Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-12-2010) 16-03-2011, n. 10702 Documenti equiparati agli atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 2 luglio 2010 il Tribunale di Roma applicava a P.V., su richiesta delle parti, la pena di mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa in ordine al reato di illecita detenzione di cinque carte di credito donate ( D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9) e al reato di possesso di un documento di identificazione falso (art. 497 bis c.p.), reati accertati in (OMISSIS), esclusa la recidiva contestata, ritenuta la continuazione, con le circostanze attenuanti generiche e con la riduzione per il rito.

Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione. Con il ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla mancata indicazione delle ragioni per le quali è stata ritenuta "corretta la qualificazione giuridica del reato di ricettazione, così come contestato nel capo d’imputazione" ed è stata valutata congrua la pena applicata.

Il ricorso è del tutto generico.

Quanto alla qualificazione giuridica del fatto , la Corte rileva che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato al contenuto nell’accordo tra le parti e che la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (Cass. sez. 6, 20 novembre 2008 n.45688, Bastea; sez. 3, 23 ottobre 2007 n.44278, Benha; sez. 6, 10 aprile 2003 n.32004, Valetta).

In relazione alla congruità della pena, la Corte osserva che nel ricorso per cassazione avverso sentenza che applichi la pena nella misura patteggiata tra le parti non è ammissibile proporre motivi concernenti la misura della pena, a meno che si versi in ipotesi di pena illegale. La richiesta di applicazione della pena e l’adesione alla pena proposta dall’altra parte integrano, infatti, un negozio di natura processuale che, una volta perfezionato con la ratifica del giudice che ne ha accertato la correttezza, non è revocabile unilateralmente, sicchè la parte che vi ha dato origine, o vi ha aderito, così rinunciando a far valere le proprie difese ed eccezioni, non è legittimata, in sede di ricorso per cassazione, a sostenere tesi concernenti la congruità della pena, in contrasto con l’impostazione dell’accordo al quale le parti processuali sono addivenute (Cass. Sez. 3, 27marzo 2001 n. 18735, Ciliberti).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.500,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di Euro 1.500,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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