, collegati da percorsi pedonali su suolo privato, "con servizi comuni fruibili dall’intero complesso".

La giurisprudenza, anche di questo Tribunale (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 20.9.2005, n. 3668), ha individuato quale elemento caratterizzante del centro commerciale, l’esistenza di servizi ed infrastrutture comuni agli esercizi commerciali che costituiscono il centro stesso.

Orbene, nel caso di specie, se si ha riguardo al progetto definitivamente approvato (cfr. doc. 1 bis della ricorrente; docc. 7, 8 e 12 della controinteressata OL Srl; doc. 15 del Comune, tavola "PA 08.3"), è agevole concludere che:

a. le due infrastrutture di vendita (alimentare e non alimentare), sono distinte fisicamente, con sedi diverse (diversi sono, infatti, anche gli indirizzi), hanno ingressi separati (da nord per via Kennedy e via Gasparotto per l’esercizio Tigros e da sud per via Sonzini per l’esercizio BricoOk), distinti ed autonomi sono i parcheggi ed i percorsi pedonali, mentre anche le reti ed i sottoservizi sono distinti ed autonomi, come risulta dalla lettura delle relazioni tecniche versate in atti dall’Amministrazione comunale, quali suoi documenti n. 34 e n. 41;

b. é prevista la realizzazione di un muretto di recinzione interno all’area, di divisione fra il lotto 1 ed il lotto 2, per il quale è stato rilasciato titolo edilizio (permesso di costruire n. 200/2009, vedesi doc. 49 del Comune, cfr. anche il doc. 29 del Comune, vale a dire la planimetria del progetto di recinzione).

A proposito di tale recinzione, è emerso nel corso dell’udienza pubblica che la stessa non è stata ancora realizzata.

Sul punto, preme però al Collegio evidenziare che il permesso di costruire di cui sopra n. 200 del 2009, avente validità triennale ex art. 15 DPR 380/2001, è ancora efficace, sicché, in attuazione dello stesso, dovrà costruirsi la recinzione di cui è causa, pena al contrario il doveroso intervento del Comune, nell’esercizio del proprio potere di vigilanza edilizia ex art. 27 DPR 380/2001, per garantire il rispetto delle prescrizioni del piano attuativo.

La circostanza dell’attuale omessa realizzazione non è però motivo di illegittimità degli atti impugnati, visto che sia il piano attuativo approvato con deliberazione consiliare sia il successivo permesso di costruire n. 200/2009 appaiono legittimi (per le ragioni già esposte e che si esporranno), a prescindere dalla questione della – si ripete: solo attuale, visto che il permesso di costruire non è scaduto – mancata esecuzione dei lavori di cui al menzionato titolo edilizio.

Come si vede, risultano provati la separazione fisica fra le due strutture e la mancanza di spazi e servizi comuni tra le medesime; non si può ritenere quindi di essere in presenza di un centro commerciale – secondo la definizione di quest’ultimo, offerta dalle norme statali e da quelle regionali – ma soltanto di due medie strutture, anche se collocate nella stessa zona.

D’altronde, le stesse NTA del Comune (non contestate in alcun modo dall’esponente), consentono di realizzare nella zona polifunzionale n. 5 di via Gasparotto due medie strutture, con la sola avvertenza della mancanza di connessione funzionale (cfr. il già citato art. 13dc, mentre l’art. 42 delle NTA generali – doc. 7 del Comune – prevede per l’area di via Gasparotto un solo piano attuativo, relativo ad entrambe le strutture di vendita).

Ciò premesso, reputa il Collegio che la norma citata delle NTA (art. 13dc) non possa interpretarsi che nel senso che le due strutture non debbano condividere spazi o servizi in comune (solo così non vi sarebbe connessione funzionale), tenendo ancora presente che l’interpretazione della norma suindicata non può essere eccessivamente restrittiva quanto all’apertura delle due unità di vendita, in quanto una scelta ermeneutica di tale genere finirebbe per pregiudicare un diritto di libertà garantito a livello costituzionale (quale è la libertà di iniziativa economica ex art. 41 della Costituzione, norma peraltro richiamata dall’art. 2 del D.Lgs. 114/1998), oltre a ledere principi di tutela e promozione della concorrenza, garantiti non solo a livello costituzionale ma anche comunitario.

