CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE – 18 giugno 2010, n. 23428. In materia di confisca del veicolo.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del procedimento

1) Il decreto di sequestro preventivo

Il 14 marzo 2009 la polizia giudiziaria, riscontrati sintomi di ebbrezza del conducente di un veicolo che aveva provocato un incidente stradale, invitava lo stesso, identificato in C. Federico, a sottoporsi all’alcoltest, ricevendone un rifiuto.

La polizia, accertata la violazione dell’art. 186 C.d.S., comma 7, provvedeva al sequestro del veicolo con riferimento al pericolo della dispersione della prova dello stesso reato.

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone in data 17 marzo 2009 convalidava il sequestro eseguito dalla polizia giudiziaria e disponeva la misura cautelare reale non più in base all’art. 321 c.p.p., comma 1, ma al comma 2 di tale articolo, essendo il sequestro preordinato alla confisca obbligatoria del veicolo, anche se a titolo di sanzione amministrativa accessoria, in caso di condanna dell’indagato per il reato contestato, dal momento che tanto era disposto dall’art. 186 C.d.S., comma 7, a seguito delle modifiche a tale disposizione apportate dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, così come convertito nella L. 24 luglio 2008, n. 125.

2) Il procedimento di riesame ed il provvedimento impugnato

Su istanza di riesame del C., il Tribunale di Pordenone, con ordinanza emessa il 9 aprile 2009, annullava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP e disponeva la restituzione dell’oggetto in sequestro all’avente diritto. Sosteneva il Tribunale che effettivamente il più volte citato art. 186 C.d.S., al comma 7, prevedeva la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo in caso di condanna per il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest, sanzione diversa da quella di sicura natura penale disposta dal comma 2, lett. c), dello stesso articolo in caso di condanna per la più grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

Il richiamo del comma 2, contenuto nel settimo non sarebbe, secondo il Tribunale, sufficiente a contraddire tali conclusioni, dal momento che esso è limitato alle modalità e procedure previste per la confisca contemplata per la guida in stato di ebbrezza.

Infine il Tribunale riteneva che la natura di sanzione amministrativa accessoria della confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, impedisse il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2, poiché siffatta cautela reale sarebbe chiaramente riferita alle sole ipotesi di confisca penale e cioè di confisca avente natura di misura di sicurezza.

3) Il ricorso per cassazione del Procuratore della Repubblica

Con il ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Pordenone contestava la qualificazione giuridica operata dai giudici del riesame della confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, come sanzione amministrativa accessoria e ne affermava la natura intrinsecamente penale di misura patrimoniale sanzionatoria, come dimostrato dal rinvio alle modalità ed alle procedure della confisca prevista dal citato art. 186 C.d.S., comma 2, sanzione prevista anche, come già rilevato, per la più grave ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

Il ricorrente chiedeva, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata, essendo legittimo in tale prospettiva il ricorso alla disposizione di cui all’art. 321 c.p.p., comma 2.

3) L’ordinanza di rimessione e la questione giuridica controversa

Con ordinanza del 27 ottobre 2009 (Cass., Sez. IV penale, 27 ottobre – 19 novembre 2009, n. 44640, Caligo) la quarta Sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite Penali.

In effetti l’ordinanza di rimessione ha dato atto che non è ravvisabile un contrasto di giurisprudenza perchè, nell’unica occasione in cui fino ad ora la Corte si è occupata ex professo della questione, la stessa è stata risolta affermando la natura penale e non amministrativa della confisca disposta ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 2, (Cass., Sez. IV penale, 13 maggio 2009, n. 21499, PM in processo Benitez Gonzales).

La sentenza Benitez era pervenuta a tali conclusioni essenzialmente valorizzando il rinvio operato dall’art. 186 C.d.S., comma 7 – rifiuto di sottoporsi all’alcoltest – alle modalità e procedure di applicazione della confisca prevista dal citato art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), a seguito di condanna per l’ipotesi più grave di guida in stato di ebbrezza.

I giudici rimettenti si sono dichiarati in disaccordo con tali conclusioni ed hanno rilevato un potenziale contrasto interpretativo sulla natura della misura ablativa contemplata nell’art. 186 C.d.S., comma 7, ed hanno rimesso, come detto, la questione alle Sezioni Unite Penali.

