Corte Costituzionale ordinanza n. 261 ORDINANZA 07 – 21 luglio 2010 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 28-7-2010

Ordinanza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 305 del codice
di procedura civile, promosso dal Tribunale di Vicenza nel
procedimento vertente tra R. C. e la Gemma s.r.l. ed altri, con
ordinanza del 28 agosto 2009, iscritta al n. 293 del registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 49, 1ª serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto che il Tribunale di Vicenza, con ordinanza depositata il
28 agosto 2009, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24,
secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di
legittimita’ costituzionale dell’articolo 305 del codice di procedura
civile «nella parte in cui prevede, nel caso di fallimento della
parte costituita, che il termine perentorio per la riassunzione del
processo decorra, per le parti diverse da quella fallita, dalla data
dell’interruzione anziche’ dalla data in cui tali parti ne abbiano
avuto effettiva conoscenza»;
che, come il rimettente riferisce, con atto di citazione
notificato in data 18 aprile 2006, R.C. ha proposto opposizione al
decreto ingiuntivo n. 407 del 2006 emesso dal Tribunale di Vicenza su
ricorso della societa’ G. s.r.l.;
che detta societa’ si e’ costituita con comparsa depositata
il 2 febbraio 2007;
che nell’udienza fissata in pari data il giudice, concessa la
provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, ha ordinato la
chiamata in causa della G. P. s.n.c., la quale si e’ costituita con
comparsa depositata il 20 luglio 2007;
che all’udienza celebrata in quella data il giudice, concessi
alle parti i termini di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc.
civ., ha rinviato al 19 giugno 2008 per l’ammissione delle prove;
che, con atto depositato il 20 gennaio 2008, e’ intervenuta
in causa la R. s.r.l., assumendo di essere cessionaria del credito
della convenuta, oggetto del decreto ingiuntivo;
che l’udienza del 19 giugno 2008 e’ stata rinviata di ufficio
al 1° ottobre 2008;
che in tale udienza sono comparsi i soli difensori
dell’opponente, della terza chiamata in causa e della terza
intervenuta;
che alla medesima udienza l’opponente ha depositato una
visura camerale dalla quale e’ risultato che l’opposta era stata
dichiarata fallita dal Tribunale di Verona in data 11 marzo 2008;
che il giudice ha dichiarato l’interruzione del processo, ai
sensi dell’art. 43, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n.
267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo,
dell’amministrazione concordata e della liquidazione coatta
amministrativa), introdotto dall’art. 41 del decreto legislativo 9
gennaio 2006 n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005
n. 80);
che, con ricorso depositato in data 19 marzo 2009,
l’opponente ha riassunto il processo, chiedendo la fissazione
dell’udienza per la prosecuzione dello stesso;
che tale udienza si e’ tenuta in data 24 giugno 2009;
che, con atto depositato il 3 giugno 2009, il fallimento G.
s.r.l. si e’ costituito eccependo, in via preliminare, l’estinzione
del processo per omessa tempestiva riassunzione nel termine di sei
mesi dalla data della dichiarazione di fallimento;
che alla predetta udienza l’opponente ha contestato che fosse
decorso il termine di sei mesi previsto dall’art. 305 cod. proc.
civ., ritenendo che tale termine decorresse, anche dopo la modifica
dell’art. 43 della legge fallimentare, dalla data di dichiarazione in
udienza dell’intervenuto fallimento e non dalla data della sentenza
di fallimento;
che, in subordine, l’opponente ha chiesto che fosse sollevata
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 305 cod. proc.
