Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-05-2011, n. 11835 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 22.3.02 la società Mital s.r.l citò al giudizio del Tribunale di Firenze,sez. dist. di Pontassieve,la società Giotto Bus al fine di sentir pronunziare sentenza ex art. 2932 c.c., di esecuzione in forma specifica o, in subordine, di risoluzione con restituzione del doppio della caparra ed eventuale ulteriore risarcimento, del contratto preliminare in data 29.6.01, con il quale la convenuta le aveva promesso in vendita un suolo edificatorio facente parte di un lotto del piano insediamenti produttivi comunali di Vicchio. A sostegno della domanda l’attrice esponeva che alla stipula del contratto definitivo, prevista per il 15.2.02, non era addivenuta perchè il fondo, benchè promessole "libero da ogni onere e gravame pregiudizievole" era risultato gravato da vincolo di destinazione nei confronti del Comune, che, con delibera consiliare del 25.5.01 aveva comunicato alla promittente venditrice la decadenza dalla convenzione del 15.11.90 e stabilito un termine massimo di due anni per la presentazione dei progetti sui lotti residui, decorso il quale avrebbe avviato le procedure di riappropriazione di quelli rimasti inedificati o di modifica della destinazione urbanistica.

Costituitasi la convenuta, oppose che l’attrice, che nelle trattative era stata assistita da un tecnico di fiducia, era ben consapevole del termine entro cui avrebbe dovuto essere presentato il progetto edificatorio e nel contratto si era dichiarata a conoscenza delle "clausole traslative del dominio e del possesso " afferenti il suolo, sicchè la sua pretesa di conseguire ex art. 2932 c.c. un bene in condizioni diverse da quelle di cui alla promessa di vendita era inammissibile, mentre l’opposto rifiuto di stipulazione costituiva inadempimento, per cui spiegava domanda riconvenzionale per sentir "dichiarare risolto il preliminare con attribuzione in via definitiva " della ricevuta caparra di Euro 30.397,42. Con sentenza del 16.8.03 il giudice adito respingeva la domanda di esecuzione in forma specifica, pronunziava la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta, condannandola, disattese le ulteriori richieste attrici, alla restituzione della caparra ed alle spese del giudizio.

Proposto dalla soccombente appello, resistito dall’appellata con propostone di gravame incidentale, la Corte di Firenze, con sentenza 18.3 – 3.8.05, rigettava l’impugnazione principale ed, in parziale accoglimento di quella incidentale, in riforma della gravata sentenza, assorbita ogni altra questione, dichiarava la legittimità del recesso da parte della società Giotto Bus ed il diritto della medesima a ritenere la caparra, compensando interamente le spese del doppio grado di giudizio e condannando la società Mital alla restituzione della somma di Euro 41.050, oltre agli interessi, che aveva nelle more riscosso in forza della sentenza di primo grado.

La corte fiorentina escludeva che nella specie potesse configurarsi alcun inadempimento della promittente venditrice, non solo perchè la promissaria era stata, per sua stessa ammissione, assistita durante le trattative da un tecnico di fiducia, ma anche e soprattutto sul rilievo che la menzionata delibera del consiglio comunale nessun ulteriore vincolo o gravame aveva imposto sul suolo, prorogando anzi i termini per l’attuazione del programma edilizio, cui peraltro la stessa attrice era risultata pronta, sicchè, in assenza di alcun rischio, l’azione difettava anche d’interesse. Osservava ancora la corte che i vincoli in questione derivavano dalla convenzione di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 27 in forza della quale era stata stipulata, con atto pubblico del 23.7.92, la cessione dell’area, di cui la promissaria acquirente doveva ritenersi a conoscenza, per l’espressa menzione contenuta nel contratto preliminare, sicchè era da escludersi l’inadempimento lamentato dall’attrice. Per converso, sussisteva quello grave di quest’ultima, nè sì era ingiustificatamente rifiutata di stipulare l’atto pubblico, con conseguente fondatezza della originaria domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta, da interpretarsi quale declaratoria di legittimità del recesso e ritenzione della caparra confirmatoria, ai sensi dell’art. 1385 c.c. Avverso tale sentenza la società Mital s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, articolato su tre profili. Ha resistito la società Giotto Bus s.n.c. con controricorso.
Motivi della decisione

