T.A.R. Calabria Reggio Calabria Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 181 Ordinanze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto del 16 dicembre 1988, i signori R.L. e B.C. acquistavano un suolo sito in agro di Montebello Jonico, in catasto al F. 61, part. 32 e F. 63, partt. 186 e 187, per una superficie complessiva di mq 49.279.

Con successivo atto del 30.11.1989, per notar Autuori, venivano trasferite al sig. Sofia Carmelo le particelle 186 e 187.

I suddetti acquirenti alienavano singole parti del complessivo terreno agli odierni ricorrenti, con atti separati, tutti comunicati al Comune di Montebello Jonico, in uno con i frazionamenti.

I ricorrenti ricevevano così la notifica dell’ordinanza nr. 34/1992 con la quale il Comune, rilevati nella fattispecie gli estremi di una lottizzazione abusiva, adottava le misure sanzionatorie previste e disciplinate dall’art. 18 della legge n. 47/85.

Avverso detta ordinanza, alcuni degli interessati hanno proposto gli odierni ricorsi, affidati ai seguenti, analoghi, motivi:

I) Eccesso di potere per contraddittorietà di comportamenti;

II) Eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti;

III) Violazione dell’art. 18 della legge n. 47/1985;

IV) Eccesso di potere per carenza, insufficienza, contraddittorietà ed erroneità della motivazione, nonché per travisamento dei fatti.

I ricorrenti concludono, anche con successive memorie, per l’accoglimento del gravame.

Il Comune di Montebello Jonico si è costituito in giudizio in tutti i ricorsi ed ha sostenuto con articolate controdeduzioni e successive memorie la piena legittimità del proprio operato.

La causa è stata assunta in decisione nella pubblica udienza del 23 febbraio 2011.

In via preliminare, attesa la loro evidente connessione oggettiva e soggettiva, i ricorsi in esame vanno riuniti.

I ricorsi sono infondati.

Il collegio non ha ragione di discostarsi dalle conclusioni alle quali è già pervenuto il Tribunale, in occasione della trattazione di ricorsi proposti da altri proprietari interessati, avverso il medesimo provvedimento oggetto di quelli attualmente all’esame (v. T.A.R. Reggio Calabria, 30 giugno 2009, n. 448).

Le parti ricorrenti contestano che la vendita del terreno di cui si sono rese acquirenti integri gli estremi della lottizzazione cartolare abusiva.

A tale proposito, espongono che nella fattispecie concreta, non sussisterebbe alcun elemento che "denunci in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio", secondo la formula dell’art. 18 della l. 47/85 (I comma). In ogni caso, si evidenzia come il Sindaco del Comune di Montebello abbia consentito l’edificazione di più fabbricati e la Commissione edilizia comunale si sia espressa favorevolmente in relazione ad altri progetti, tutti localizzati in terreni derivanti dalla vendita dell’originario immobile frazionato. Ciò nonostante che lo strumento urbanistico vigente preveda per le aree di riferimento la destinazione di zona artigianale. In particolare, il PRG prevede la destinazione di zona come "artigianale"; i molteplici frazionamenti prima di essere consegnati all’UTE per l’inserimento in mappa e l’allibramento in catasto sono stati trasmessi al Comune che, vistandoli, ha consentito che, liberamente, legittimamente e legalmente si disponesse dei terreni e delle eventuali opere sopra di essi, mediante atto tra vivi; in virtù della positiva attività comunale. Irrilevante si configurerebbe, dunque, per gli acquirenti dei lotti così frazionati la originaria destinazione d’uso degli stessi, atteso che, ove non fosse da considerarsi legittimo il successivo frazionamento in più lotti del terreno, il Sindaco, ovvero il Comune, non avrebbe dovuto vistare e quindi autorizzare l’inoltro all’UTE dei successivi frazionamenti. Ciò integrerebbe la volontà dell’Ente di consentire la pronta utilizzazione e per scopi diversi da quelli previsti nel PRG dei terreni, con sostanziale variante dello strumento urbanistico, atteso che nessuno dei ricorrenti, peraltro, possiede il requisito di "artigiano" che gli consentirebbe di utilizzare il terreno per gli scopi ammessi dal PRG. In ogni caso, i ricorrenti, anche per effetto del comportamento del Comune, non erano a conoscenza delle vendite precedenti e dunque non erano consapevoli di alcuna lottizzazione.

