Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-05-2011, n. 11635 Organi regionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’avvocato C.A.D.S., proclamato inizialmente secondo dei non eletti della sua lista nelle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana del 16 maggio 1991, e di fatto entrato a far parte dell’assemblea il 5 agosto 1994, per rinuncia di altro candidato eletto, ha ottenuto dal Consiglio di Giustizia amministrativa, con sentenza n. 1 del 1996, il riconoscimento di un numero di preferenze che ha fatto di lui il primo dei non eletti. Egli ha pertanto chiesto che la sua elezione fosse retrodatata alla data del 5 novembre 1991, in cui era stato proclamato eletto il candidato non eletto al quale inizialmente erano state attribuite più preferenze, per farne decorrere le rivendicazioni a tutti gli emolumenti, le indennità e gli altri benefici economici e previdenziali connessi alla carica. Il Tribunale di Palermo, davanti al quale l’on. C. aveva chiamato l’Assemblea regionale siciliana e la Presidenza della Regione siciliana, riconobbe all’attore soltanto il diritto alla ricostruzione della posizione contributiva.

La Corte d’appello, con la sentenza in data 29 giugno 2004, ha respinto il gravame dell’on. C.. Esaminando i motivi di grame, la corte ha osservato che:

il diritto dell’appellante al seggio presso l’assemblea regionale con decorrenza dal 5 novembre 1991, attestato dal Consiglio di giustizia amministrativa con sentenza alla quale l’assemblea si era conformata, non era controverso, e non era stato negato dal tribunale;

– in mancanza di una specifica previsione normativa, il diritto a percepire gli emolumenti connessi alla carica con decorrenza dal novembre 1991 non spettava, non trattandosi di retribuzione connessa ad un rapporto di pubblico impiego ma di ristoro forfetario per le funzioni effettivamente svolte;

– una domanda di risarcimento danni non era stata proposta dall’attore in primo grado con la citazione, con la quale erano stati chiesti i benefici economici e previdenziali derivanti dalla carica di deputato della regione, nè una tale domanda poteva leggersi nell’accenno a "una qualche responsabilità" dell’amministrazione "nella situazione sub judice", cui sarebbe stato imputabile uno stato d’incertezza, non seguito da una domanda di risarcimento, che era stata formulata invece solo all’udienza di precisazione delle conclusioni;

– il rigetto della pretesa risarcitoria era inoltre giustificato perchè la commissione per la verifica dei poteri era in una situazione d’irresponsabilità in ordine alle valutazioni espresse sulla situazione d’illeggibilità o incompatibilità dai suoi componenti;

– il diritto alla ricostruzione della posizione previdenziale, mediante versamento di contributi a riscatto per il periodo dal 5 novembre 1991 al 5 agosto 1994, era previsto dagli artt. 3 e 9 del Regolamento di Previdenza per i deputati dell’assemblea Regionale Siciliana;

– la Presidenza della Regione Siciliana era priva di legittimazione passiva, stante la sua autonomia dall’Assemblea regionale siciliana, e del tutto estranea al rapporto dedotto in giudizio.

Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre l’avv. C. per quattro motivi, con atto notificato il 21 giugno 2005, illustrato con memoria.

Le amministrazioni, rappresentate dall’Avvocatura Generale dello Stato, resistono con controricorso, e con memoria.
Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando difetti di motivazione su un punto decisivo della controversia, il ricorrente censura l’affermazione della corte territoriale, che egli non aveva interesse all’accertamento che il suo diritto al seggio di deputato decorreva dal 5 novembre 1991, come stabilito nella sentenza del Consiglio di Giustizia amministrativa.

Il motivo è inammissibile. L’attore aveva chiesto l’accertamento sulla premessa che esso era già contenuto nel titolo invocato (sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa), e la corte di merito ha osservato che nessuno contestava il punto, così soddisfacendo il dovere di motivare l’affermazione d’inammissibilità per mancanza d’interesse. Il generico motivo di ricorso non specifica la natura del vizio, nè indica le affermazioni dell’impugnata sentenza che sarebbero affette da illogicità, incorrendo così a sua volta nel vizio di genericità.

Con il secondo motivo, formulando censure eterogenee di vizi della motivazione ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), violazione dell’art. 69 Cost., della L.R. Siciliana 30 dicembre 1965, art. 44 e della L. 31 ottobre 1965 ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e di violazione degli artt. 163, 183 e 189 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), il ricorrente lamenta il rigetto della sua domanda di accertamento del diritto agli emolumenti, indennità ed altri benefici economici e previdenziali strettamente connessi con la carica di deputato della Regione Siciliana a far tempo dal 5 novembre 1991, vale a dire dalla data in cui egli aveva conseguito il diritto al seggio nell’assemblea regionale, sino a quello in cui era stato immesso nell’esercizio delle funzioni. In secondo luogo censura la ritenuta inammissibilità della domanda di risarcimento del danno per non aver potuto esercitare le funzioni tempestivamente. Nella misura in cui il cumulo di censure eterogenee e incompatibili si sottrae al vizio di genericità, il mezzo è infondato.