Essi hanno, in particolare, osservato che il tenore letterale del comma 7, imponeva di ritenere che quella introdotta nel 2008 fosse, invece, una sanzione amministrativa accessoria, dal momento che la disposizione in questione prevede che la condanna per il rifiuto dell’accertamento alcolimetrico comporti la sanzione amministrativa accessoria “della” sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e “della” confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. C).

Proprio l’utilizzo della preposizione della dinanzi sia alla sospensione della patente che alla confisca in correlazione in entrambi i casi con l’espressione sanzione amministrativa, infatti, dimostrerebbe che il legislatore abbia voluto introdurre una misura ablativa di natura amministrativa.

Ciò risulterebbe confermato anche dal fatto che mentre l’art. 186 C.d.S., comma 2, dispone la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato di guida in stato di ebbrezza ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2, il comma 7, non contiene il richiamo della norma del codice penale.

Il richiamo contenuto nel comma 7, sarebbe, poi, limitato alle sole modalità e procedure di esecuzione della confisca previste dal comma 2, e non sarebbe, quindi, in grado di influire sulla qualificazione giuridica della misura.

Infine, secondo i giudici rimettenti, non sarebbe affatto irragionevole avere previsto due misure ablative di natura diversa, dal momento che la guida in stato di ebbrezza si caratterizza per una condotta commissiva, mentre il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest per un comportamento meramente omissivo.

Il Presidente Aggiunto, con decreto in data 1 dicembre 2009, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone la trattazione all’odierna udienza.

Le Sezioni Unite Penali debbono, pertanto, stabilire se la confisca del veicolo prevista dal Codice della Strada nel caso di condanna per il reato di rifiuto di sottoposizione all’accertamento del tasso alcolemico abbia natura di misura di sicurezza o di sanzione amministrativa accessoria.

B) Motivi della decisione

4) La normativa vigente in materia

Per risolvere la questione giuridica sottoposta al giudizio delle Sezioni Unite Penali appare necessario richiamare le più recenti modifiche normative introdotte dal legislatore alla ricerca di strumenti efficaci per contrastare il fenomeno del così detto drive drinking; l’esame del tormentato iter legislativo, infatti, consente di interpretare correttamente le norme attualmente in vigore.

L’art. 186 C.d.S., secondo la formulazione voluta dalla L. 1 agosto 2003, n. 214, sanciva il divieto di guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche e puniva tale violazione, che si verificava quando il tasso alcolemico era superiore a 0,5 grammi per litro, con l’arresto e l’ammenda, oltre che con le sanzioni amministrative accessorie della sospensione e della revoca della patente di guida.

L’art. 186 C.d.S., comma 7, prevedeva la contravvenzione di rifiuto dell’accertamento alcolimetrico punita con le stesse pene stabilite per la guida in stato di ebbrezza alcolica.

Il D.L. 3 agosto 2007, n. 117, entrato in vigore il giorno dopo, modificava l’art. 186 C.d.S., diversificando le sanzioni in base alla gravità della violazione, fermi restando i trattamenti sanzionatoli più severi riservati ai titolari di patente professionale ovvero ai titolari di patente di categoria B) recidivi nel biennio ed alle ipotesi di causazione di incidente stradale.

Ebbene la norma prevedeva tre ipotesi di reato autonome (così ex multis Cass., Sez. IV, 29 gennaio 2009, n. 7305, Carosiello, rv, 242869) a seconda del tasso alcolemico riscontrato (superiore a 0,5 grammi per litro, superiore a 0,8 grammi per litro e superiore a 1,5 grammi per litro) con pene dell’arresto e dell’ammenda più gravi per le violazioni di seconda e terza fascia e con la sanzione della sospensione della patente di guida.

Senonché la Legge di Conversione del 2 ottobre 2007 n. 160 modificava il trattamento sanzionatorio delle contravvenzioni di seconda e terza fascia, sopprimendo la possibilità di sostituire la pena, a richiesta dell’imputato, con l’obbligo di svolgere una attività sociale presso strutture sanitarie traumatologiche pubbliche, che il decreto legge aveva, invece, previsto, ed eliminava per la ipotesi di contravvenzione più lieve la previsione dell’arresto.

Il D.L. n. 117 del 2007, introduceva una ulteriore rilevante novità perché trasformava la contravvenzione di rifiuto dell’accertamento alcolimetrico prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, in un illecito amministrativo punito con una sanzione pecuniaria e con le sanzioni amministrative accessorie della sospensione della patente di guida e del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di centottanta giorni.