Va preliminarmente disattesa la richiesta di interruzione del giudizio, formulata in udienza dal difensore della società resistente, che ne ha dichiarato il sopravvenuto fallimento, tenuto conto del principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui al giudizio di cassazione, caratterizzato dall’impulso di ufficio, non si applica il regime processuale di cui all’art. 299 c.p.c., e segg. (v., tra le altre, Cass. nn.21133/07, 14385/07, 13972/06, 8959/06, quest’ultima con particolare riferimento alle vicende fallimentari). La ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 27 come mod. dalla L. n. 449 del 1997, art. 49, comma 17 e per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. Sotto il primo profilo si sostiene che la corte di merito, pur avendo dato atto delle comminatorie contenute nella delibera consiliare n. 57 del Comune di Vicchio e della mancanza di alcuna menzione da parte delle promittente venditrice degli obblighi di destinazione assunti con l’ente territoriale, avrebbe contraddittoriamente negato alla promissaria acquirente la garanzia per l’evizione al riguardo configurabile. Sotto il secondo profilo si censura l’argomentazione, secondo cui "il vincolo ed i gravami sul terreno deriverebbero direttamente …dalla L. 22 gennaio 1971, n. 865, art. 27, comma 3", sostenendosi che la "legge prevede solo che il PIP abbia un valore di piano particolareggiato di esecuzione e non pone direttamente nessun vincolo o gravame a carico dei terreni facenti parte del PIP (Piano Insediamenti Produttivi)".

Sotto il terzo profilo la sentenza sarebbe "ulteriormente contraddittoria", carente di motivazione ed inosservante dei principi di valutazione delle prove, laddove sostiene che la fonte dei vincoli di cui si duole l’attrice, sarebbe rinvenibile nella convenzione stipulata tra il Comune, ai sensi della normativa citata, e la promittente venditrice, pur dando atto che la stessa non era stata prodotta in giudizio e, tuttavia, desumendone, in maniera del tutto arbitraria e congetturale, il contenuto da quello della delibera consiliare sopra citata, ritenendolo per di più noto alla promissaria acquirente in assenza di alcuna menzione nel contratto.

Si censura infine l’affermazione secondo cui quest’ultima sarebbe stata assistita nelle trattative da un tecnico di propria fiducia, circostanza arbitrariamente desunta da una richiesta di prova testimoniale, articolata e non ammessa, nella quale si era soltanto chiesto di provare l’incarico conferito al professionista successivamente all’avvenuta conoscenza della delibera comunale in questione, e non prima, in occasione della stipula del contratto preliminare.

Nessuna delle suesposte doglianze è meritevole di accoglimento.

La prima è manifestamente infondata, tenuto conto della natura pubblicistica dei vincoli di destinazione urbanistica gravanti del fondo oggetto del contratto preliminare di compravendita;costituenti connotati conformativi ex lege dello stesso, con conseguente inconferenza del richiamo alla garanzia per evizione, che l’art. 1476 c.c., n. 3 e art. 1483 c.c. accordano al compratore, per le diverse ipotesi in cui il bene compravenduto sia oggetto di pretese rivendicative o espropriative di terzi, tali non potendo considerarsi quelle derivanti da prescrizioni urbanistiche, che una volta approvate e pubblicate nelle forme previste dalla leggeranno valore di prescrizioni di ordine generale di contenuto normativo, come tali da presumersi note e non configurabili quali oneri non apparenti gravanti sull’immobile (v. Cass. nn. 1469/93, 5908/86).

Le suesposte considerazioni comportano l’infondatezza anche del secondo profilo di censura, atteso che il lotto compravenduto, come acclarato dai giudici di merito con accertamento di fatto adeguatamente motivato e non censurabile in questa sede, rientrava nell’ambito del Piano degli Insediamenti Produttivi del Comune di Vicchio, strumento urbanistico particolareggiato preesistente alla stipulazione del contratto preliminare, imprimente al fondo quella particolare destinazione, le cui condizioni avrebbero dovuto essere necessariamente riportate nella convenzione di cessione ai privati assegnatari. Conseguentemente, costituendo tale convenzione il titolo di provenienza della proprietà della promittente venditrice, l’espressa citazione dello stesso nel contratto preliminare era più che sufficiente, a parte la notorietà legale in precedenza evidenziata del P.I.P. e delle connessa destinazione dei terreni in esso compressa consentire alla promissaria acquirente di conoscere la particolare qualitas soli del fondo compromesso in vendita, poco o punto rilevando se la stessa fosse stata o meno assistita da un tecnico di propria fiducia nel corso delle trattative, nè che i giudici di merito non abbiano direttamente esaminato il contenuto della convenzione, desumendo lo invece dalla delibera consiliare in virtù della quale la stessa era stata stipulata, atteso che la cessione al privato non avrebbe potuto che avvenire secondo quelle condizioni e sotto le comminatorie prescritte dalla norma di riferimento. Conseguentemente non poteva assumere alcuna rilevanza, ai fini della lamentata "evizione", la successiva delibera consiliare, con la quale erano state soltanto ribadite, peraltro con proroga dei relativi termini le preesistenti condizioni di edificabilità del suolo in questione.

Pertanto anche l’ultimo profilo di censura va respinto e, con esso conclusivamente, il ricorso. Le spese, infine, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese, in favore della resistente, nella misura di complessivi Euro 2.700, 00, di cui 200, 00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *