Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-05-2011, n. 11607 Danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 29.7.1997 C.G. conveniva in giudizio P.C. esponendo di essere proprietario di un’abitazione in (OMISSIS), che era rimasta danneggiata a seguito dei lavori eseguiti sulla propria casa dal confinante P.. Ciò posto, chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti. In esito al giudizio, in cui si costituiva il convenuto contestando la fondatezza della domanda attrice, il Tribunale adito di Oristano condannava il P. al risarcimento in forma specifica e, in difetto, al risarcimento per equivalente.

Avverso tale decisione il P. proponeva appello ed in esito al giudizio, in cui si costituiva l’appellato e veniva espletata nuova perizia tecnica, la Corte di Appello di Cagliari con sentenza depositata in data 19 giugno 2008 accoglieva per quanto di ragione l’appello del P., accoglieva la domanda del C. nei limiti del solo rimborso delle spese sostenute per la realizzazione dei pilastri nella misura di Euro 182,82, rigettando le altre domande, e condannava lo stesso C. al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. Avverso la detta sentenza il C. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Motivi della decisione

Con le prime due doglianze, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per "inesistente, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5", senza però accompagnare i motivi di impugnazione con il prescritto momento di sintesi. Ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, qualora sia denunciato il vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come insegna questa Corte, la censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

Ed è appena il caso di sottolineare come tale momento di sintesi debba consistere in una parte del motivo a ciò specificamente destinata, elaborata dallo stesso ricorrente in termini compiuti ed autosufficienti, senza che la Corte sia obbligata ad una attività di interpretazione della doglianza complessivamente illustrata, al fine di poter individuare sia il fatto controverso, cui si riferisce il ricorrente, sia le ragioni per cui la motivazione sarebbe stata omessa o comunque sarebbe insufficiente e/o contraddittoria. Il mancato assolvimento di tale onere, da parte del ricorrente, comporta l’inammissibilità delle due censure.

Passando all’esame delle successive doglianze, va rilevato che la terza censura, svolta dal ricorrente, articolata sotto il profilo della errata interpretazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe sbagliato a fondare la propria decisione sulla sola consulenza tecnica disposta in secondo grado, trascurando che quest’ultima non è un mezzo di prova in senso stretto, non serve ad esonerare le parti dall’onere probatorio su loro spettante e che l’appellante P. non aveva dimostrato, come era invece suo onere, l’insussistenza della propria responsabilità.

Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia l’ultima doglianza, articolata sotto il profilo della errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., la Corte territoriale avrebbe sbagliato nel condannare alle spese del doppio grado di giudizio l’originario attore la cui domanda era stata accolta in primo grado e, seppure solo parzialmente, in secondo grado.

Sia l’una che l’altra censura appaiono infondate. Quanto alla prima, giova premettere che se, in genere, la consulenza tecnica, essendo uno strumento di valutazione di fatti già dimostrati, non può costituire nè un mezzo di prova nè mezzo di soccorso volto a sopperire l’inerzia delle parti, ciò non esclude che, in taluni casi nei quali i dati costituenti l’oggetto della prova siano tali da non poter essere percepiti anche dal profano o dall’uomo di normale diligenza, la consulenza possa invece costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, risolvendosi in uno strumento indispensabile di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche (Cass. 3710/03) e percepibili con l’ausilio di specifiche strumentazioni tecniche (Cass. 9090/03, 4743/07 tra le tante).

Ed è quanto si è verificato nel caso di specie in cui il c.t.u., come ha sottolineato la Corte territoriale, è pervenuto alle sue conclusioni dopo aver considerato i vari aspetti della natura del terreno di fondazione, delle tipologie strutturali degli edifici e dello sviluppo del quadro fessurativo, sulla base delle risultanze della perizia geologica eseguita in primo grado e dei successivi esami strumentali eseguiti con specifici strumenti di precisione. E solo in esito a tali indagini tecniche, non agevoli e precluse a chi non sia in possesso delle necessarie cognizioni tecniche, è giunto ad escludere "responsabilità dirette alla sopraelevazione operata dal P. sulle lesioni e cedimenti del fabbricato del C.".

Nè merita di essere condiviso il profilo di censura formulato dal ricorrente, secondo cui la Corte di appello avrebbe colpevolmente trascurato che l’appellante P. non aveva dimostrato, come invece sarebbe stato suo onere, l’insussistenza della propria responsabilità. Ed invero, mette conto di sottolineare a riguardo che, a norma dell’art. 2697 c.c., chi vuoi far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (onus probandi incumbit ei qui dicit) mentre chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda (reus in excipiendo fit actor).

Pertanto, in base alle regole sulla ripartizione dell’onere della prova, se l’attore ha l’onere di provare il fatto giuridico da cui fa discendere il proprio diritto, il convenuto ha soltanto l’onere di provare i fatti diversi da quelli dedotti dall’attore che siano incompatibili con essi e tolgano loro efficacia, vale a dire i fatti estintivi o impeditivi o modificativi. Ma deve essere ben chiaro che il suo onere probatorio sorge in concreto solo quando l’attore abbia fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda ed è appena il caso di sottolineare che i termini della questione non mutano a seconda il grado di giudizio, come erroneamente ritiene il ricorrente.

Quanto all’ultimo motivo impugnazione, deve premettersi che in materia di spese il criterio della soccombenza non si fraziona secondo l’esito delle varie fasi ma va considerato unitariamente senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole (Cass. 23297/04, 15787/00, 15555/03,4600/08). Invero, la soccombenza, ai fini della liquidazione delle spese, deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale sicchè viola il principio di cui all’art. 91 cod. proc. civ., il giudice di merito che ritenga la parte come soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado.

Ciò premesso, mette conto di sottolineare che, secondo l’espresso dettato normativo di cui all’art. 91 c.p.c., "il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte..". La condanna alle spese postula quindi, come unico indispensabile presupposto, la soccombenza della parte, soccombenza che, in difetto di contraria previsione della legge, può esser anche soltanto parziale. Se ne deduce, argomentando a contrariis, che, in materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Cass. n. 14023/02, n. 10052/06, n. 13660/04, n. 5386/03, n. 1428/93, n. 12963/07, n. 17351/2010 tra le tante), intendendosi per tale, cioè totalmente vittoriosa, la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, giacchè solo la parte totalmente vittoriosa, neppure in parte, può e deve sopportare le spese di causa.

In tutti gli altri casi, non si configura la violazione del precetto di cui all’art. 91 cod. proc. civ., in quanto la materia del governo delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, pertanto, esula dal sindacato di legittimità, salva la possibilità di censurarne la motivazione basata su ragioni illogiche o contraddittorie (profilo nella specie insussistente e neppure dedotto dal ricorrente). Ne deriva l’infondatezza anche dell’ultima doglianza.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato, senza che occorra provvedere sulle spese in quanto la parte vittoriosa, non essendosi costituita, non ne ha sopportate.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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