Ancora, secondo la ricorrente, la media struttura alimentare costituirebbe di per sé un centro commerciale, in quanto, accanto all’esercizio di vendita, si affiancherebbero altri esercizi di vicinato.

In realtà, all’interno dell’edificio con insegna Tigros, sono destinati ad essere ospitate attività non soggette alla disciplina del D.Lgs. 114/1998 e che non possono pertanto essere assimilate al commercio al dettaglio, quali la farmacia comunale (espressamente esclusa dall’art. 4 del D.Lgs. 114/1998 dalla disciplina del commercio), uno sportello bancario (l’attività bancaria trova la sua regolamentazione nel D.Lgs. 385/1993) ed un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, anch’esso non compreso nell’attività di commercio di cui al DPR 114/1998.

Quanto agli spazi indicati nella tavola allegata al permesso di costruire n. 203/2009, non risulta che negli stessi siano ospitati esercizi di vendita diversi da quello Tigros; del resto la difesa della controinteressata (cfr. memoria del 22.2.2010, pag. 11), ha escluso tale circostanza, senza che sul punto sia stata offerta prova contraria.

In conclusione, deve rigettarsi il primo motivo di ricorso.

2. Nel secondo mezzo, si sostiene che il Comune di Malnate, attraverso il piano attuativo in variante di cui è causa, non avrebbe in realtà rispettato procedure di variante ben più complesse, alle quali sarebbe stato invece soggetto.

In primo luogo, si afferma che non sarebbero stati rispettati i limiti di cui all’art. 2, comma 2°, della legge regionale 23/1997.

La censura è priva di pregio, visto che, come emerge dalla relazione illustrativa del piano attuativo in variante al PRG (doc. 3 del Comune), il piano da una parte modifica il perimetro del comparto n. 5, risultante dal PRG vigente, stralciando l’area posta fra via Kennedy e via Gasparotto; dall’altra individua una diversa dislocazione delle aree a standard e da ultimo specifica alcuni articoli delle NTA per chiarirne nel dettaglio l’applicazione.

Si tratta, a ben vedere, di soluzioni conformi all’art. 2, comma 2°, citato, ed in particolare rispettose delle lettere f, h e i del medesimo comma, che così dispongono:

"f) varianti che comportino modificazioni dei perimetri degli ambiti territoriali subordinati a piani attuativi, finalizzate ad assicurare un migliore assetto urbanistico nell’ ambito dell’ intervento, opportunamente motivato e tecnicamente documentato, ovvero a modificare la tipologia dello strumento urbanistico attuativo;

h) varianti relative a comparti soggetti a piano attuativo che comportino una diversa dislocazione delle aree destinate a infrastrutture e servizi;

i) varianti concernenti le modificazioni della normativa dello strumento urbanistico generale, dirette esclusivamente a specificare la normativa stessa, nonché a renderla congruente con disposizioni normative sopravvenute, eccettuati espressamente i casi in cui ne derivi una rideterminazione ex novo della disciplina delle aree".

Ad ogni buon conto, il piano attuativo in variante ben poteva essere approvato non solo con la speciale procedura prevista non dall’art. 2, ma con quella di cui al successivo art. 3 della legge 23/1997, in virtù della disposizione dell’art. 25 della legge regionale 12/2005, che consente ai Comuni sprovvisti di Piano di Governo del Territorio (PGT), l’approvazione, fra l’altro, "di varianti nei casi di cui all’art. 2, comma 2, della legge regionale 23 giugno 1997, n. 23…. e di piani attuativi in variante con la procedura di cui all’art. 3 della predetta legge regionale n. 23/1997".

La norma, a parere del TAR, appare chiara nella sua formulazione, consentendo alle Amministrazioni locali di approvare varianti urbanistiche con la procedura di cui all’art. 2 della LR 23/1997 e piani attuativi in variante con la diversa procedura di cui al successivo art. 3 della stessa legge.

La chiarezza della norma e l’autonomia dei due procedimenti di cui sopra sono già stati messi in luce dallo scrivente TAR, sez. II, con sentenza 4.12.2007, n. 6541, costituente precedente specifico al quale si rinvia.

Ciò premesso, tenuto conto che la delibera 53/2009 appare, senza dubbio, rispettosa del citato art. 3, oltre che dell’art. 2 comma 2°, non si comprende in quale violazione di legge possa essere incorsa l’Amministrazione di Malnate.

