Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-05-2011, n. 11616 procura alle liti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Pretore di Roma, con sentenza n. 3159 del 1997, dichiarava la nullità dell’esecuzione intrapresa da Z.M. nei confronti di Metronotte Istituto di Vigilanza Città di Roma S.r.l. e il Tribunale, con sentenza n. 8338 del 2000, dichiarava l’inammissibilità dell’appello della soccombente per mancanza di valida procura.

La sentenza di appello veniva annullata dalla Corte di Cassazione, la quale affermava che la procura alle liti, conferita per il giudizio di cognizione nel quale si era formato il titolo esecutivo e per il successivo giudizio di esecuzione, valeva anche per tutti i gradi del giudizio di opposizione all’esecuzione promossa in base a quel titolo.

Con sentenza in data 13 febbraio – 17 aprile 2008 la Corte d’Appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio, rigettava il gravame della Z..

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: la ricostruzione degli eventi offerta dalla società non era stata contestata dalla Z.; la società appellata aveva tempestivamente messo a disposizione della appellante un assegno circolare per il pagamento del dovuto, ma non aveva potuto consegnarlo per fatto non imputabile alla società, la quale aveva esperito ripetuti e vani tentativi al riguardo; la prosecuzione della procedura esecutiva appariva ingiustificata e contraria al comportamento secondo buona fede e alla deontologia professionale del legale della Z.; inoltre le somme richieste con il precetto erano sovrabbondanti.

Avverso la suddetta sentenza la Z. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico, complesso motivo.

L’Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma Soc. Coop. a r.l., cessionaria dell’originaria opponente, ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

L’unico motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1182 e 1277 c.c., artt. 95 e 564 c.p.c.. Il motivo in esame contiene più censure autonome e distinte, in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

Una prima censura riguarda la validità dell’assegno circolare come mezzo di estinzione delle obbligazioni e le modalità a tal fine necessarie.

A prescindere dalla continua commistione tra assegno circolare e assegno bancario rinvenibile nelle argomentazioni a sostegno (la Corte territoriale ha affermato che l’assegno era circolare) e ai riferimenti che rendono necessari inammissibili accertamenti di fatto, è decisivo il rilievo che la questione non è stata trattata dalla sentenza impugnata, per cui, al fine di sfuggire alla sanzione di inammissibilità per novità, la ricorrente aveva l’onere – non adempiuto – non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, al fine di consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti, di eseguire la necessaria verifica (Cass. n. 20518 del 2008).

Una seconda censura attiene alla legittimità del pignoramento in danno della controparte, che si asserisce essere stato eseguito quando nessun assegno era stato ancora emesso dalla società Metronotte, la quale aveva solo manifestato la volontà di pagare.

La ricorrente trascura totalmente la motivazione della sentenza impugnata, la quale ha evidenziato che la ricezione dell’assegno era stata resa impossibile dal comportamento, stigmatizzato sotto il duplice profilo della buona fede e della deontologia professionale, del legale della stessa Z., con il quale erano stati vanificati i ripetuti tentativi posti in essere dal debitore.

Tale omessa considerazione appare tanto più significativa ove si consideri che la sentenza impugnata ha affermato che il criticato comportamento "è caratterizzato dall’ingannevole proposito di utilizzare il processo in modo distorto nei confronti della controparte in buona fede".

Infine, il quesito finale sottoposto all’esame della Corte non risponde alle finalità perseguite dall’art. 366 bis c.p.c.. Infatti esso riguarda solo una (la seconda) delle due censure in cui – come si è detto – è articolato il motivo e non postula l’enunciazione di un principio fondato sulle norme indicate (due di carattere sostanziale e due di natura processuale), ma si sostanzia nella richiesta alla Corte di verificare la negata correttezza della sentenza impugnata.

Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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