La nuova normativa non fu ritenuta efficace per contrastare il fenomeno del drive drinking principalmente perché il conducente del veicolo poteva vantare un interesse a rifiutare di sottoporsi ai test alcolimetrici, accettando l’irrogazione della sanzione amministrativa nella consapevolezza che senza la misurazione strumentale egli poteva essere, tutto al più, riconosciuto colpevole della meno grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

Cosicché il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, ha provveduto ad un inasprimento delle pene detentive per gli illeciti di seconda e terza fascia previsti dall’art. 186 C.d.S., comma 2, ed ha introdotto una disposizione, in virtù della quale con la sentenza di condanna o di patteggiamento per la ipotesi di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), – l’ipotesi più grave di guida in stato di ebbrezza – è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2.

Si tratta di una disposizione inedita giustamente ritenuta particolarmente efficace nel contrasto al fenomeno della guida in stato di ebbrezza perché, accanto alla previsione delle pene tradizionali, spesso in concreto non eseguite per effetto della sospensione condizionale della pena inflitta e ritenute, quindi, di non grande efficacia, è stata prevista, come sanzione accessoria, l’ablazione del veicolo utilizzato per commettere il reato in ipotesi di condanna o patteggiamento della pena, anche in caso di sospensione condizionale della pena principale.

Con il menzionato D.L. n. 92 del 2008, il legislatore, resosi evidentemente conto della scarsa efficacia del sistema sanzionatorio complessivamente previsto per arginare il grave fenomeno del drive drinking, ripristinava la sanzione penale per il rifiuto degli accertamenti alcolimetrici e parificava nella risposta sanzionatoria il rifiuto dei test alla ipotesi più grave della violazione del divieto di guidare in stato di ebbrezza, ovvero quella prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c).

Il legislatore prevedeva altresì la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.

È del tutto evidente che con tale previsione il legislatore mutava completamente strategia perché ora il conducente aveva tutto l’interesse a sottoporsi ai test alcolimetrici perché in caso di rifiuto si sarebbe visto applicare una sanzione pari alla più grave sanzione penale prevista dall’art. 186 C.d.S., lett. c), mentre con i test si sarebbe potuta dimostrare la presenza di un tasso alcolemico inferiore a 1,5 grammi per litro, con conseguente irrogazione di sanzioni penali più lievi.

È proprio con la L. n. 125 del 2008, di conversione del D.L. n. 92 del 2008, che veniva introdotta la disposizione di interesse nel presente procedimento.

Il legislatore stabiliva, infatti, che anche in caso di rifiuto degli accertamenti alcolimetrici dovesse essere disposta la confisca del veicolo con le stesse procedure e modalità previste per la fattispecie più grave di guida in stato di ebbrezza.

La innovazione legislativa si deve ad un emendamento presentato nel corso della prima lettura al Senato.

A conclusione del lungo e complesso iter legislativo l’art. 186 C.d.S., comma 7, attualmente vigente, che punisce il rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici, risulta, pertanto, formulato nel modo seguente: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lett. c) (la ipotesi più grave della guida in stato di ebbrezza). La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”.

Alcune considerazioni si impongono immediatamente.

Come si è già notato il legislatore, dopo alcune incertezze, è approdato ad una completa parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, del rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici alla più grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

Ciò allo scopo evidente di rendere più efficace il sistema sanzionatorio e principalmente di impedire che il conducente, sottraendosi all’alcoltest, potesse evitare le sanzioni più gravi previste per la guida in stato di ebbrezza.

La seconda considerazione concerne la importanza, riconosciuta dal legislatore, nella strategia del contrasto al fenomeno del drive drinking, di sanzioni diverse da quelle tradizionali dell’arresto e/o dell’ammenda, spesso rese inefficaci dalla sospensione condizionale della pena o dall’accesso a sanzioni alternative.

La sospensione della patente di guida, ed ancora di più la confisca obbligatoria del veicolo prevista in caso di condanna, anche se condizionalmente sospesa, per i reati di cui all’art. 186 C.d.S., commi 7 e 2, lett. c), costituiscono, sotto il profilo general – preventivo, dei deterrenti assai efficaci e si iscrivono nella condivisibile filosofia di individuare sanzioni alternative, o, come nel caso di specie, accessorie, specifiche e strettamente connesse al reato da perseguire ed al fenomeno da contrastare.