Nelle proprie difese, il Comune difende la legittimità dell’atto impugnato.

In fatto, la difesa di parte pubblica espone che il suolo dal quale sono stati tratti i frazionamenti tra i quali quello relativo al terreno acquistato da parte ricorrente, rientra nelle previsioni che il PRG del Comune di Montebello Jonico aveva destinato ad accogliere le attività produttive "satelliti" del polo industriale che avrebbe dovuto essere costituito dall’impianto della "L.B. Spa", costruito e mai entrato in funzione. Precisa che il terreno in esame venne scorporato da un più ampio appezzamento proprio dalla società costruttrice dell’impianto.

Per la sua intera estensione, il lotto di terreno (destinato ad attività artigianali) venne acquistato dai sigg.ri B.C. e R.L. per atto del notaio Andreottola di Milano in data 16 dicembre 1988, regolarmente registrato e trascritto.

Questi ultimi frazionarono un primo lotto del terreno, vendendolo a terzi il 27 aprile 1989; una seconda vendita venne eseguita l’8 giugno successivo; le ulteriori (ad opera di entrambi o singolarmente, dopo aver proceduto alla divisione) con cadenze ravvicinate, comprese tra il 25 ottobre 1989 ed il 29 gennaio 1992 (per un totale di undici lotti) ed un terzo soggetto resosi loro acquirente, ossia il sig. Sofia, provvedeva a suddividere il proprio lotto in più frazionamenti oggetto di vendite a terzi in date comprese tra il 5 aprile 1990 ed il 4 dicembre 1991 (per un totale di 4 atti).

Il Comune ricevette tali atti in uno agli altri contratti che attenevano alle numerose e correnti compravendite, senza una concentrazione temporale che consentisse di rendersi conto, prima facie, di essere di fronte ad un fenomeno lottizzatorio, anche in considerazione dell’esiguo numero degli impiegati addetti all’ufficio tecnico (due unità) investiti della numerosa mole di lavoro ordinaria.

In diritto, deduce che l’intento edificatorio connesso alla lottizzazione cartolare si evince, come evidenziato dall’ordinanza impugnata, proprio dalle modalità del frazionamento. Quanto alla pretesa che il comportamento del Comune potesse in qualche modo aver legittimato l’intento edificatorio, la difesa di parte pubblica eccepisce che gli unici lotti edificati sono caratterizzati dal fatto di essere ai margini del comprensorio e vanno ad inserirsi nella fascia già edificata al limite della strada principale (ex SS 106, oggi dismessa); in ogni caso, deduce che gli eventuali ritardi oppure omissioni dell’Autorità comunale non costituiscono in alcun caso giustificazione o autorizzazione delle attività edificatorie o lottizzatorie abusive, specie in relazione alla pretesa variante "occulta" del PRG.

Nel merito delle opposte tesi, il Collegio rileva che, sulla scorta dell’insegnamento della giurisprudenza, l’intento edificatorio connesso alla lottizzazione cartolare, rilevante ai fini e per gli effetti di cui all’art. 18 della legge n. 47/1985 può certamente essere evinto dalle specifiche modalità del frazionamento, sia tecniche che relative al contesto storico in cui avvengono i trasferimenti di proprietà.

