Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-05-2011, n. 11597 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con citazione del 18 novembre 2002 Z.A. conveniva dinanzi al tribunale di Torino il direttore del quotidiano S. M. e la Editrice La Stampa spa e ne chiedeva la condanna il solido al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniale ed alla condanna alla riparazione per via pecuniaria, in relazione alla diffamazione avvenuta con la pubblicazione, in data (OMISSIS), su (OMISSIS), di un articolo intitolato "Da Z. a O., venti anni di mazzette subalpine", dove nel contesto dello scritto lo Z. era definito quale "imprenditore senza scrupoli".

Il diffamato sosteneva di aver diritto all’oblio per fatti avvenuti oltre venti anni prima. Si costituivano i convenuti e contestavano il fondamento della domanda, ma successivamente alla citazione (OMISSIS) pubblicava altri due articoli offensivi della reputazione dello Z..

2. Il tribunale di Torino con sentenza del 23 marzo 2004 rigettava la domanda e condannava Z. a rifondere le spese di lite.

3.Contro la decisione proponeva appello l’imprenditore chiedendone la riforma: resistevano le controparti. La Corte di appello di Torino con sentenza del 4 luglio 2005 rigettava l’appello e condannava lo appellante alle spese del grado.

4.Contro la decisione ricorre Z. deducendo tre motivi di censura; resistono le controparti con controricorso e memoria.
Motivi della decisione

5. Il ricorso non merita accoglimento in ordine ai motivi dedotti.

Per chiarezza se ne offre dapprima una sintesi descrittiva e quindi la confutazione in punto di diritto.

5.A. SINTESI DEI MOTIVI. Con il primo motivo si deduce omessa motivazione su punto decisivo in relazione alla censura già mossa in appello relativo al difetto del requisito della continenza nello articolo ritenuto diffamatorio, posto che la ricostruzione storica dei fatti riferiti, circa il nascere ed il consolidarsi della corruzione ventennale, aveva il suo capostipite nel primo grande corruttore, nominato in Z.. Il giornalista avrebbe omesso di precisare che o Z. divenne collaboratore di giustizia, ravvedendosi e che saldò con la reclusione il proprio debito penale, e che la Corte omise di considerare tale motivo di appello.

Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione su punto decisivo relativamente al requisito di pertinenza e la violazione del diritto alla riservatezza ed all’oblio, mentre la ricostruzione fatta dal giornalista era intenzionalmente tendenziosa e lontana dal reale.

Con il terzo motivo si deduce error in iudicando per travisamento e violazione della realtà processuale in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3. Con riferimento alla verbalizzazione del fallimento del tentativo di conciliazione di cui alla udienza del 28 marzo 2005, in assenza dello appellante personalmente e dandosi invece come presente il procuratore della Editrice, che non disponeva di procura speciale.

CONFUTAZIONE IN DIRITTO. I primi due motivi, configurano come vizio della motivazione, un errore giuridico che attiene alla verifica dei requisiti di continenza e di pertinenza, che se esistenti, giustificano il diritto di cronaca e di ricostruzione storica di un clima di corruzione ambientale, mentre se non esistenti o travisati, giustificano il diritto di chi è leso nel proprio onore e nella reputazione a far valere la pretesa risarcitoria. Il difetto dei requisiti rende evidente che la cronaca eccede la soglia della tolleranza, che giustifica la informazione giornalistica, e qualifica come colpevolmente intenzionale la diffamazione a mezzo della stampa.

La formulazione dei motivi tuttavia difetta di specificità in ordine alla censura che doveva attenere allo errore di diritto in relazione ad una fattispecie circostanziata, mentre invece si deduce un errore di logica motivazionale che invece esige la precisa censura delle cesure logiche motivazionali. La Corte di appello in vero ha ampliamente e congruamente motivato a ff. 8 e seguenti, con valutazione analitica, sulla esistenza di detti requisiti e sulla prevalenza delle ragioni della informazione storicizzata in un malcostume locale, di cui, purtroppo, e con successivo ravvedimento, lo Z. afferma di aver diritto all’oblio. Circostanza peraltro contraddetta dallo stesso imprenditore che ebbe a pubblicare un libro autografo dal titolo "Io corruttore", evidenziando invece lo interesse a contribuire alla informazione sulla corruttela diffusa.

Per conseguenza i motivi risultano inammissibili ai sensi dello art. 366 cod. civ., n. 4, nel testo previgente alla novellazione del D.Lgs. n. 40 del 2006, per difetto di specificità e di coerenza dei motivi che deducono erroneamente un error in iudicando come vizio di una motivazione di per sè congrua e completa. Vedi sul punto Cass. 3 aprile 1988 n. 3436 e 8 giugno 1999 n. 5633.

Inammissibile o infondato il terzo motivo che deduce come error in iudicando un error in procedendo in relazione ad un tentativo di conciliazione fallito, ma non riproduce in esteso il verbale redatto e il verbale di udienza, impedendo così la verifica fattuale delle violazioni in relazione alla legittimazioni o presenza delle parti.

Non senza rilevare che in tale circostanza nessuna delle parti ebbe ad eccepire alcuna irritualità.

IN RELAZIONE ALLA peculiarità della causa e delle questioni in esame ritiene la Corte di compensare le spese di questo giudizio di cassazione tra le parti costituiti.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione tra le parti in lite.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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