5) La natura della sanzione della confisca; la previsione dell’art. 186 C.d.S., comma 2

L’esame puntuale della situazione legislativa consente di risolvere la questione della natura giuridica della sanzione della confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, e, quindi, di superare il potenziale contrasto di giurisprudenza segnalato dalla ordinanza rimettente.

La interpretazione letterale delle norme e la ratio legis consentono, infatti, di delineare con precisione i contorni dell’istituto della confisca disciplinato dall’art. 186 C.d.S., e di ritenere in primo luogo la natura penale della confisca prevista dal predetto art. 186 C.d.S., comma 2, e, conseguentemente, di attribuire identica natura alla confisca prevista dal comma 7, di tale articolo per la completa parificazione del trattamento sanzionatorio tra l’ipotesi più grave della guida in stato di ebbrezza ed il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest che il legislatore ha voluto stabilire.

Della natura penale della confisca dell’autoveicolo disposta dall’art. 186 C.d.S., comma 2, in verità, la giurisprudenza (vedi, tra le altre, Cass., Sez. IV, 11 febbraio – 30 marzo 2009, n. 13831, Fumagalli, n. 242749, che sembra orientata a ritenerla una sanzione penale accessoria e Cass., Sez. IV, 27 gennaio – 5 marzo 2009, n. 9986, PG in proc. Fave rv. 243297, che la ha ritenuta, invece, una misura di sicurezza patrimoniale) e la dottrina non hanno mai dubitato.

La norma in questione stabilisce, come si è già notato, che con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2.

La natura penale della confisca risulta evidente non solo per la espressione letterale usata, non essendo stata essa qualificata esplicitamente dal legislatore come amministrativa, ma anche perché il riferimento all’art. 240 c.p., che disciplina in generale le ipotesi di confisca penale, non consente dubbi in proposito.

Del resto bisogna ricordare che nessuna disposizione del codice della strada configura le condotte di guida in stato di ebbrezza o di rifiuto degli accertamenti alcolimetrici anche come illeciti amministrativi; le uniche sanzioni previste per tali condotte risultano quelle penali contenute nei commi secondo e settimo dell’art. 186 C.d.S.

Pertanto ove mai si dovesse considerare la confisca da tali disposizione prevista come amministrativa, fatto che, come detto, per la violazione di cui al comma 2, risulterebbe in modo chiaro esclusa anche dalla lettera della norma, si assisterebbe alla peculiare situazione per cui la confisca amministrativa non accederebbe, come accade di norma, ad una sanzione amministrativa principale, ma ad una sanzione penale.

La sua applicazione da parte del giudice penale, quindi, avverrebbe non già in seguito alla connessione tra illecito penale ed illecito amministrativo (fattispecie disciplinata dalla L. n. 689 del 1981, artt. 20 e 24, e, per le violazioni al codice della strada, dall’art. 221 del medesimo), ma in quanto sanzioni amministrative accessorie a reati per espressa previsione legislativa, cosa certamente possibile, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (SS.UU. 27 maggio – 21 luglio 1998, n. 8488, Bosio, rv. 210981 con riferimento alle sanzioni amministrative interdittive della sospensione e della revoca della patente), ma non certamente usuale.

Un primo argomento di ordine letterale milita a favore della qualifica della confisca di cui si discute come sanzione penale vera e propria e conferma il consolidato orientamento segnalato.

L’art. 186 C.d.S., comma 2, infatti, stabilisce che la confisca debba essere disposta in caso di condanna e/o di sentenza ex art. 444 c.p.p., anche in caso di sospensione condizionale della pena.

Si tratta di una disposizione che deroga esplicitamente a quella prevista dall’art. 166 c.p., comma 1, secondo il quale la sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie.

In effetti, se si fosse trattato di una misura di sicurezza patrimoniale, non vi sarebbe stato bisogno di una tale previsione perché la sospensione condizionale della pena non si estende alle misure di sicurezza mancando una tale generale disposizione.

Ciò è ancora più vero quando si tratti di una misura di sicurezza patrimoniale obbligatoria, quale è quella di cui all’art. 240 c.p., comma 2, la cui applicazione può prescindere anche da una pronuncia di condanna (vedi SS.UU. 22 gennaio – 26 aprile 1983, n. 1983), come si desume dal fatto che il presupposto della condanna è richiesto soltanto per le ipotesi di confisca facoltativa di cui all’art. 240 c.p., comma 1.