E’ stato, infatti, recentemente affermato, con riferimento ad un caso simile e con pronuncia che il collegio condivide, che "perché possa ritenersi sussistente una lottizzazione abusiva cartolare – negoziale, posta in essere mediante il frazionamento planimetrico di un fondo e la conseguente vendita dei lotti da esso risultanti, non è necessario dimostrare l’ esistenza di tutti gli indici rivelatori di cui all’art. 1, l. 28 febbraio 1985 n. 47, ma è sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche da un solo indizio, che indubbiamente è ravvisabile nel caso di vendita frazionata di un vasto appezzamento di terreno in lotti di dimensione ridotta e palesemente incompatibile con una loro valida destinazione agli usi agricoli e trasferiti a soggetti che non presentano le qualità soggettive pertinenti a tale utilizzazione agricola" (C.S., IV, 31 marzo 2009, n. 2004; analogo contenuto in Cassazione penale, sez. III, 06 giugno 2008, n. 27739; cfr. anche T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01 giugno 2007, n. 5068).

Appare opportuno dunque precisare che, come ritenuto dal Tribunale in recente sentenza (T.A.R. Reggio Calabria n. 184 del 29 gennaio 2009), secondo il consolidato e univoco orientamento della giurisprudenza, l’art. 18 della legge n. 47/1985 disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva, la prima c.d. materiale, relativa all’inizio della realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica e edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione. La seconda c.d. formale (o cartolare), che si verifica allorquando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita, o altri atti equiparati, del terreno in lotti, creando così una variazione in senso accrescitivo sia del numero dei lotti che in quello dei soggetti titolari del diritto sul bene. Il bene giuridico protetto dalla predetta norma quindi è non solo la ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, ma anche e soprattutto l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè del Comune), cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito (v., ad es., da ultimo, C.S., IV, 6 novembre 2008, n. 5500)

L’art. 18 della legge n. 47/1985 contempla un sistema normativo nel quale lo scopo di tutela è raggiunto mediante un giudizio demandato all’Autorità procedente (e, in caso di lite, al giudice) circa la esistenza di un "intento" di lottizzazione, ossia di trasformazione del territorio intesa quale suddivisione di un comprensorio di più vaste proporzioni, in una pluralità di appezzamenti più piccoli, denominati "lotti", aventi un loro rilievo ai fini della edificazione di fabbricati, da desumersi sulla base di indizi univoci, che la norma stessa individua in più tipologie di indicatori.

Si tratta di una tutela anticipata rispetto al fenomeno lottizzatorio abusivo vero e proprio, che si concretizza con la materiale edificazione dei lotti, previa loro suddivisione sul terreno: scopo, quindi, che il legislatore persegue è prevenire la "disposizione" giuridica di beni immobili che costituisca l’antecedente della effettiva lottizzazione materiale e tutelare anche la funzione di controllo che il Comune deve esercitare nel governo del territorio.

A questi fini, si deve tenere presente che la attitudine di un lotto al fine edificatorio, deriva, come principale elemento strutturale, dalla sua dimensione, posto che la realizzazione di un edificio, nel contesto urbanistico, presuppone un determinato rapporto tra la superficie e la volumetria che detta superficie può esprimere, ossia ospitare e supportare.

In tal senso, nello schema della norma di cui all’art. 18, il primo indicatore dell’intento di lottizzare è proprio la dimensione del lotto in relazione alla natura del terreno come qualificata dallo strumento urbanistico. Ulteriori elementi sono dati dal numero dei lotti ricavati, che è una conseguenza del primo elemento appena descritto, specie in contesti di più ampie dimensioni, o dalla esistenza o previsione di opere di urbanizzazione (che sono ipotizzabili soprattutto in relazione alla costituzione di strade di collegamento tra i lotti, anche sotto forma di servitù di passaggio e così via).

Nella fattispecie in esame, così come ricostruita dalla difesa comunale, è avvenuto che il lotto d’origine, ad opera dei suoi proprietari, ha conosciuto un sistematico frazionamento per lotti omogenei, racchiuso in un arco temporale significativamente ristretto.

Due sono dunque gli elementi sintomatici dell’intento lottizzatorio nel caso in esame: la dimensione dei lotti ed il contesto temporale.