Sul piano della violazione di legge è da osservare che il dibattito sulla natura retributiva degli emolumenti previsti dalla legge per il mandato di deputato all’Assemblea regionale siciliana è ininfluente nella decisione sul punto in contestazione. La natura retributiva delle indennità parlamentari, che può essere argomentata dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 245 del 1995 della Corte cost.), infatti, non comporta di per sè che le indennità siano dovute in assenza di svolgimento delle funzioni o prima dell’insediamento in esse, richiedendosi a tal fine una norma di legge. Trattandosi di materia autonomamente regolata, tale norma non può essere rinvenuta nella legislazione concernente il rapporto di pubblico impiego, al quale del resto il mandato parlamentare non è assimilabile, concorrendo la funzione retributiva con le ulteriori connotazioni che si riconnettono al libero svolgimento del mandato elettivo. Vano, al riguardo, è il tentativo di argomentare dalla normativa regionale che riconosce al deputato sospeso un’indennità di carica decurtata (L.R. n. 20 del 1994), posto che una tale previsione specifica manca nel caso in esame. Lo stesso tentativo di assimilare il mandato dei componenti dell’Assemblea regionale Siciliana a quello per la Camera dei deputati è contraddetto dalla sentenza n. 245 della Corte costituzionale. Con essa, infatti, la L.R. siciliana 30 dicembre 1965, n. 44, art. 1 – il quale, attraverso il richiamo alla L. n. 1261 del 1965 (art. 5) faceva divieto assoluto di pignoramento e di sequestro dell’indennità mensile e della diaria corrisposte ai deputati dell’Assemblea regionale siciliana – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, perchè esorbitante dalle attribuzioni regionali. L’analogia tra le attribuzioni delle assemblee regionali e quelle parlamentari, ha osservato la corte delle leggi, non significa identità: le prime si svolgono a livello di autonomia, anche se costituzionalmente garantite, le seconde a livello di sovranità; e, dunque, non sono autonomamente applicabili agli organismi assembleari delle regioni le prerogative riservate agli organi supremi dello Stato e le speciali norme derogatorie che vi si riconnettono.

Infine, il precedente richiamato dal ricorrente (Cass. 20 luglio 2004 n. 13445), riconoscendo che nel risarcimento del danno da lucro cessante sono comprese le indennità dovute al danneggiato per la parte "corrispondente all’attività effettivamente svolta di parlamentare", non offre nessun elemento a sostegno della tesi che le indennità spetterebbero in mancanza di insediamento nelle funzioni.

Da essa può ricavarsi invece che la forzata privazione di quelle indennità potrebbe costituire un danno risarcibile, che è questione diversa, esaminabile semmai sotto il profilo successivo.

In ordine dunque a questo, la censura non si sottrae al vizio indicato in premessa. Il mezzo in realtà non denuncia propriamente un vizio di motivazione, ma espone solo le ragioni per le quali, a giudizio del ricorrente, la domanda formulata in primo grado in occasione della precisazione delle conclusioni non poteva considerarsi nuova, e sollecita in sostanza un riesame da parte della corte di legittimità sul punto, nell’esercizio dei suoi poteri di giudice del fatto processuale. Detti, poteri, tuttavia, le sono attribuiti solo con riferimento al mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. In proposito è da ricordare che per consolidata giurisprudenza di questa corte, in sede di giudizio di legittimità, va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenta l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censura l’interpretazione data alla domanda stessa, ritenendosi in essa compresi o esclusi alcuni aspetti della controversia in base ad una valutazione non condivisa dalla parte. Nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e si pone un problema di natura tipicamente processuale, per risolvere il quale la Corte di Cassazione ha il potere dovere di procedere al diretto esame degli atti e di acquisire gli elementi di giudizio necessari alla richiesta pronunzia. Nel secondo caso, poichè l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza e del suo contenuto costituiscono un tipico accertamento di fatto, come tale attribuito dalla legge al giudice del merito, alla Corte di legittimità è solo riservato il controllo della motivazione che sorregge sul punto la pronunzia impugnata (Cass. 24 marzo 2000 n. 3538; 28 agosto 2000 n. 11199; 2 marzo 2001 n. 3016; 26 aprile 2001 n. 6066; 20 agosto 2002 n. 12259; 28 settembre 2004 n. 19416; 2 febbraio 2005 n. 2042; 5 agosto 2005 n. 16596; 7 luglio 2006 n. 15603; 21 giugno 2007 n. 14486; 26 giugno 2007 n. 14784). Il ricorrente, con il mezzo in esame, nè denuncia formalmente la violazione dell’art. 112 c.p.c. (peraltro non ravvisabile in presenza di una diffusa motivazione a sostegno di un’esplicita pronuncia del giudice di merito), nè precisa in cosa consisterebbe il vizio di motivazione, limitandosi a proporre una diversa lettura degli atti di causa, funzionale alla sua tesi difensiva.

Con il terzo motivo si censura – anche qui sovrapponendo questioni eterogenee – per vizio di motivazione e per violazione dell’art. 9 del Regolamento di previdenza dei deputati dell’assemblea regionale siciliana l’affermazione. Dell’impugnata sentenza, dell’inammissibilità per omessa indicazione delle censure del motivo di appello, con il quale si chiedeva che il pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi riconosciuti dal primo giudice fosse posto a carico dell’amministrazione. Il ricorrente sostiene che le ragioni della richiesta erano le stesse esposte in tutto l’atto d’appello a sostegno della tesi che al riconoscimento del diritto al seggio debba conseguire, con effetti automatici, il diritto alla corresponsione dell’indennità parlamentare e tutti gli altri benefici economici. In ragione di tale precisazione, il motivo deve ritenersi assorbito dall’esame di quelli precedenti.

Con il quarto motivo si censura l’affermata carenza di legittimazione passiva della Presidenza della Regione siciliana, per "illegittimità", erronea motivazione ed errore di diritto.

Nonostante l’autonomia delle attribuzioni della presidenza rispetto all’assemblea, dal momento dell’indizione delle elezioni generali sino al momento dell’apertura delle schede e fino a tutti gli atti antecedenti la proclamazione il procedimento elettorale sarebbe di competenza del governo regionale per il tramite dello specifico assessorato.

L’estrema genericità dell’allegazione, che non espone alcun collegamento con la concreta vicenda di causa, e con il ragionamento svolto nell’impugnata sentenza, rende il mezzo inammissibile.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *