Corte di Cassazione Sez. I, 16 giugno 2010 n. 23203. Sulla scriminante putativa dell’esercizio del diritto di critica.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il tribunale di Cosenza, con l’impugnata sentenza, deliberata l’8 maggio 2009, quale giudice di rinvio, ha confermato quella di primo grado pronunciata dal Giudice di pace della stessa città, che aveva dichiarato l’appellante AAA colpevole del reato di ingiuria, per avere offeso l’onore di BBB, nel corso dell’assemblea per l’approvazione del bilancio 2001 della “Gruppo Alimentari XXX s.r.1.” di cui era socio di minoranza, sostenendo, tra l’altro, che le perdite della società fossero “frutto di illecite e artificiose macchinazioni contrattuali poste in essere dall’amministrazione, al fine di realizzare lo spoglio totale del patrimonio sociale”.
2. Il Tribunale, infatti, nel rilevare preliminarmente che la valenza offensiva della frase incriminata doveva ritenersi non più controversa, essendo il giudizio di rinvio ormai circoscritto all’accertamento della sussistenza dell’invocata esimente dell’esercizio di critica, perveniva alla decisione di esclusione dell’esimente e conseguentemente di rigetto dell’appello, sulla base delle seguenti considerazioni:
– che le frasi pronunciate dall’imputato riproducevano in effetti, pressoché pedissequamente, le conclusioni formulate nella relazione tecnica predisposta dalla ragioniera CCC su incarico dell’imputato AAA, nell’imminenza dell’assemblea di approvazione del bilancio, circostanza questa direttamente verificata dal giudicante, essendo stata la suddetta relazione acquisita in atti all’udienza del 1 ° aprile 2005;
– l’assenza di prove dimostrative della veridicità dei fatti denunciati nella suddetta relazione, e cioè che l’amministratore e i soci di maggioranza avessero spogliato la società, distraendo il capitale sociale e trasferendo ad altre aziende da loro controllate, il valore di avviamento della GAA s.r.l., tale non potendosi ritenere la semplice conferma in sede dibattimentale del contenuto della suddetta relazione da parte della CCC, tenuto conto della violenta contesa societaria e familiare da tempo insorta tra l’imputato ed il cugino Roberto, il carattere unilaterale e di parte delle censure mosse dalla consulente alla gestione societaria e la circostanza che la persona offesa è stata assolta dagli addebiti di cui trattasi;
– la conseguente insussistenza, anche sotto il profilo putativo, di un’ipotesi di esercizio di diritto di critica, dovendosi escludere, proprio in ragione del già aspro contenzioso esistente tra i soci, che la semplice acquisizione di una perizia di parte che evidenziava atti di mala gestio riferibili all’amministratore, potesse indurre l’imputato a confidare incolpevolmente nella veridicità dei fatti narrati dal consulente, essendo mancata, ad avviso del giudicante, una specifica analisi critica ed interpretativa di tali dati, desunti oltretutto dalla sola consultazione del bilancio e senza il confronto con tecnici di parte avversa.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’AAA denunciandone l’illegittimità, con l’unico motivo d’impugnazione sviluppato in ricorso, per violazione di legge (artt 51 c.p. e 125 e 191 c.p.p.) e vizio di motivazione, per avere i giudici di merito ritenuto sussistente una responsabilità del ricorrente per il reato di ingiuria, in base all’errato convincimento che costui, nell’evidenziare i profili di criticità del bilancio del Gruppo Alimentare XXX, sulla scorta di una relazione tecnica, sia pure di parte, richiesta alla dottoressa CCC e segnatamente l’insussistenza di una perdita di L. 355.045.544 funzionale ad una spogliazione del patrimonio sociale, non abbia esercitato un diritto di critica. In particolare in ricorso si sostiene che il tribunale erroneamente ha ritenuto indimostrata la veridicità dei fatti oggetto delle frasi incriminate, avendo, per un verso, valorizzato le dichiarazioni della persona offesa e la circostanza che costui, indagato proprio per le vicende societarie, sarebbe stato assolto, senza considerare che tali dichiarazioni andavano attentamente vagliate in quanto interessate e che la persona offesa BBB era stata prosciolta in grado di appello in quanto il reato era stato dichiarato estinto per non essere il fatto a lui contestato più previsto dalla legge come reato; e sotto altro profilo illogicamente svalutato la deposizione della teste CCC, che pure aveva confermato tutte le circostanze esposte nella propria relazione, nella quale si preconizzava, tra l’altro, l’imminente dissesto della società poi di fatto realizzatosi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato nei termini indicati in prosieguo.