civ., mentre il fallimento G. s.r.l. ha insistito nella propria
eccezione di estinzione del processo;
che il giudice a quo ritiene applicabili al processo in corso
l’art. 305 cod. proc. civ., nel testo anteriore alle modifiche
apportate dall’art. 46, comma 14, della legge 18 giugno 2009 n. 69
(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitivita’ nonche’ in materia di processo civile) e l’art. 43
della legge fallimentare, nel testo risultante dalle modifiche
apportate con il d.lgs. n. 5 del 2006;
che, in particolare, il rimettente osserva che l’art. 305
cod. proc. civ., cosi’ come riformato, si applica solo ai processi
iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge n. 69 del
2009, per cui non trova applicazione nel giudizio a quo;
che, ad avviso del giudicante, la questione comunque rileva
anche con riferimento al testo modificato dell’art. 305 cod. proc.
civ., in cui e’ previsto un termine piu’ breve per la riassunzione
del processo a seguito di interruzione dello stesso;
che, inoltre, il giudice a quo ritiene che l’art. 43 della
legge fallimentare, come integrato dal d.lgs. n. 5 del 2006, sia
applicabile alla fattispecie in esame, a norma degli artt. 150 e 153
del medesimo decreto legislativo, perche’ il fallimento della G.
s.r.l. e’ stato dichiarato dopo l’entrata in vigore della riforma,
cioe’ dopo il 16 luglio 2006;
che, infine, il rimettente osserva che l’art. 41 del citato
d.lgs. e’ applicabile anche ai processi pendenti, trattandosi di
norma processuale;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo
afferma che, fino alla modifica della legge fallimentare operata nel
2006, nel caso di fallimento della parte costituita l’interruzione
del processo, a norma dell’art. 300, primo e secondo comma, cod.
proc. civ., conseguiva alla dichiarazione in giudizio o alla
notificazione dell’evento da parte del procuratore costituito per la
fallita;
che, invece, l’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006 ha aggiunto
all’art. 43 della legge fallimentare il seguente comma: «l’apertura
del fallimento determina l’interruzione del processo», disposizione
da interpretare nel senso che il fallimento della parte provoca,
automaticamente, detta interruzione, senza necessita’ di
dichiarazione in giudizio o di notificazione alle parti dell’evento;
che in tal senso, ad avviso del rimettente, si sarebbe
espressa anche la Corte di cassazione nella sentenza resa a Sezioni
unite il 20 marzo 2008, n. 7443, sicche’ non vi sarebbe spazio per
una diversa interpretazione della norma, altrimenti destinata a
rivelarsi pleonastica, in quanto l’interruzione del processo, come
conseguenza della perdita della capacita’ della parte fallita di
stare in giudizio, sarebbe gia’ prevista dall’art. 300 cod. proc.
civ.;
che, con particolare riferimento al giudizio in corso,
secondo il rimettente la questione sarebbe rilevante perche’ il
deposito del ricorso in riassunzione (19 marzo 2009) e’ avvenuto dopo
il decorso del termine di sei mesi dalla data del fallimento (11
marzo 2008) e, pertanto, l’applicazione dei citati artt. 43 della
legge fallimentare e 305 cod. proc. civ. porterebbe all’accoglimento
dell’eccezione di estinzione del processo e alla definitiva
esecutivita’ del decreto ingiuntivo, a norma dell’art. 653 cod. proc.
civ.;
che, inoltre, secondo il giudice a quo, benche’ al momento
della dichiarazione d’interruzione del processo (udienza del 1°
ottobre 2008) il termine semestrale, tenuto conto della sospensione
feriale, non fosse ancora spirato e la parte fosse a conoscenza
dell’atto interruttivo, tale argomento non sarebbe decisivo per
affermare che non vi sia stata violazione del diritto di difesa e del
diritto di uguaglianza delle parti nel processo, non essendo noto il
momento in cui l’opponente era venuta a conoscenza del fallimento e
non essendo provato che ne fosse a conoscenza prima dell’udienza del
1° ottobre 2008; sicche’, in ogni caso, essa avrebbe avuto a
disposizione un termine assai breve e del tutto insufficiente per
valutare l’opportunita’ di proseguire nell’attivita’ processuale
oppure di lasciare che il processo si estinguesse;
che, in particolare, il rimettente ritiene, alla luce della
modifica della legge fallimentare, che il fallimento della parte
costituita produca l’effetto automatico dell’interruzione del
processo cosi’ come gia’ previsto dagli artt. 299, 300, terzo comma,
e 301 cod. proc. civ., per le ipotesi, rispettivamente, della morte o
della perdita della capacita’ di stare in giudizio della parte non
ancora costituita; della medesima evenienza con riguardo alla parte
costituita personalmente; della morte, radiazione o sospensione del
procuratore della parte costituita;
che, in relazione a dette ipotesi, la Corte costituzionale e’
intervenuta per dichiarare la illegittimita’ costituzionale dell’art.