Iniziando l’analisi della fattispecie da quest’ultimo indicatore, la norma di legge si limita a contemplare il fatto fisico del frazionamento e della vendita dei lotti, ma appare sintomatico, in relazione alla ratio della previsione di tutela, anche il contesto temporale in cui avvengono le vendite, perché, quando quest’ultimo è circoscritto, può concorrere a denotare la univocità del frazionamento.

In tal senso, la contestualità delle diverse operazioni ne rivela una natura unitaria, cioè frutto di un progetto definito: non si deve certamente considerare necessaria una rigorosa contestualità, ossia la vendita contemporanea di tutti i lotti in un unico momento (aspetto questo che consentirebbe facili elusioni), ma,come appunto accade nella fattispecie in esame, è sufficiente un contesto di breve distanza tra i singoli atti, che permetta di considerarli "in serie".

Quanto alla natura dei lotti in relazione al terreno, si osserva che la dimensione dei lotti (compresa tra 1000 e 2000 mq circa) è tale da consentire una edificazione singola per ciascuno di essi, cosa che corrisponde esattamente alla funzione che il singolo acquirente può ottenere dal terreno.

Occorre, a questo proposito, osservare che il PRG del Comune di Montebello è stato adottato con delibera del Consiglio Comunale n. 20 del 6 settembre 1986 ed approvato con D.P. Reg. Cal. del 30 novembre 1994, nr. 1635, e che le zone in cui ricadono i terreni in esame sono inserite nel Piano ASI e destinate ad attività artigianale e piccolo industriale, subordinate ad intervento attuativo con superficie minima di edificazione pari a mq 1000, con indice massimo di copertura pari a 0.50 mc/mq, H max 11,00 ml.. Inoltre, le particelle in esame sono a destinazione industriale secondo il Piano Regolatore Territoriale di cui al D.P.G.R. n. 837 del 29 ottobre1973.

La dimensione dei lotti, dagli atti di causa, appare dunque sostanzialmente conforme alle attuali prescrizioni di Piano, essendo il lotto minimo di 1000 mq l’unica condizione strutturale del terreno che viene prescritta per poter edificare, seppure in conformità alla destinazione di zona.

Quanto a quest’ultima, non appare contrastante con l’intento lottizzatorio la destinazione di zona ad impianti artigianali o piccole industrie,cosa che, al contrario, conferma l’edificabilità attuale dei terreni.

Intanto, come evidenziato dalla difesa del Comune, la previsione della zona ad impianti artigianali e piccolo industriali era giustificata dalla relazione topografica e funzionale del comprensorio con l’impianto della Liquilchimica Spa.

E’ tuttavia fatto notorio (come tale utilizzabile nel processo quale argomento di prova ex art. 115 cpc) che tale impianto non è mai entrato in funzione e non se ne prevedeva, già al tempo delle cessioni dei terreni, alcuna utilizzazione concreta.

Ne derivano due importanti conseguenze, sul piano dello scopo dei frazionamenti, in relazione alla natura dei terreni.

La prima, è quella che sicuramente gli acquirenti potevano aspettarsi una riclassificazione dei suoli, cosa del tutto verosimile attesa la natura dei luoghi (che consente, ancora, una razionale ed efficace pianificazione, considerato che il polo industriale di riferimento non è mai entrato in funzione) e che costituisce un obbligo attuale del Comune (su tale aspetto si tornerà oltre).

La seconda è quella che lo strumento urbanistico attuale, a prescindere da ogni sua eventuale e futura revisione, consente comunque di sfruttare economicamente le volumetrie possibili, per gli usi consentiti, i quali, soprattutto in considerazione della mancata entrata in funzione dell’impianto della Liquilchimica, avrebbero potuto essere resi compatibili anche con usi residenziali (utilizzando tipologie di insediamenti a contenuto misto).

Peraltro, a questo proposito, anche ipotizzando che gli usi consentiti escludano ogni rilievo residenziale, anche solo in parte, non rileva in ogni caso che parte ricorrente non possiede qualifiche di imprenditore o di artigiano, perché l’edificazione del lotto può comunque avvenire in funzione di una sua potenzialità economica che prescinde dalle qualità del soggetto proprietario (il quale può, una volta edificato, affittare l’immobile, destinarlo a fini produttivi in concorso con terzi, avviare una propria attività di impresa e così via).

