Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-05-2011, n. 11595 Genitori, tutori, precettori e maestri d’arte

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’iter processuale può così essere ricostruito sulla base della sentenza impugnata.

S.M. e M.A., nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio S.R., convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Velletri l’Istituto Statale Albano, località (OMISSIS), nonchè il Comune di Albano Laziale, per ivi sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti dal minore, a seguito di incidente verificatosi all’interno dell’istituto scolastico suddetto. Esposero che il ragazzo, nel mentre si trovava in aula, era stato colpito da una finestra fuoriuscita dai cardini.

Resistettero l’Ente territoriale e il Ministero della Pubblica Istruzione, quest’ultimo chiedendo e ottenendo di chiamare in garanzia Levante Norditalia s.p.a..

Con sentenza del 1 marzo 2001 il giudice adito, in accoglimento della domanda, condannò entrambi i convenuti, in solido tra loro, al pagamento in favore degli attori della somma di L. 17.171.000, oltre interessi dalla decisione, nonchè la compagnia assicuratrice a manlevare il Ministero nei limiti del massimale di polizza.

Il gravame principale del Ministero e dell’Istituto Statale Albano loc. (OMISSIS) e quello incidentale del Comune di Albano, sono stati respinti dalla Corte d’appello di Roma in data 20 gennaio 2005.

In motivazione ha osservato il giudicante, per quanto qui interessa, che non poteva essere condivisa la censura formulata dal Ministero secondo cui, non essendo stata accertata l’esatta dinamica del sinistro, nessuna colpa poteva essere addebitata all’insegnante, ex art. 2048 cod. civ., per non avere impedito il fatto. E invero, pacifico in causa che questo si era verificato all’interno dell’aula allorchè alcuni ragazzi, tra i quali il S., terminata l’ora di lezione, si erano alzati in piedi ed erano stati per questo redarguiti dall’insegnante e che il S. era caduto a terra a seguito dello scardinamento di un’anta di finestra, che gli era crollata addosso, l’onere probatorio degli attori si era esaurito nella dimostrazione che l’incidente era accaduto nel tempo in cui il minore era affidato alla scuola, essendo ciò sufficiente a rendere operativa la presunzione di colpa di inosservanza dell’obbligo di sorveglianza. In tale contesto, spettava all’amministrazione scolastica la prova liberatoria che sugli allievi era stata esercitata una sorveglianza idonea ad impedire il fatto, prova che, necessaria anche nell’ipotesi in cui sia stato lo stesso discepolo a procurarsi il danno, nella specie non era stata fornita.

Quanto al Comune, lo stesso doveva rispondere dei danni, ex art. 2051 cod. civ., in concorso con il Ministero, considerata anche la limitatezza della res sulla quale andava esercitata la sorveglianza.

Nè poteva avere rilievo la circostanza che, secondo la ricostruzione dei fatti esposta nella relazione redatta dall’insegnante subito dopo l’incidente, l’evento sarebbe stato cagionato dallo stesso allievo che, alzatosi repentinamente da terra, avrebbe urtato contro l’infisso, determinandone lo scardinamento perchè, a prescindere dal rilievo che tale versione non aveva trovato riscontro nell’istruttoria espletata, essa semmai avvalorava l’assunto di una cattiva manutenzione della struttura.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e, per quanto possa occorrere, l’Istituto Comprensivo Statale Albano, ex Scuola Media Statale (OMISSIS), formulando tre motivi e notificando l’atto a S.M., ad M.A., a S.R., al Comune di Albano Laziale, nonchè a Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a..

Resiste con controricorso il Comune di Albano Laziale, che propone altresì ricorso incidentale affidato a due motivi.

A entrambi i ricorsi, principale e incidentale, resiste con due distinti controricorsi Carige Assicurazioni s.p.a. (già Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a.).
Motivi della decisione

1. Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti dall’Avvocatura Generale dello Stato e dal Comune di Albano Laziale, avverso la stessa sentenza.

Il ricorso principale.

1.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., artt. 2043 e 2055 cod. civ., artt. 40 e 41 cod. pen., nonchè omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3 e 5.

Deduce che nell’atto di gravame aveva segnatamente opposto l’assoluta mancanza di prova in ordine alla efficienza causale, nella determinazione dell’evento lesivo, della condotta, in tesi negligente, dell’insegnante, non essendo emerso, dall’istruttoria espletata, che l’anta si era scardinata perchè il ragazzo vi aveva sbattuto contro. In tale contesto non aveva la Corte territoriale chiarito, omettendo di rispondere a una delle questioni poste con l’atto di appello, per quale ragione, riconosciuta la responsabilità del Comune, l’incidente doveva ritenersi casualmente riconducibile anche alla presunta condotta negligente dell’insegnante.