305 cod. proc. civ. nella parte in cui fa decorrere il termine per la
riassunzione dall’interruzione del processo, anziche’ dal momento in
cui le parti hanno avuto conoscenza dell’evento;
che, al riguardo, il giudice a quo cita la pronunzia n. 139
del 1967 concernente l’art. 301 cod. proc. civ. e quella n. 159 del
1971 relativa agli artt. 299 e 301, terzo comma, cod. proc. civ.;
egli richiama, inoltre, la sentenza n. 34 del 1970 in tema di
decorrenza del termine per la prosecuzione del processo sospeso, di
cui all’art. 297, primo comma, cod. proc. civ., del quale fu
dichiarata l’illegittimita’ costituzionale in base ad argomentazioni
analoghe a quelle in tema d’interruzione del processo;
che il giudicante osserva come in passato la Corte
costituzionale sia intervenuta con pronunzie di illegittimita’
dell’art. 305 cod. proc. civ., in tutti i casi in cui il codice aveva
previsto il carattere automatico dell’effetto interruttivo al
verificarsi dell’evento;
che il rimettente, inoltre, sottolinea la possibilita’ che la
parte, diversa da quella fallita, resti ignara del fallimento della
controparte anche per lungo tempo, venendo a conoscenza del
fallimento stesso dopo il decorso del termine di legge per la
riassunzione o comunque, come nel caso di specie, a ridosso del detto
termine;
che, a suo avviso, benche’ gli artt. 16 e 17 della legge
fallimentare prevedano forme di pubblicita’ volte a rendere noto ai
terzi il fallimento (peraltro, soltanto dalla data d’iscrizione della
sentenza nel registro delle imprese), sembra incongruo addossare alla
parte l’onere di effettuare continue verifiche nei registri per
controllare se la controparte e’ fallita;
che, dunque, secondo il rimettente la disposizione censurata
si pone in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost. e con il
principio di uguaglianza in quanto la parte in bonis, a seguito della
modifica dell’art. 43 della legge fallimentare, e’ posta in una
posizione di svantaggio rispetto alla parte fallita perche’ ad essa
e’ imposto l’onere di svolgere indagini onerose al fine di evitare
che l’ignoranza del fallimento dell’avversario possa far maturare
preclusioni a suo danno, con esiti assai gravosi, come nei giudizi di
impugnazione;
che, inoltre, ad avviso del giudice a quo, un comportamento
malizioso o negligente della curatela, consistente nel mero astenersi
dal dare notizia all’altra parte del fallimento, puo’ trasformare un
istituto come quello dell’interruzione, diretto a garantire la parte
interessata dall’evento dal rischio che il processo prosegua in un
momento nel quale essa non puo’ svolgere attivita’ difensiva, in uno
strumento per danneggiare, anche in modo irreparabile, la controparte
ignara;
che, ancora, secondo il rimettente, la norma impugnata
risulta in contrasto anche con l’art. 24, secondo comma, Cost.,
perche’ alla parte interessata alla prosecuzione del giudizio ed
estranea all’evento interruttivo non e’ assicurato il diritto di
difesa, in modo effettivo ed adeguato; essa e’, infatti, posta nella
condizione di subire il rischio che un evento ignoto, e non
conoscibile secondo canoni di ordinaria diligenza, vada a
pregiudicare la possibilita’ di difendere le proprie ragioni nel
processo, subendo anche conseguenze assai gravi derivanti
dall’estinzione del giudizio;
che per il rimettente, anche in questo caso, e’ necessario,
per ricondurre ad equita’ il sistema, come modificato a seguito della
riforma del 2006 della legge fallimentare, un intervento della Corte
costituzionale sulla disposizione impugnata;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e’ intervenuto in
giudizio chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente
inammissibile, perche’ il rimettente non avrebbe esperito il doveroso
tentativo di ricercare una interpretazione costituzionalmente
orientata della normativa censurata.