Inoltre, i terreni in esame sono collocati in una zona che, complessivamente, si presta a venire urbanizzata, in quanto interposta tra un comprensorio abitato e la superstrada costiera (la SS 106), nella quale sussistono anche opere di urbanizzazione generale.

Dunque, la attuale destinazione del piano e la natura dei luoghi consentono tecnicamente la edificazione per singoli lotti, tanto che lo stesso Ente, prima di avvedersi (sia pure sulla scorta di una autonoma azione di indagine penale che, come tale, può certamente legittimare l’avvio dell’azione di controllo amministrativa, a dispetto di alcuni degli argomenti di censura contenuti nei ricorsi) che il fenomeno in essere implicava lottizzazione abusiva, ha rilasciato alcune concessioni edilizie e si era espresso, per il tramite della competente commissione edilizia, favorevolmente su altre, segno evidente, quindi, di una esistente potenzialità edificatoria del comprensorio nel suo complesso.

Quest’ultimo aspetto porta il collegio ad esaminare il principale argomento difensivo di parte ricorrente, secondo il quale il comportamento del Comune che ha ricevuto gli atti di frazionamento senza nulla eccepire, avrebbe acquistato un valore di assenso implicito alle operazioni di vendita così come avvenute, in termini di acquiescenza o, addirittura, di "variante implicita" al PRG.

Tali tesi non trovano la condivisione del Collegio.

Intanto, la figura di variante implicita o tacita o per facta concludentia allo strumento urbanistico è del tutto sconosciuta nell’ordinamento positivo, che, anzi, circonda il procedimento di variante o comunque il procedimento di formazione di qualsiasi strumento urbanistico, generale o particolare, di specifiche e profonde garanzie di forma e pubblicità, che assicurano, se rispettate, una efficace ponderazione degli interessi pubblici e privati connessi alla pianificazione del territorio.

Laddove, in costanza di uno sviluppo legale dell’edificato, la situazione dei luoghi muti contesto rispetto a quella originaria sulla quale si era fissata la qualificazione della zonizzazione compresa nello strumento urbanistico, incombe sull’Ente locale l’obbligo giuridico, coercibile nelle dovute sedi (ad esempio, mediante lo strumento processuale del rito sul silenzio ex art. 21 bis l. 1034/71) di porre in essere una nuova attività di pianificazione.

Qualora la situazione dei luoghi abbia mutato contesto a seguito di fenomeni di grave e reiterato abusivismo, anche in tal caso sussistono gli strumenti pianificatori di legge per dare una corretta sistemazione ai luoghi (i piani di recupero, nell’impianto della legge n. 47/1985, ad esempio e, nella legislazione regionale oggi vigente, i piani contemplati agli artt. da 32 a seguire della LR 19/2002, con particolare riferimento agli artt. 35 – 38)

In tutti i casi, dunque, non è assolutamente configurabile un efficacia legale di modifica implicita dello strumento pianificatorio nell’inerzia del Comune o in suoi inadempimenti agli obblighi di controllo sul territorio.

Giova inoltre osservare che la tesi sulla quale insistono molto le difese di parte ricorrente, secondo la quale il comportamento omissivo o inerte del Comune (che ha ricevuto i frazionamenti ed i relativi atti di vendita senza nulla eccepire) produrrebbe effetti sostanziali di consenso della P.A. o di acquiescenza ad una variazione sostanziale delle destinazioni di Piano, o comunque legittimerebbe la lottizzazione cartolare avvenuta, non solo non ha fondamento o dignità giuridica, ma è prima ancora da considerarsi come radicalmente inaccettabile.