L’inciso contenuto nell’art. 186 C.d.S., comma 2, dimostra, quindi, chiaramente che la confisca da tale norma prevista sia stata considerata come una vera e propria sanzione penale accessoria alla inflizione della pena principale.

Il senso del richiamo all’art. 240 c.p., comma 2, contenuto nella disposizione in esame, in effetti, è soltanto quello di rimarcare la obbligatorietà della confisca del veicolo quando venga pronunciata sentenza di condanna o di patteggiamento per la ipotesi più grave di guida in stato di ebbrezza, come è stato sottolineato dalla giurisprudenza (vedi, tra le altre, Cass., Sez. IV 11 febbraio – 30 marzo 2009, n. 13831, Fumagalli, già citata; Cass., Sez. IV 27 marzo – 5 maggio 2009, n. 18517, Parodo, rv. 243997 e Cass., Sez. IV, 29 ottobre – 1 dicembre 2009, n. 45935, Nieto).

Ciò perché di sicuro il legislatore attraverso tale riferimento non ha inteso affermare che il caso di confisca previsto dall’art. 186 C.d.S., comma 2, rientri tra quelli contemplati dall’art. 240 c.p., comma 2, dal momento che il veicolo alla guida del quale il conducente è sorpreso in stato di ebbrezza alcolica non è riconducibile ad alcuna delle categorie di beni individuate da tale disposizione, ovvero le cose che costituiscono il prezzo del reato e quelle intrinsecamente pericolose, il cui uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato.

Tutto al più il veicolo con il quale sia stata commessa la contravvenzione di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, di guida di autoveicolo in stato di ebbrezza potrebbe rientrare tra le cose indicate dall’art. 240 c.p., comma 1, ovvero tra quelle che servirono a commettere il reato, essendo così soggetto, in assenza della specifica disposizione di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, a confisca facoltativa.

Risulta allora chiaro che il richiamo all’art. 240 c.p., comma 2, operato dall’art. 186 C.d.S., comma 2, sia stato effettuato esclusivamente per affermare la natura obbligatoria della sanzione della confisca del veicolo da tale norma prevista e non per qualificare tale sanzione come una misura di sicurezza patrimoniale in senso tecnico.

Ma un’altra considerazione si impone.

Le sanzioni amministrative accessorie, a differenza di quelle, per così dire, principali, che assumono una funzione essenzialmente punitiva del contravventore, assolvono direttamente o indirettamente una funzione riparatoria dell’interesse pubblico violato, e sono definite, perciò, specifiche, ovvero riparatorie, oppure una funzione di prevenzione specifica, quando si tratti di fatti particolarmente pericolosi per la convivenza sociale (vedi SS.UU., 27 maggio – 21 luglio, Bosio, già citata).

La sanzione penale assolve, invece, ad una funzione essenzialmente punitiva e di prevenzione generale.

Ebbene, se si pone mente al tormentato percorso legislativo dinanzi delineato teso alla ricerca degli strumenti più efficaci ed adeguati a contenere il fenomeno del drive drinking, non si può non rilevare che risulta particolarmente evidente la funzione affittiva assegnata dal legislatore alla confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., dovendosi tenere conto della complessiva strutturazione dell’istituto e della prevalente finalità della sanzione più che delle espressioni utilizzate.

Le conclusioni raggiunte appaiono del resto in linea con la più recente elaborazione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo (vedi CEDU, 16 dicembre 2008, Sud Fondi + 2 contro Italia).

In effetti già la giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva messo in evidenza che la previsione della obbligatorietà della confisca per un sempre più rilevante numero di reati (vedi ad esempio l’art. 322 ter c.p., inserito con la L. 29 settembre 2000, n. 300, art. 3, che ha stabilito la confisca obbligatoria del profitto e del prezzo dei reati contro la Pubblica Amministrazione) avesse comportato una accentuazione sia della finalità general – preventiva sia di quella sanzionatoria della confisca (così SS.UU., 25 ottobre 2007, Miragliotta e SS.UU., 27 marzo 2008, Fisia ed altri).