Come dedotto in ricorso, al giudice di rinvio era stato espressamente demandato il compito di stabilire la veridicità anche solo putativa dell’accusa di mala gestio mossa dall’imputato nei confronti della persona offesa, sul presupposto che nel presente giudizio doveva trovare applicazione il principio di diritto secondo cui “il diritto di critica è utilmente esercitato quando il fatto attribuito ad un determinato soggetto e sottoposto a critica sia vero o tale sia incolpevolmente ritenuto”.
Ciò posto, si rivelano rilevanti e pienamente fondate le censure concernenti la mancata verifica probatoria e l’erroneità della motivazione in ordine alla sussistenza di cause di esclusione della responsabilità del ricorrente, rilevanti quantomeno sul piano soggettivo.
La sentenza gravata afferma infatti la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di ingiuria contestato sulla sola base della prova che l’imputato aveva sicuramente pronunciato le frasi riportate nel capo d’imputazione all’indirizzo di BBB, consapevolmente riferite, nel contesto assembleare, per segnalare una presunta illecita sottrazione di denaro.
L’utilizzazione da parte dell’imputato nel suo intervento assembleare, lesivo dell’altrui decoro e onore, di dati che non avevano formato oggetto “di specifica analisi critica ed interpretativa” fornirebbe infatti, secondo il giudice di merito, prova sufficiente ed esaustiva dell’elemento soggettivo del reato, escludendo la sussistenza della “scriminante putativa dell’esercizio del diritto di critica”.
Così motivando il Giudice di pace dimentica tuttavia, che secondo principi consolidati, nei reati contro l’onore la verità del fatto attribuito non è idonea ad eliminare di per sé il carattere offensivo dell’azione solo quando la propalazione di un fatto idoneo a ledere la reputazione altrui sia affatto gratuita, ma che l’offesa non può ritenersi oggettivamente illegittima se le dichiarazioni e il modo con cui sono rese trovino interamente ragione nell’adempimento di un dovere, ovvero nell’esercizio di diritti soggettivi o di facoltà legittime che rendono giuridicamente lecita, a norma dell’art. 51 c.p.p., alla stregua dell’art. 21 Cost., la manifestazione del pensiero, e, dunque, la diffusione della notizia o del fatto che pure sarebbe in astratto lesivo dell’altrui reputazione. Sicché, in tutti i casi in cui la manifestazione del pensiero concerna fatti veri, “l’illegittimità dell’azione resta esclusa quando la facoltà di informazione risulti esercitata per necessità o comunque per ragioni che valgano a legittimarla, come possono essere l’interesse oggettivo alla comunicazione diffamatoria di colui che ne è l’autore e di coloro che ne sono i destinatari”, (tra moltissime: Sez. 5, Sentenza n. 8703 del 19/06/1992, Monelli). Con l’ulteriore conseguenza che in siffatte situazioni l’errore che cada sulla verità del fatto narrato esclude, a norma dell’art 59 c.p., comma 4, l’elemento soggettivo del reato (irrilevante essendo la colpa, poiché il fatto è punito esclusivamente a titolo di dolo). Dovendosi comunque escludere l’elemento soggettivo allorché risulti il dolus bonus dell’agente: la sua unica intenzione cioè di tutelare, con le affermazioni fatte, propri o altrui diritti o interessi (cfr., tra molte, Sentenza n. 5767 del 23/02/1998, Saturni).
Nel caso in esame, una volta positivamente verificato che le dichiarazioni incriminate, pertinenti rispetto ai temi sottoposti al giudizio dei soci della “Gruppo Alimentari XXX s.r.l.”, non costituivano estemporanee elucubrazioni direttamente riferibili all’imputato, riproducendo invece dei dati desunti da una relazione predisposta da un soggetto professionalmente abilitato a valutare, sul piano contabile e giuridico, l’attività degli amministratori di una società di capitali, l’argomento sviluppato dal giudice di rinvio, secondo cui AAA sarebbe comunque colpevole di ingiuria, per aver omesso di verificare l’esistenza di una effettiva corrispondenza tra fatti esposti dal consulente e gli atti societari realmente compiuti dall’amministratore, omette di considerare che una siffatta condotta dimostrerebbe, a tutto concedere, che il convincimento dell’imputato di aver esercitato il proprio diritto di critica allorquando ha letto in assemblea alcuni passaggi della relazione del proprio consulente sarebbe frutto di negligenza o imprudenza, ma ciò non sarebbe ancora sufficiente per affermare la sua responsabilità penale, posto che il reato di ingiuria non è punibile a titolo di colpa.
La sentenza impugnata va quindi annullata per carenza del necessario requisito soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Roma, l’11 marzo 2010.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 16 GIUGNO 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *