Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-01-2011) 16-03-2011, n. 10659 omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ro di Roma che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza del 26 gennaio 2009 il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di San Dona di Piave, ha dichiarato, fra l’altro e per quanto rileva in questa sede, C.A. colpevole del reato previsto e punito dall’art. 589 cod. pen. perchè, in qualità di responsabile del "(OMISSIS)", struttura presso la quale si svolgeva la manifestazione sportiva del campionato italiano BMX Free Style, per colpa, negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline, cagionava la morte di M.R. di anni 23. In particolare non prescrivendo allo stesso l’uso del casco di sicurezza e non predisponendo tutte le misure in modo che la gara potesse svolgersi nelle migliori condizioni di sicurezza, in particolare non allestendo alcun impianto che consentisse l’impiego di unità di pronto soccorso o di autoambulenze o di presidio medico specifico, nonchè non predisponendo materiale per attutire gli urti sui sostegni delle strutture, cagionava la morte del M. che, durante una evoluzione, perdeva il controllo della sua bicicletta, andando ad impattare violentemente con il capo contro la struttura metallica di sostegno delle rampe predisposte per lo svolgimento della gara, così riportando un trauma cranico che ne determinava la morte, in (OMISSIS). La medesima sentenza ha condannato il C. alla pena di mesi sei di reclusione ed al risarcimento in favore delle costituite parti civili D.G.D. e M. S., dei danni patrimoniali e non patrimoniali delle parti civili stesse da quantificarsi in separato giudizio, ed ha liquidato a favore delle parti civili una provvisionale provvisoriamente esecutiva, di Euro 100.000,00, ed ha condannato gli imputati, in solido, alla rifusione delle costituite parti civili, delle spese di giudizio liquidate in complessive Euro 15.394,36. Con sentenza del 16 aprile 2010 la Corte d’Appello di Venezia, per quanto rileva in questa sede, in parziale riforma di tale sentenza, disponeva la non menzione della sentenza di condanna confermando per il resto la sentenza di primo grado. La Corte territoriale ha motivato tale sentenza, quanto all’affermazione di responsabilità dell’imputato attuale ricorrente, ritenendo che l’incidente in questione si è verificato in occasione della manifestazione sportiva programmata nella struttura gestita dal C., anche se non durante la gara, e che la responsabile dell’imputato deriva dal suo ruolo di responsabile della struttura ed in relazione al principio del neminem ledere ricavabile dagli artt. 2051 e 2050 cod. civ.. In particolare la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’ipotesi di colpa concretizzatasi nel non avere obbligato l’atleta ad indossare il casco di protezione, e nel non avere predisposto le misure più adeguate affinchè l’attività sportiva in corso si svolgesse nelle migliori condizioni di sicurezza, con particolare riferimento alla predisposizione di materiale per attutire gli urti sui sostegni delle strutture. La Corte d’Appello ha poi, in particolare, rilevato che le pedane su cui si svolgevano le evoluzioni degli atleti non erano in legno, ma in rivestimento metallico con conseguente maggiore pericolo di difetto di aderenza e presa da parte delle ruote gommate delle biciclette. Il pericolo è stato aumentato dalla posizione delle pedane che hanno dato minore superficie di appoggio alle biciclette.

Il C. propone ricorso avverso tale sentenza lamentando, con unico motivo, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. In particolare il ricorrente deduce che, al momento dell’incidente, non si stava svolgendo alcuna manifestazione per cui apparirebbe contraddittoria l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui l’infortunio è collegato alla manifestazione sportiva svoltasi presso la struttura di cui l’imputato è responsabile.

Inoltre i rilievi mossi alle pedane sarebbero ingiustificati alla luce di una consulenza che ne avrebbe accertata la piena regolarità confermata anche dal consulente del Pubblico Ministero. In ordine all’uso del casco, il ricorrente deduce che non sarebbe obbligatorio al di fuori dello svolgimento delle gare.