6) La confisca di cui all’art. 186 C.d.S., comma 7

Deve essere ora esaminato più specificamente l’art. 186 C.d.S., comma 7, che disciplina la ipotesi del rifiuto dell’alcoltest. Si è già detto che il legislatore, al fine di meglio contrastare il fenomeno del drive drinking, ha parificato, sotto il profilo sanzionatorio, anche con riferimento alle sanzioni accessorie, tale contravvenzione a quella prevista per la più grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza; ciò allo specifico fine di rendere più diffusi i controlli alcolimetrici ed evitare che il conducente potesse avere interesse a rifiutare il controllo.

È con la L. n. 125 del 2008, di conversione del D.L. n. 92 del 2008, che viene completata, come si è già notato, la parificazione completa dei sistemi sanzionatoti previsti dall’art. 186 C.d.S., commi 2 e 7, con la introduzione, per mezzo di un emendamento, dell’inciso “e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c) …”.

L’emendamento venne così illustrato in aula da uno dei proponenti: “… Poiché è stato ripristinato il reato di chi rifiuta di sottoporsi all’accertamento del tasso alcolemico – in precedenza, come già rilevato, era stato depenalizzato -, esso – emendamento – mira ad estendere anche a tale fattispecie la sanzione della confisca del veicolo …”.

Anche a voler prescindere dal fatto che il proponente ha significativamente ed espressamente qualificato la confisca come sanzione senza null’altro specificare, si può dire certamente che la volontà del legislatore, come si è già rilevato, era quella di parificare sul piano sanzionatorio le due fattispecie in esame – il proponente ha, invero, usato significativamente il verbo estendere -; siffatta parificazione evidentemente non può che comportare la qualificazione della confisca prevista dal comma 7, come sanzione penale accessoria per tutte le ragioni già precisate a proposito della confisca prevista dal comma 2, del medesimo articolo.

Appare, inoltre, opportuno ricordare, trattandosi di elemento indubbiamente significativo delle intenzioni del legislatore, che successivamente alla emanazione del D.L. n. 92 del 1998, che non prevedeva la sanzione della confisca, la Circolare del 26 maggio 2008 del Ministero degli Interni chiariva come in caso di rifiuto dei test alcolimetrici non fosse possibile procedere alla confisca del veicolo, ma solo al fermo amministrativo del medesimo.

Dopo l’entrata in vigore della Legge di Conversione n. 125 del 2008, che aveva introdotto la confisca del veicolo, la Circolare dello stesso Ministero del 31 luglio 2008 precisava che le modifiche apportate dalla L. n. 125, legittimassero anche la confisca ed impartiva agli agenti operanti la direttiva di procedere al sequestro preventivo del veicolo ai sensi dell’art. 321 c.p.p. Appare chiaro, allora, che il Ministero presupponesse la natura penale della confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7.

La giurisprudenza di legittimità, si è già accennato, ha sempre affermato la natura penale della misura ablativa introdotta dalla L. n. 125 del 2008, senza, però, precisare se si trattasse di misura di sicurezza ovvero di vera e propria sanzione penale, anche se accessoria.

È la sentenza Benitez Gonzales (Cass., Sez. IV, 13 maggio – 22 maggio 2009, n. 21499, PM in proc. Benitez Gonzales, rv. 243967), come già ricordato dai giudici rimettenti, che ha affrontato esplicitamente il problema e che, pur riconoscendo che la sequenza letterale della disposizione si poteva prestare ad equivoci, ha fondato la sua conclusione che quella della confisca prevista dal comma 7, fosse una sanzione penale non solo sul fatto che vi era stata una completa equiparazione sul piano sanzionatorio tra le due fattispecie in esame, ma anche sulla circostanza che la disposizione aveva operato un rinvio alle modalità e procedure di applicazione della confisca prevista dal comma 2. La Corte, inoltre, nella citata sentenza, osservava che mancava nella norma qualsiasi riferimento alla diversa procedura prevista dall’art. 213 C.d.S., necessario se il legislatore avesse voluto prevedere una ipotesi di confisca amministrativa.

Tale indirizzo è stato confermato anche da altre decisioni (Cass., Sez. IV, 1 luglio – 12 agosto 2009, n. 32965, Franchella, che implicitamente riconosceva la natura penale della misura ablativa, posto che aveva ritenuto legittimo il sequestro con finalità anticipatoria della confisca del veicolo; Cass., Sez. IV, 28 settembre – 18 dicembre 2009, n. 48576, PM in proc. Fischietti, che ha riproposto la motivazione della sentenza Benitez Gonzales a proposito della analoga previsione dell’art. 187 C.d.S., comma 8, che contempla l’ipotesi del rifiuto degli accertamenti sulla assunzione di stupefacenti); invece la sentenza Iosia (Cass., Sez. IV, 10 giugno – 12 agosto 2009, n. 32937, Iosia, rv. 245158), ha affermato che quella prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, sarebbe una ipotesi di confisca obbligatoria da classificare tra le misure di sicurezza patrimoniali.