Inoltre, visto che non è stata realizzata alcuna grande struttura di vendita, e neppure un centro commerciale, non è stata posta in essere dal Comune alcuna variante eccedente i citati limiti di cui alla legge regionale 23/1997, sicché appare infondata l’asserzione della ricorrente, secondo cui l’Amministrazione di Malnate sarebbe dovuta ricorrere agli strumenti di cui agli articoli 87 e seguenti della LR 12/2005 (programma integrato di intervento) o dell’art. 34 del D.Lgs. 267/2000 (accordo di programma).

Parimenti privo di pregio è il riferimento all’art. 9 del DPR 114/1998, che riguarda la procedura di rilascio dell’autorizzazione commerciale per le grandi strutture di vendita, insussistenti nel caso di specie.

Nell’ultima parte del secondo motivo, viene denunciata la presunta illegittimità della delibera di approvazione del piano attuativo, per violazione del principio di contestualità fra il procedimento urbanistico e quello di autorizzazione commerciale, desumibile dall’art. 5 comma 16 bis della legge regionale 14/1999 (oggi abrogato ma applicabile alla presente fattispecie ratione temporis).

L’articolo, riferito peraltro alle sole grandi strutture, non pare però destinato a trovare rigorosa applicazione nel caso di specie, dove all’approvazione di un piano attuativo, segue il rilascio delle autorizzazioni commerciali.

Del resto, nella presente fattispecie è stata rispettata la ratio del principio di contestualità, che è quella di evitare soluzioni contraddittorie o contrastanti fra il procedimento commerciale e quello edilizio, come del resto evidenziato dalla scrivente Sezione in analoga fattispecie (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 5.6.2007, n. 4751).

Deve pertanto respingersi il secondo mezzo di gravame.

3. Nel terzo motivo si evidenzia, in primo luogo, che la variante approvata non era corredata dalla scheda informativa prevista dall’art. 2, comma 3°, della LR 23/1997.

Il mezzo è, sotto tale profilo, infondato, in quanto la giurisprudenza della presente Sezione (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 8.10.2004, n. 5515), ha chiarito che l’omessa compilazione della scheda informativa di cui alla citata LR 23/1997 costituisce una mera irregolarità, non prevedendo la legge alcuna sanzione per l’omissione di cui sopra; senza contare che la variante di cui è causa, al di là del dato formale relativo alla mancata allegazione della scheda, possiede nella sostanza tutti i requisiti di cui all’art. 2 sopra menzionato, sicché nella presente fattispecie potrebbe trovare agevole applicazione anche l’art. 21 octies della legge 241/1990.

Sotto altro profilo, nel terzo motivo si sostiene l’illegittimità della variante per mancata sottoposizione alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) di cui all’art. 4 della LR 12/2005.

La censura è priva di pregio, attesa la circostanza che la variante di cui è causa ha apportato modifiche assai limitate al PRG vigente, limitandosi – come già sopra ricordato al punto 2 della presente narrativa – alla riparametrazione della zona interessata, ad una nuova collocazione delle aree a standard ed al chiarimento di alcuni articoli delle NTA.

Si tratta, quindi, di un intervento che non incide su fondamentali valori ambientali, e come tale non certo necessitante di una procedura di VAS, la ratio della quale è quella di valutare preventivamente l’impatto ambientale dei soli piani e programmi in grado di incidere in misura significativa sul territorio.

Lo stesso Comune di Malnate, con nota del Responsabile dell’Area Territorio del 21.9.2009 (cfr. doc. 24 del Comune), ha escluso la necessità di VAS, trattandosi di variante non incidente nella sostanza sull’assetto urbanistico della città e – fra l’altro – coerente con il documento di piano del PGT allora in corso di approvazione.

Del resto, la Provincia di Varese, per una fattispecie analoga alla presente, aveva anch’essa ritenuto di non attivare la procedura di VAS o meglio aveva chiesto chiarimenti al Comune di Laveno Ponte Tresa sulla convocazione a partecipare ad una conferenza di verifica di esclusione VAS (cfr. doc. 23 del Comune).

Ciò premesso, l’attivazione della rituale procedura di VAS avrebbe dato luogo soltanto ad un aggravio inutile del procedimento, in contrasto con fondamentali esigenze di celerità ed economicità dell’azione amministrativa.