Invero, la violazione degli obblighi di controllo e di intervento che incombono sul Comune in relazione all’invio dei tipi di frazionamento, a mente dell’art. 18, comma 5, della legge n. 47/85 possono produrre, a condizione della sussistenza dei relativi presupposti costitutivi, una situazione di responsabilità civile dell’Ente nei confronti delle parti dei negozi posti in essere, da far valere nelle opportune sedi, specie laddove le parti acquirenti dimostrino di non essere consapevoli della lottizzazione, ma non certamente una presunzione di legittimità o, meno ancora, una approvazione tacita dell’accordo contrattuale e del relativo frazionamento del terreno, posto che la legge contempla il necessario invio dei suddetti atti presso il Comune solo al fine di consentire il controllo da parte di quest’ultimo delle attività immobiliari condotte sul territorio.

Inoltre, la censura proposta, in questi termini, veicola una impostazione concettuale che il collegio non può condividere, perché implica, alle estreme conseguenze, la sostanziale inutilità della programmazione urbanistica a difesa della pretesa all’incondizionata edificazione del territorio (con tutte le conseguenze in termini di abusivismo diffuso che l’esperienza comune del territorio della provincia di Reggio Calabria rende notorie).

Deve quindi respingersi la tesi di parte ricorrente, affermando che la comunicazione dei tipi di frazionamento ex art. 18 della legge n. 47/1985, comma 5, al Comune non implica alcuna attività di autorizzazione da parte di quest’ultimo alla lottizzazione cartolare.

Tuttavia, ancora per completezza di giudizio, il collegio deve evidenziare che il comportamento del Comune, pur non integrando la rilevanza che parte ricorrente vorrebbe riconoscerli, non è certamente esente da critiche: la corretta, ordinata ed efficace pianificazione territoriale è un obbligo giuridico per l’Ente titolare del potere di iniziativa in materia urbanistica: ciò comporta una evidente responsabilità per inadempimento di tale obbligo in capo all’Ente locale che abbandona parti anche rilevanti del proprio territorio in condizioni di inappropriata o mancante pianificazione urbanistica, che possono avere rilievo, se sussistono le condizioni previste in generale dall’art. 2043 cod.civ. quale titolo di responsabilità aquiliana in relazione ai proprietari dei terreni che subiscono l’inerzia pianificatoria nel governo del territorio da parte dell’Ente locale o che, nel silenzio del Comune, si rendono parti acquirenti, in buona fede, di lotti derivanti da una lottizzazione abusiva cartolare.

Nella fattispecie, appare assolutamente ingiustificato che, una volta compiuta la pianificazione generale, come nel caso del PRG di Montebello (adottato nel 1986 ed approvato nel 1994) non si sia provveduto, a distanza di quindici anni, a revisionare la disciplina generale, in quella parte ove, secondo la ricostruzione della difesa comunale, essa era funzionale e finalizzata alla valorizzazione di un impianto di rilevanti proporzioni che però non è mai entrato in funzione.

Tale revisione si sarebbe dovuta effettuare allo scopo di verificare la sussistenza di interessi pubblici ancora attuali a quelle determinate scelte di piano ed, ove ancora sussistenti, a darvi compiuta attuazione con la necessaria (espressamente prevista nel medesimo piano) pianificazione attuativa.

Quest’ultima, infatti, ha, in generale, lo scopo di conferire attualità alla destinazione urbanistica di Piano che fa dei terreni nella zona altrettante aree edificabili: in mancanza di essa, laddove espressamente prevista nel piano come condizione per la realizzazione delle edificazioni, il valore giuridico delle suddette aree è, in sostanza, paralizzato ed i relativi interessi vengono così sacrificati senza possibilità di indennizzo (le destinazioni di zona che consentono l’edificabilità a condizione dell’approvazione di piani esecutivi hanno natura conformativa e non ablatoria).