Quest’ultima affermazione, che non appare, invero, condivisibile, è stata giustificata per il richiamo all’art. 240 c.p., comma 2, contenuto nella L. n. 125 del 2008, art. 4, riferimento che in verità nel comma 7, a differenza dell’art. 186 C.d.S., comma 2, non è, invece, contenuto.

Le perplessità manifestate in ordine a tale indirizzo dai giudici rimettenti, che hanno ipotizzato un conflitto di giurisprudenza potenziale, ritenendo che la confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, fosse da qualificare sanzione amministrativa accessoria, non sono, invero, condivisibili. Nel richiamare tutte le considerazioni già svolte a proposito della confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 2, valide anche per la corretta qualificazione dell’istituto previsto dal comma 7, dello stesso articolo, svolgendo le due confische la identica funzione affittiva loro assegnata dal legislatore, appare opportuno aggiungere qualche ulteriore considerazione.

È certamente vero che la lettera della disposizione di cui all’art. 186 C.d.S., comma 7, può ingenerare degli equivoci, essendo, come già ricordato, essa formulata nel modo seguente: la condanna … comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente … e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c).

Tale sequenza testuale, secondo i giudici rimettenti, indurrebbe a ritenere che quella prevista dal comma 7, sia una confisca amministrativa.

Non sembra che si possa giungere ad una tale conclusione, anche limitandosi alla esegesi del testo normativo, perché il legislatore, anche dopo la introduzione dell’inciso concernente la confisca, ha confermato la originaria declinazione al singolare della qualificazione sanzione amministrativa, fatto dal quale si deve legittimamente desumere che tale espressione si riferisca esclusivamente alla sospensione della patente e non anche alla confisca, altrimenti si sarebbe dovuta utilizzare la declinazione plurale.

Quanto poi al rinvio contenuto nel comma 7, alle modalità e procedure previste dal comma 2, non può accogliersi la interpretazione dei giudici rimettenti, secondo i quali si tratterebbe di modalità e procedure attinenti alla fase esecutiva della confisca che non inciderebbero sulla qualificazione giuridica della stessa. L’ultimo periodo del comma 2, lett. c), infatti, finisce con il chiarire cosa debba intendersi per procedura ai sensi e per gli effetti previsti dalla legge in discussione.

Tale disposizione precisa che la procedura di cui ai due periodi precedenti si applica anche nel caso di cui al comma 2 bis, comma che prevede l’ipotesi del conducente in stato di ebbrezza che provochi un incidente stradale. Ebbene la procedura di cui ai due periodi precedenti è esattamente quella che impone la confisca obbligatoria del veicolo ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2, e quella che consente la possibilità di affidare in custodia il veicolo al trasgressore.

È allora evidente che quando il legislatore con l’emendamento in esame ha introdotto la confisca anche per l’ipotesi disciplinata dal comma 7, facendo riferimento alle procedure e modalità di cui al comma 2, non può che avere utilizzato il termine procedure nel senso proprio della L. n. 125 del 2008, già adoperato dall’ultimo periodo del comma 2; pertanto il legislatore non poteva che fare riferimento alla confisca obbligatoria del veicolo del trasgressore. D’altra parte l’art. 186 C.d.S., comma 2, non prevede nessuna particolare procedura o modalità esecutiva per disporre la confisca e, quindi, il rinvio contenuto nel comma 7, se non interpretato nel senso indicato, sarebbe del tutto superfluo e privo di concreto significato.

Resta, pertanto, confermato che il rinvio contenuto nel comma da ultimo citato è anche all’art. 240 c.p., comma 2, nel senso che anche la confisca prevista dal comma 7, è obbligatoria, essendo questo e non altro il senso del riferimento alla norma del codice penale.