Considerato che il Tribunale di Vicenza dubita, in riferimento
agli articoli 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della
Costituzione, della legittimita’ costituzionale dell’art. 305 del
codice di procedura civile, «nella parte in cui prevede, nel caso di
fallimento della parte costituita, che il termine perentorio per la
riassunzione del processo decorra, per le parti diverse da quella
fallita, dalla data dell’interruzione anziche’ dalla data in cui tali
parti ne abbiano avuto effettiva conoscenza»;
che la questione e’ manifestamente infondata;
che, infatti, identica questione e’ stata gia’ dichiarata non
fondata «nei sensi di cui in motivazione» da questa Corte con
sentenza n. 17 del 2010;
che nella pronunzia citata e’ stato ribadito che la
disciplina in tema d’interruzione del processo e’ espressiva
dell’esigenza di tutelare non soltanto la parte colpita dall’evento
interruttivo, ma anche di preservare il diritto di difesa della parte
cui il fatto interruttivo non si riferisce, con la conseguenza che
quest’ultima deve essere messa in grado di conoscere se si sia o meno
verificato l’evento interruttivo e da quale momento decorra il
termine per la riassunzione;
che questa Corte, dunque, richiamando i principi gia’
affermati nelle sentenze n. 36 del 1976, n. 159 del 1971, n. 34 del
1970 e n. 139 del 1967, ha nuovamente affermato che nel vigente
sistema di diritto processuale civile e’ ormai acquisito il principio
secondo cui, nei casi d’interruzione automatica del processo (artt.
299, 300, terzo comma, 301, primo comma, cod. proc. civ.), il termine
per la riassunzione decorre non gia’ dal giorno in cui l’evento
interruttivo si e’ verificato, bensi’ dal giorno in cui esso e’
venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione e che
«l’art. 43 del r.d. n. 267 del 1942, con il terzo comma (aggiunto
dall’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006), ha introdotto un nuovo caso
d’interruzione automatica del processo, conseguente all’apertura del
fallimento, mentre in precedenza anche nell’ipotesi di fallimento
della parte l’interruzione del processo derivava dalla dichiarazione
in giudizio o dalla notificazione dell’evento interruttivo ad opera
del procuratore costituito della parte medesima (ex multis: Cass.,
Sez. un., n. 7443 del 2008, e giurisprudenza in essa richiamata)»;
che, in particolare, nella sentenza n. 17 del 2010 questa
Corte ha affermato che il terzo comma dell’art. 43 della legge
fallimentare «nulla ha previsto per la riassunzione, sicche’ al
riguardo continua a trovare applicazione l’art. 305 cod. proc. civ.,
nel testo risultante a seguito delle ricordate pronunzie di questa
Corte e del principio di diritto che sulla base di esse si e’
consolidato. Infatti, non sono ravvisabili ragioni idonee a
giustificare, per la fattispecie qui in esame, una disciplina
giuridica diversa rispetto alle altre ipotesi d’interruzione
automatica, attesa l’identita’ di ratio e di posizione processuale
delle parti interessate, che le accomuna»;
che il rimettente non adduce elementi nuovi per superare il
convincimento qui richiamato, sicche’ va ribadita l’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’articolo 305 cod. proc. civ. alla
luce delle sentenze citate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 305 del codice di procedura
civile, sollevata, in riferimento agli articoli 24, secondo comma, e
111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Vicenza con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 7 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 21 luglio 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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