Segnatamente, non poteva pervenirsi all’affermazione di responsabilità del Ministero sulla base della pura e semplice constatazione che il S. era rimasto vittima del sinistro nel tempo in cui era affidato alla scuola, ma era necessario dimostrare che il presunto, mancato assolvimento dell’obbligo di vigilanza gravante sul docente aveva contribuito in modo determinante al suo verificarsi. E una siffatta conclusione era da escludersi, considerato che dagli atti di causa risultava soltanto l’improvviso distacco dell’infisso abbattutosi sul ragazzo, distacco che era certamente causa sopravvenuta sufficiente da sola a determinare l’evento, ex art. 41 cod. pen., mentre nessuna prova era stata fornita che l’eziologia dell’urto andasse ravvisata nel mancata sorveglianza dei ragazzi durante il lasso di tempo occorrente per consentire l’avvicendamento dei docenti.

1.2 Col secondo mezzo la difesa erariale lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., artt. 2043 e 2697 cod. civ., nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3, 4 e 5. Deduce che già nell’atto di gravame aveva specificamente segnalato che la domanda andava respinta, in quanto fondata esclusivamente sul disposto dell’art. 2048 cod. civ., erroneamente ritenuto applicabile non solo nell’ipotesi di danno cagionato dal minore a terzi, ma anche in quella di danno sofferto dal minore medesimo, durante il tempo in cui lo stesso era affidato all’insegnante.

L’affermazione della Corte territoriale – secondo cui la prova liberatoria consistente nella dimostrazione che il docente aveva adottato tutte le misure disciplinari e organizzative idonee ad evitare l’insorgere della situazione di pericolo, deve essere data in ogni caso – finiva, in sostanza, per porre sull’amministrazione scolastica il medesimo onere probatorio sia che il minore avesse cagionato il danno a terzi, sia che fosse egli stesso rimasto vittima di un incidente. Ma tale assunto era in radicale contrasto con gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità che, a partire dal noto arresto delle sezioni unite n. 9346 del 2002, è ferma nel limitare l’ambito applicativo dell’art. 2048 cod. civ., alla prima ipotesi soltanto (confr. Cass. n. 15321 del 2003; Cass. n. 11543 del 2003), di talchè la Corte d’appello aveva d’ufficio mutato il titolo della pretesa, da responsabilità extracontrattuale a responsabilità contrattuale.

1.3 Col terzo motivo l’impugnante deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2043 cod. civ., nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3 e 5, segnatamente contestando l’assunto del giudice di merito secondo cui nessuna prova liberatoria era stata nella fattispecie raggiunta. Così argomentando, la Corte territoriale aveva fatto malgoverno del materiale istruttorio acquisito, dal quale inconfutabilmente emergeva che, al momento del sinistro, l’insegnante era sicuramente presente in aula e che, poco prima dell’incidente, aveva redarguito proprio il S., invitandolo a stare seduto. In ogni caso la scelta decisoria adottata era gravemente carente sul piano motivazionale.

2. Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate. Anzitutto l’assunto che gli attori avessero prospettato la responsabilità dell’Istituto esclusivamente ai sensi dell’art. 2048 cod. civ., e non già in base alle norme sulla responsabilità contrattuale, è carente sotto il profilo dell’autosufficienza. E invero, per giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, perchè tale requisito, richiesto anche con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, possa ritenersi integrato – siano in gioco atti processuali, oppure documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, di carenze motivazionali, ovvero ancora di un error in procedendo, ex art. 360 cod. proc. civ. – è necessario che il contenuto dell’atto processuale o della prova orale o documentale sia riprodotto nel ricorso, con la specifica indicazione, altresì, del punto in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità, essi siano rinvenibili (confr. Cass. civ., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. civ. 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239).

Nella fattispecie, venendo in rilievo la formulazione della domanda, e segnatamente dell’editio actionis, in quella componente essenziale che è la causa petendi della pretesa azionata, l’impugnante avrebbe dovuto tout court riportare il contenuto sensibile dell’atto introduttivo del giudizio, si da porre il giudice di legittimità in grado di apprezzare immediatamente, senza il ricorso a indagini integrative, il fondamento della prospettata doglianza.

3. Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che il postulato di fondo della doglianza dei ricorrenti – la enucleazione nell’atto introduttivo della responsabilità del Ministero in termini di illecito aquiliano, laddove, secondo la giurisprudenza del Supremo Collegio, l’art. 2048 cod. civ., comma 2, si riferisce al solo danno cagionato dal fatto illecito dell’allievo, del quale genitori, tutori, precettori e maestri d’arte sono chiamati a rispondere in via di propagazione, presumendosi una loro culpa in educando o in vigilando (confr. Cass. civ. sez. un. 27 giugno 2002, n. 9346) – è la convinzione di un alleggerimento degli oneri probatori gravanti sugli attori in responsabilità (e di uno speculare aggravamento di quelli incombenti sui convenuti), in caso di mancata evocazione dei vincoli negoziali nascenti dall’accoglimento della domanda di iscrizione e dalla conseguente ammissione dell’alunno nella struttura scolastica.