4. Nel quarto motivo si sostiene, in primo luogo, che le disposizioni della convenzione (in particolare gli articoli 5, 6 e 7), relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria a scomputo degli oneri concessori, si porrebbero in contrasto con la disciplina dei contratti pubblici ( D.Lgs. 163/2006), che impone il ricorso a procedure concorsuali per la scelta dell’esecutore delle opere.

La censura è innanzi tutto inammissibile per difetto di interesse; non essendo la cooperativa ricorrente un operatore nel settore delle opere pubbliche, non si comprende l’interesse a denunciare la presunta inosservanza di disposizioni relative a procedure concorsuali per la scelta del contraente della Pubblica Amministrazione (procedure alle quali C.L. è evidentemente destinata a non partecipare, si veda sul punto TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20.12.2010, n. 7614).

Nel merito, peraltro, la lettura dei richiamati articoli della convenzione urbanistica (cfr. doc. 1 septies della ricorrente), esclude la fondatezza della censura, visto che le norme contrattuali – da interpretarsi ovviamente in modo conforme alla fonte legislativa – non appaiono certo formulate nel senso di vietare il ricorso al procedimento di gara previsto dal D.Lgs. 163/2006.

Nella seconda parte del quarto motivo, le censure si indirizzano contro l’art. 6 della convenzione, del quale è lamentata una presunta genericità nell’individuazione delle opere di urbanizzazione, oltre che contro presunte omissioni della convenzione stessa in ordine alla cessione delle aree a standard ed alla parziale monetizzazione degli standard medesimi.

Il motivo è – ancora – inammissibile, sia per la sua genericità sia perché non si vede quale proprio interesse C.L. possa tutelare, denunciando la presunta violazione della normativa sulla cessione degli standard e sulla monetizzazione.

La censura è anche infondata, visto che il Comune, attraverso il proprio Responsabile dell’Area Territorio, ha redatto in data 18.5.2009, una perizia asseverata afferente la congruità economica della monetizzazione (cfr. doc. 5 della ricorrente), nella quale si dà compiutamente atto della correttezza delle operazioni di cui all’art. 46 della LR 12/2005.

Altre valutazioni sulle aree a standard e sulla loro cessione o monetizzazione, sono esposte nella relazione illustrativa del piano (cfr. doc. 9 della controinteressata), sicché anche sotto tale profilo, la censura è priva di pregio.

Da ultimo e con riferimento al richiamo, contenuto nel ricorso, all’art. 10 della convenzione, appare corretta l’affermazione secondo cui gli standard reperiti (8.200 mq) sono superiori (anche se di poco), a quelli previsti dall’art. 13dc delle NTA, visto che questi ultimi sono pari a 8.180 mq (cfr. doc. 1 septies della ricorrente, art. 10).

Quanto alla monetizzazione in misura apparentemente superiore a quella prevista dal citato art. 13dc, la relazione asseverata del 18.5.2009, spiega compiutamente le ragioni della monetizzazione, ferma restando la carenza di interesse di C.L. (la quale ha proposto il presente gravame per la sola tutela di un proprio interesse di natura commerciale) a lamentare presunte violazioni della disciplina degli standard nel comparto di cui è causa (comparto che dista oltre un chilometro dall’edificio di C.L., che non può certo essere pregiudicata dalle scelte comunali sugli standard nella zona di via Gasparotto).

In conclusione, deve rigettarsi anche il quarto motivo.

5. I motivi n. 5 e n. 6 possono essere trattati congiuntamente, atteso che con gli stessi viene denunciata la presunta illegittimità della convenzione stipulata in relazione al piano attuativo di cui è causa.

Tenuto conto però che vengono riproposte le censure di cui sopra, oltre ad evidenziarsi l’illegittimità derivata dagli atti pregressi, che il Collegio ha sopra ritenuto invece conformi a legge, i mezzi di ricorso n. 5 e n. 6 appaiono manifestamente infondati.

6. Parimenti, privo di pregio è il motivo n. 7 (anche se in ricorso indicato con il numero 6), volto a denunciare l’illegittimità dei permessi di costruire relativi all’intervento, derivata dalla presunta illegittimità degli atti anteriori del procedimento di piano attuativo in variante.

Essendo però quest’ultimo legittimo, deve respingersi anche il settimo motivo del ricorso principale.

7. I motivi aggiunti sono diretti contro i permessi di costruire relativi al piano attuativo, oltre che contro le autorizzazioni commerciali eventualmente rilasciate.