Come detto prima, ciò non rende comunque l’attività lottizzatoria (anche se solo cartolare) lecita o ammissibile, considerato che i venditori del terreno avrebbero potuto (e dovuto, se intendevano alienare parti del lotto) proporre una lottizzazione convenzionata, per supplire alle deficienze della programmazione e della attuazione di mano pubblica. Tuttavia, dagli atti di causa emerge una generale inerzia dell’Ente pubblico (confermatasi anche in pendenza di giudizio, atteso che il Comune ha subito l’accoglimento della domanda cautelare che ha sospeso gli effetti dell’ordinanza impugnata, ma, in seguito, non ha attivato alcuno dei suoi pur esercitabili poteri di governo del territorio, al fine di dare una compiuta sistemazione agli assetti dell’interesse pubblico in zona) che, sul piano processuale, costituisce evidente motivo di compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

I ricorrenti sostengono, poi, che la lottizzazione abusiva di cui al menzionato art. 18 presuppone che i terreni oggetto del frazionamento avessero necessità di piano di lottizzazione per l’edificazione. Tale necessità, nei fatti, non sussisterebbe, perché esisterebbe già una urbanizzazione di fatto che consentirebbe l’edificazione per singola concessione (una strada che attraversa il lotto, la contiguità alla SS 106, ed altri indicatori).

Anche tale argomento di censura, sebbene non esente da aspetti di rilievo, si rivela, all’approfondito esame del collegio, non condivisibile.

A tacere del rapporto tra l’istituto della lottizzazione abusiva di cui all’art. 18 e la necessità effettiva di una lottizzazione convenzionata per l’edificazione dei suoli, si deve qui richiamare il pacifico insegnamento giurisprudenziale secondo il quale la lottizzazione convenzionata è comunque condizione dell’edificazione (che dunque non potrà avvenire in forza di concessione singola) anche quando esiste una parte di opere di urbanizzazione, ma è comunque ancora possibile conferire alla zona di riferimento una ordinata linea di sviluppo mediante gli strumenti attuativi (da ultimo, cfr. T.A.R. Campania, Salerno, I, 6 aprile 2009, n. 1378; T.A.R. Sicilia, Catania, I, ord. n. 94 del 21 febbraio 2008 e T.A.R. Lazio, II, 17 novembre 2005, n. 11515; cfr. anche T.A.R. Lazio, Latina, I, 29 ottobre 2008, n. 1448; T.A.R. Lazio, II, 22 settembre 2006, n. 9187; T.A.R. Puglia, Lecce, III, 18 gennaio 2005, n. 164; C.S., V, 20 ottobre 2004, n. 6798; C.S., 4 dicembre 2007, n. 6171; T.A.R. Lazio, II, 6 marzo 2007, n. 2195, T.A.R. Campania, IV, 7 luglio 2006, n. 7329).

In tali casi, infatti, il ricorso allo strumento attuativo resta necessario ogni qual volta quest’ultimo ha lo spazio tecnico e la possibilità materiale di dare ordine al comprensorio. Correlativamente può farsene a meno solo quando esiste una urbanizzazione completa della zona, in conformità allo strumento urbanistico.

Quest’ultimo aspetto, a tacere del fatto che avrebbe dovuto essere comprovato da parte ricorrente, è sicuramente da escludere sulla scorta delle planimetrie tecniche in atti: da esse si evince, ad esempio, che la prospicienza del terreno sulla SS 106 è priva di accessi regolari; si evidenziano ampie aree non edificate né suddivise in lotti tra opere interne di urbanizzazione; solo assertivamente si ipotizza, ma non si comprova da parte ricorrente, la esistenza di opere fognarie, idriche, di illuminazione e così via, né si ipotizza in relazione a quale carico urbanistico sarebbero state realizzate.

Da tutte queste considerazioni, dunque, emerge con evidenza sufficiente a rendere inutile un eventuale accertamento tecnico sulle condizioni del lotto, che quest’ultimo non avrebbe comunque potuto essere urbanizzato adeguatamente se non in costanza di un regolare piano di lottizzazione, e, pertanto, la sua inclusione nel novero dei più ampi frazionamenti dell’originario lotto conferma la legittimità dell’ordinanza impugnata.

In relazione a tutto quanto precede, i ricorsi sono infondati e come tali vanno rigettati.

Sussistono i presupposti di legge per compensare le spese di giudizio tra le parti
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li rigetta, previa la loro riunione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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