Sennonchè, a ben vedere, nelle controversie instaurate nei confronti dell’istituto e dell’insegnante per il risarcimento del danno da autolesione del discepolo, la disciplina dettata dall’art. 1218 cod. civ. – per come intesa dal diritto vivente (confr. Cass. civ. 9346/2002 cit.) – null’altro esige dall’attore che la prova che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre onera la controparte di dimostrare che l’evento pregiudizievole è stato determinato da causa non imputabile nè alla scuola nè all’insegnante.

Ne consegue che, contrariamente a quanto presupposto dall’Avvocatura, il regime probatorio imposto dall’art. 2048 cod. civ., di non aver potuto impedire il fatto, è semmai meno esteso di quello gravante sulla parte che, obbligata a vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, deve allegare e dimostrare l’eziologia, estranea all’area degli eventi da essa dominabili, del fatto lesivo. Ma, se così è, uno scrutinio parametrato sulla disciplina della responsabilità contrattuale (come quello, in tesi, officiosamente condotto dal giudice di merito), può risultare ancor più radicale e severo dello scrutinio effettuato secondo gli schemi della responsabilità aquiliana.

3.1 Non è superfluo poi evidenziare che nella sentenza impugnata, a parte i richiami all’art. 2048 cod. civ., contenuti nella parte dedicata alla esposizione delle argomentazioni critiche dell’appellante, manca l’esplicitazione delle fattispecie ipotetiche nelle quali il giudice di merito ha inquadrato il caso sottoposto al suo esame, avendo il decidente privilegiato un approccio pragmatico ove, nel silenzio sui referenti normativi considerati rilevanti ai fini della decisione, il negativo apprezzamento sull’esito della prova liberatoria congloba e assorbe quello relativo alla adozione di misure disciplinari e organizzative idonee ad evitare l’insorgere della situazione di pericolo e quindi della stessa eziologia dei lamentati danni.

E allora, a fronte di un apparato motivazionale che, senza prendere posizione sulla natura giuridica della responsabilità della convenuta Amministrazione, è tuttavia idoneo a sorreggere il positivo convincimento della sua sussistenza sotto qualsivoglia profilo, è nulla più che una vuota disquisizione dialettica indagare quale inquadramento dogmatico abbia dato il decidente alla vicenda dedotta in giudizio: se quello extracontrattuale, pretesamente allegato dalla parte, o quello contrattuale che, ancorchè corretto, sarebbe frutto di un mutamento della causa petendi inammissibilmente attuato d’ufficio dal giudice.

3.2 In tale contesto le possibilità di successo dell’impugnazione proposta restano affidate esclusivamente alla congruità dell’apparato motivazionale col quale la Corte d’appello ha giustificato la scelta decisoria adottata, oggetto, segnatamente, del terzo motivo di ricorso. Ma le critiche ivi svolte si risolvono in una sollecitazione alla rivalutazione dei fatti e degli esiti della espletata istruttoria preclusa in sede di legittimità. Sta di fatto, invero, che il giudice di merito ha valutato negativamente la prova offerta dalla struttura in punto di insussistenza dei presupposti per l’affermazione della sua responsabilità e di tale valutazione, congruente rispetto alla piattaforma fattuale di riferimento, e intrinsecamente plausibile, ha offerto ampia ed esaustiva motivazione.

4 Deve invece essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del Comune.

E invero l’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti di S.R. – litisconsorte necessario, in quanto soggetto infortunato che, minore all’epoca dei fatti e della proposizione del giudizio, agì a mezzo dei suoi genitori e fu dunque fin dall’inizio parte in senso sostanziale della pretesa azionata – è rimasto inadempiuto. Ma è giurisprudenza costante di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, che l’inadempimento anche solo parziale all’ordine di integrazione determina l’inammissibilità dell’impugnazione (confr. Cass. civ. 5 maggio 2010, n. 10863; Cass. civ. 26 novembre 2008, n. 28223).

Non è superfluo precisare che l’inammissibilità si produce anche nei confronti dei litisconsorti ai quali il ricorso sia stato tempestivamente notificato, dovendo la decisione essere emessa nei confronti di tutte le parti interessate confr. Cass. civ. 20 luglio 2004, n. 13434).

5. Conclusivamente, mentre il ricorso principale deve essere rigettato, quello incidentale va dichiarato inammissibile. L’esito complessivo del giudizio consiglia di compensarne integralmente le spese tra le parti.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *