T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 14-03-2011, n. 2289 Vincoli storici, archeologici, artistici e ambientali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame il ricorrente, premesso di essere proprietario, insieme ad altri eredi, di una parte del Convento di Santa Maria di Cimbona, sito nel Comune di Allumiere, distinto in catasto al foglio n. 27 particella 38, sub 1, 2, 3, e di esser detentore, da oltre 20 anni di tutto il restante complesso immobiliare denominato Santa Maria di Cimbona o Monte Urbano, impugna il decreto del Ministro dei Beni Culturali del 13.6.1996 con cui detto complesso è stato dichiarato di interesse particolarmente importante, ai sensi della legge 1 giugno 1939/1089.

Il ricorso è affidato ad articolate censure riconducibili alla violazione della legge 1° giugno 1939 n. 1089, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, sotto diversi profili, travisamento dei presupposti, errore di fatto e di diritto.

Si è costituito in giudizio il Ministero dei Beni Culturali con articolata memoria a difesa dell’operato dell’amministrazione.

All’udienza pubblica dell’11 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con la prima censura il ricorrente si lamenta che il Ministero dei Beni Culturali ed ambientali avrebbe stabilito un vincolo diretto ai sensi della legge 1089/39 irragionevolmente ed immotivatamente esteso, che comprende ettari di territorio attigui all’oggetto principale di tutela, senza specificarne adeguatamente le ragioni e senza aver svolto adeguata attività istruttoria al riguardo, prospettando che l’atto in contestazione sia frutto di un errore nell’identificazione del fondo (particella n. 38) sulle mappe catastali.

La doglianza va disattesa.

Non sussiste la lamentata carenza di istruttoria: dalla planimetria allegata al provvedimento impugnato si evince chiaramente che l’area di interesse della proprietà del ricorrente (particella n. 38 graffata) non ha l’estensione di svariati ettari prospettata dal ricorrente, bensì di appena 6420 mq ed è stato comunque correttamente identificato nella medesima particella del fabbricato cui è asservita come pertinenza.

L’assoggettamento a vincolo dell’area in questione, lungi dal costituire una svista dell’Amministrazione, è stata determinata, come si evince chiaramente dalla motivazione dell’atto impugnato – che si ricava per relationem dalla relazione allegata – dall’esigenza di tutelare la "memoria" del precedente programma architettonico che, secondo il progetto seicentesco del Castelli, prevedeva la costruzione del Chiostro sull’area in questione – prospiciente la facciata dell’ex convento e retrostante la Chiesa (che invece fu poi realizzato di fianco alla Chiesa) – che è rimasto incompiuto.

Detta relazione è stata redatta dall’Arch. Bureca fondandosi non solo sulla pubblicazione richiamata dal ricorrente (saggio del Mignanti del 1936), bensì su vasto materiale bibliografico ed iconografico di stretto e specifico riferimento al Complesso seicentesco in questione, consistente in 12 pubblicazioni e monografie scientifiche puntualmente riportate a margine delle varie osservazioni.

Il fatto che detta relazione ponga particolare attenzione alla facciata della Chiesa non comporta, come ritiene il ricorrente, che solo quest’ultima sia stata ritenuta meritevole di vincolo: al contrario, dall’articolata esposizione degli elementi di rilievo dell’interno della struttura e dal confronto con analoghe costruzioni coeve molto famose, risulta chiaro l’iter logico seguito dal relatore nell’esprimere il giudizio valutativo sull’intero immobile in contestazione, in ragione sia dell’originalità delle soluzioni costruttive (vedi in particolare, il passo ove si reputa degno di nota che nella facciata di Cibona "compare tra il corpo centrale ed i laterali un doppio risalto della trabeazione che si arretra sul piano della cornice della specchiatura – assimilata in questo modo ad una parasta – creando un’accentuazione del nodo di passaggio parasta -semiparasta. L’uso di questo abile espediente provoca un’esaltazione dell’aggetto del corpo centrale attraverso la concentrazione dei valori luministici e plastici scaturiti dall’accumulazione delle membrature che caricano del proprio valore strutturale elementi di articolazione della facciata estranei all’ordine di architettura" che lo differenziano da analoghe opere del medesimo autore presenti sul territorio), sia dell’impatto complessivo (ravvisato nella solidità dell’architettura), sia per l’originalità della copertura a capriate lignee (su cui si riportano varie interpretazioni) ed il pregio complessivo dell’interno e dell’apparato scultoreo.

Appare evidente che, sebbene la relazione non menzioni espressamente le restanti parti del complesso, rimasto incompiuto per la parte convenutale, ciò non vale a sancirne l’irrilevanza, atteso che, trattandosi di complesso monumentale, anche l’area attigua ed i corpi di fabbrica in esso inseriti – sebbene privi di specifico valore intrinseco se isolatamente considerati – sono suscettibili di essere assoggettati a vincolo diretto in ragione della complementarietà con la costruzione cui accedono e con cui costituiscono un complesso inscindibile. E’ infatti fatto notorio che romitaggi e santuari derivano il loro valore, a differenza degli edifici religiosi di città, non solo dal pregio delle parti costruite, ma anche dall’inserimento in un contesto naturalistico che per integrità e dimensioni sia evocativo di uno stato di pace e di quiete e di distacco dal mondo, sicchè l’assoggettamento a vincolo dell’area circostante consente di preservare l’intrinseco ed irripetibile valore storico artistico di un sito caratterizzato da uno stretto rapporto di complementarietà tra i manufatti di interesse culturale ed il loro contesto ambientale.

Tantomeno è ravvisabile un’evidente illogicità ed incongruità del giudizio valutativo espresso dall’autorità competente in merito a tale appartenenza, il quale, come tutte le valutazioni relative all’interesse storico- artistico -architettonico di un bene, costituisce espressione di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, sindacabile solo per vizi di legittimità in relazione a profili sintomatici dell’eccesso di potere, inteso nelle sue figure tradizionali ed in quelle più evolute dei canoni di proporzionalità.

In altri termini la decisione del Ministero di apporre il vincolo diretto sull’intero compendio immobiliare denominato Santa Maria di Cimbona o Monte Urbano, non appare affetta dai vizi attinenti alla ragionevolezza, congruità e logicità della motivazione, la quale si pone semplicemente in contrasto con il personale diverso avviso dell’interessato. Né a tal fine giova allo stesso invocare l’attuale stato di degrado che non vale a compromettere la riconosciuta importanza storicoartistica del complesso quanto piuttosto ad imporre ai soggetti tenuti ad assicurarne la conservazione di effettuare gli interventi necessari e a determinare la responsabilità di questi per il caso in cui non si siano adeguatamente attivati.

Sotto tale profilo, è appena il caso di ricordare che, dalla documentazione agli atti il ricorrente risulta proprietario solo dell’immobile sopra specificato, non essendo a tal fine significativa l’asserita protratta detenzione di altri immobili, peraltro sine titulo, come chiarito nella memoria difensiva dell’amministrazione.

Il ricorso è dunque complessivamente infondato e va respinto.

Appare tuttavia equo compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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