Tale ultima considerazione conferma ulteriormente la natura di sanzione penale accessoria della confisca prevista per la ipotesi di rifiuto di sottoporsi all’alcoltest perché, come si è avuto già modo di rilevare più volte, è del tutto evidente che siffatta sanzione non è per nulla assimilabile alle misure di sicurezza patrimoniali non rientrando il veicolo nelle cose per le quali è obbligatoria la confisca indicate dall’art. 240 c.p., comma 2, né potendo, in mancanza del richiamo esplicito, per opera del rinvio di cui si è detto all’art. 240, comma 2, il veicolo essere confiscato ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 1, non trattandosi di cosa servita per commettere il reato previsto dall’art. 186 C.d.S., comma 7.

Ciò conferma senz’altro la natura punitiva ed affittiva della sanzione.

Sembra, infine, opportuno ricordare che le conclusioni raggiunte sono confortate anche dalle poche considerazioni che la dottrina ha riservato alla questione controversa.

Gli Autori che hanno commentato il D.L. n. 92, e la L. n. 125 del 2008, si sono, infatti, limitati per lo più a dare per scontata la natura penale della confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, ponendo in rilievo il problema della sua esatta qualificazione come sanzione piuttosto che come misura di sicurezza patrimoniale, rilevando l’assenza di profili di connessione strumentale tra il veicolo e la condotta di rifiuto dei test alcolimetrici.

7) Alcune conseguenze della soluzione adottata

La qualificazione della confisca del veicolo prevista dall’art. 186 C.d.S., commi 2 e 7, come sanzione penale accessoria comporta delle conseguenze rilevanti anche per la soluzione del presente procedimento.

Trattandosi di sanzione penale, infatti, non vi è dubbio che debba essere identificato l’ambito di applicazione temporale ai sensi dell’art. 2 c.p.

Se si trattasse di misura di sicurezza, invece, in virtù del combinato disposto degli artt. 199 e 200 c.p., e dei principi affermati dall’art. 25 Cost., si dovrebbe escludere la operatività del principio di irretroattività della legge di cui all’art. 2 c.p., potendo la confisca essere disposta anche in riferimento ai reati commessi nel tempo in cui non era legislativamente prevista ovvero era diversamente disciplinata (vedi, tra le altre, Cass., Sez. II, 3 ottobre 1996 – 6 marzo 1997, n. 3655; Cass., Sez. I, 19 maggio – 14 giugno 2000, n. 7045, CED 216185).

Tuttavia la questione, pur importante a livello generale, non è rilevante nel caso di specie perché prima del D.L. n. 92 del 1998, come si è notato in precedenza, il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest costituiva un illecito amministrativo, essendo stata depenalizzata la fattispecie dal D.L. n. 117 del 2007.

Infatti la giurisprudenza (vedi Cass., Sez. VI, 29 settembre – 6 novembre 1995, n. 3391 e Cass., Sez. II, 3 ottobre 1996 – 6 marzo 1997, n. 36551, CED 207140) ha chiarito che il disposto dell’art. 200 c.p., comma 1, secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione, deve essere interpretato nel senso che non potrà mai applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che al momento della sua commissione non costituiva reato, essendo, invece, possibile la suddetta applicazione per un fatto di reato per il quale non era originariamente prevista la misura.

8) Conclusioni

Stabilito, in risposta al quesito sottoposto alle Sezioni Unite Penali, il principio che “la confisca del veicolo prevista dal Codice della Strada nel caso di condanna per il reato di rifiuto di sottoposizione all’accertamento del tasso alcolemico ha natura di sanzione penale accessoria” è possibile risolvere anche il presente procedimento.

Non vi è dubbio, infatti, che il motivo posto a sostegno del ricorso del Pubblico Ministero sia, in virtù delle considerazioni dinanzi esposte, fondato perché correttamente il ricorrente ha sostenuto che la natura intrinsecamente penale della confisca del veicolo prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, legittimasse il provvedimento di sequestro ex art. 321 c.p.p., comma 2, preordinato appunto alla misura penale.

Errata è conseguentemente l’ordinanza del Tribunale di Pordenone di annullamento del decreto di sequestro adottato dal GIP del locale Tribunale fondata sulla corretta considerazione che la cautela reale di cui al’art. 321 c.p.p., comma 2, sarebbe riferita alle sole ipotesi di confisca penale, ma sul non condivisibile, per tutte le ragioni ampiamente illustrate, presupposto che la confisca prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 7, sarebbe una sanzione amministrativa accessoria e non una sanzione di natura penale.

Per tutte le ragioni indicate, pertanto, la ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Pordenone, che si atterrà ai principi di diritto enunciati.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Pordenone.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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