Il primo motivo aggiunto ripropone le censure già svolte nel ricorso principale, secondo cui sull’area di via Gasparotto sarebbero stati realizzati – in violazione delle norme di piano comunali – una grande struttura di vendita oppure un centro commerciale.

Il mezzo è evidentemente infondato, per le ragioni già sopra esposte al punto 1 della presente narrativa in diritto, alle quali il Collegio si permette, per economia espositiva, di rinviare.

8. Il secondo motivo aggiunto ripropone dapprima (2.a), le considerazioni già svolte dall’esponente circa l’esistenza di una grande struttura di vendita o di un centro commerciale, sicché sul punto ci si richiama a quanto già esposto.

Nella seconda parte (2.b e 2.c) si sostiene la violazione dell’art. 25 del regolamento regionale 3/2000, il quale imporrebbe la necessaria contestualità fra procedimento di autorizzazione commerciale per l’apertura di medie strutture di vendita ed il connesso procedimento di carattere urbanisticoedilizio.

La censura appare però infondata, per le ragioni che seguono.

In primo luogo, appare provato che l’istruttoria per così dire edilizia e quella che potrebbe invece definirsi "commerciale", furono svolte contestualmente, come risulta dal verbale della conferenza di servizi del 30.11.2009 (cfr. doc. 44 del Comune), dove fu dato espressamente atto che erano affrontate problematiche sia di carattere urbanistico sia di natura commerciale.

Nella stessa sede il responsabile della Polizia Locale riferì della produzione di tutti gli atti previsti dalla DGR 6024/2007; contestualmente fu precisato che, per la struttura alimentare, già esisteva un’autorizzazione commerciale, sicché si trattava non di nuova apertura ma di trasferimento con ampliamento di superficie (cfr. doc. 46 del Comune, vale a dire l’autorizzazione ex D.Lgs. 114/1998 del 24.9.2007 alla società Tigros Spa per l’apertura di una media struttura di vendita a Malnate, via Caprera, 5).

La contestualità risulta altresì dal rapporto di compatibilità redatto dall’Amministrazione di Malnate (cfr. doc. 43 del Comune), dal quale risulta l’esame per così dire "parallelo" delle questioni urbanistiche e di quelle commerciali.

Del resto, se la "ratio" dell’art. 25 del regolamento regionale è quella di evitare la realizzazione fittizia di grandi strutture di vendita (come sembra sostenere la difesa della ricorrente), è già stato evidenziato come, nel caso di specie, siano state effettivamente realizzate due medie strutture di vendita, come permesso dalle NTA comunali.

Ciò premesso, deve rigettarsi il secondo motivo aggiunto.

9.Con il terzo motivo aggiunto, si denuncia la presunta violazione dell’art. 14 ter della legge 241/1990, in quanto, a detta della ricorrente, la conferenza di servizi avrebbe espresso un parere in contrasto con quanto invece evidenziato dalla Commissione per il Paesaggio, la quale avrebbe sollevato questioni sull’impatto viabilistico delle opere.

In realtà, la Commissione per il Paesaggio, come risulta dal doc. 14 della stessa ricorrente, ha sempre espresso parere favorevole, seppure con alcune specificazioni tecniche per taluni permessi di costruire, come quella di eliminare l’entrata a raso dalla via Kennedy.

Nella riunione del 30.11.2009 (cfr. doc. 15 della ricorrente), la conferenza di servizi ha preso atto di alcune criticità per quanto riguarda l’impatto delle opere sulla viabilità, pur evidenziando in seguito che, dall’esame della relazione viabilistica predisposta dalla società O.L. (prodotta dal Comune quale suo doc. 45), molte delle criticità erano superate.

Non sussiste, quindi, alcun contrasto fra il parere della Commissione per il Paesaggio e le risultanze della conferenza di servizi.

Il terzo motivo aggiunto deve pertanto respingersi.

10. Per quanto riguarda l’impugnazione delle autorizzazioni commerciali, contenuta anch’essa nei motivi aggiunti, la stessa deve essere rigettata, per gli argomenti già sopra esposti, alle quali ci si permette di rinviare.

11. Sussistono giuste ragioni, quali la complessità e la novità delle questioni trattate, per compensare interamente fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda),

definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

– dichiara estinti per rinuncia il ricorso ed i motivi aggiunti proposti contro O.C. Srl;

– rigetta per il resto il ricorso ed i motivi aggiunti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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