Le parti civili hanno presentato memoria con la quale deducono l’inammissibilità del ricorso per difetto di specificità del motivo ex art. 581, lett. e) in correlazione con l’art. 591 c.p.p., lett. e); l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non essendo esposto il motivo per cui la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria e manifestamente illogica;

l’infondatezza del ricorso stesso in quanto nessuno dei vizi dedotti dal ricorrente sarebbe tale da influire sulla logicità della decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato che il reato è estinto per prescrizione.

Il fatto è infatti avvenuto in data (OMISSIS), ed il reato contestato si prescrive nel termine massimo di sette anni e sei mesi, per cui all’epoca della pronuncia impugnata era già prescritto.

Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali, perchè il reato è estinto per prescrizione.

Il ricorso, da esaminarsi agli effetti civili, non è fondato e va conseguentemente rigettato.

La responsabilità dell’imputato deriva dalla sua qualità di responsabile dell’impianto e deriva dal generale principio del neminem laedere contenuto, in particolare, nell’art. 2050 cod. civ. esattamente evocato nelle sentenze di merito. E’ stato già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10 novembre 2005 n. 11361) che il responsabile di attrezzature sportive o ricreative è titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità di coloro che le utilizzano, anche a titolo gratuito, sia in forza del principio del "neminem laedere", sia nella sua qualità di "custode" delle stesse attrezzature (come tale civilmente responsabile, per il disposto dell’art. 2051 cod. civ., fuori dall’ipotesi del caso fortuito, dei danni provocati dalla cosa), sia, infine, quando l’uso delle attrezzature dia luogo a un’attività da qualificarsi pericolosa ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., rispetto alle quali egli è obbligato ad adottare tutte le misure idonee ad evitare l’evento dannoso. E’ dunque irrilevante, a tali fini, la circostanza, sulla quale si sofferma il ricorrente, per cui l’incidente in questione sarebbe avvenuto al di fuori dell’attività agonistica in senso proprio, cioè non durante una gara, o più generalmente, durante la competizione sportiva. Infatti, l’attuale ricorrente risponde del reato contestatogli non già quale organizzatore della manifestazione sportiva stessa, bensì quale responsabile dell’impianto e in quanto tale era obbligato ad adottare tutte le misure idonee ad evitare l’evento dannoso indipendentemente dall’effettivo svolgimento della manifestazione sportiva. La Corte territoriale ha ben esposto le misure di sicurezza omesse e contestate al C.: in particolare e in primis, la mancata prescrizione dell’uso obbligatorio del casco di sicurezza. Tale circostanza, non contestata dal ricorrente che basa la propria difesa sull’infondato presupposto che la misura non sarebbe stata obbligatoria non essendo in corso una gara, è in diretto nesso di causalità nella determinazione dell’evento in quanto, come messo in evidenza dettagliatamente dalla sentenza impugnata, gli accertamenti medico legali hanno indicato la causa della morte del M. proprio nelle lesioni al capo. Anche le altre circostanza contestate, quali l’omessa previsione di unità di pronto soccorso e l’omessa predisposizione di materiale idoneo ad attutire gli urti, hanno trovato puntuale conferma nella espletata istruttoria secondo la dettagliata motivazione della sentenza impugnata.

La pericolosità dell’attività ai fini del citato art. 2050 cod. civ., è pure congruamente motivata dalla sentenza impugnata che ha pure considerato la testimonianza di un altro atleta secondo cui la posizione delle pedane presentavano minori punti di appoggio per le ruote delle biciclette, per consentire evoluzioni più spettacolari ai fini di ottenere migliori risultati durante le gare, e tale circostanza evidenzia il carattere necessariamente pericoloso dell’impianto per l’attività che vi si svolge.

Il ricorso deve dunque essere rigettato agli effetti civili ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perchè il reato è estinto per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna l’imputato alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite e liquida le stesse in complessive Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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