Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-12-2010) 16-03-2011, n. 10682 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 4 marzo 2010 la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza emessa il 24 febbraio 2009 dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere con la quale D.V. era stato dichiarato colpevole del reato continuato di estorsione e usura ( art. 81 c.p., art. 644 c.p., comma 4 e comma 5, n. 4, art. 629 c.p.) ai danni di C.A. ed era stato condannato, esclusa l’aggravante prevista dall’art. 644 c.p., comma 5, n. 3, con la contestata recidiva, alla pena di anni cinque, mesi tre di reclusione ed Euro 13.000,00 di multa nonchè al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 10.000,00, e alla rifusione delle spese in favore della parte civile.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per Cassazione.

Con il ricorso si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 644 e 629 c.p. in relazione agli artt. 192 e 194 c.p.p. quanto alla ritenuta attendibilità della persona offesa; secondo il ricorrente il C. nulla aveva detto sulle motivazioni che lo avevano spinto, benchè già vittima di un usuraio tanto da essersi rivolto al fondo di tutela delle vittime dell’usura, a chiedere ad un estraneo un prestito che comportava il pagamento di rilevanti interessi e nulla era inoltre emerso dalla perquisizione nell’abitazione dell’imputato e dagli accertamenti sulla sua situazione bancaria e patrimoniale, mentre dall’esame dei testi erano risultati rapporti amichevoli tra le famiglie C. e D.; sarebbe in particolare mancato un rigoroso controllo sulla credibilità oggettiva e soggettiva delle dichiarazioni del C., essendosi i giudici di appello limitati a richiamare per relationem la motivazione della sentenza di primo grado; il ricorrente si duole, infine, dell’omessa motivazione sul diniego della prevalenza o dell’applicazione nella massima estensione delle circostanze attenuanti generiche e sulla richiesta riduzione dell’aumento per la continuazione.

Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

Nella motivazione della sentenza impugnata il giudice di appello non si è limitato a richiamare per relationem, peraltro in maniera del tutto legittima, la motivazione della sentenza di primo grado, ma ha fornito puntuale e argomentata risposta a tutte le doglianze difensive circa la ritenuta attendibilità della persona offesa formulate con l’atto di appello e riproposte pedissequamente con il ricorso per Cassazione. In particolare la Corte territoriale si è adeguata alla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità dell’imputato, purchè siano sottoposta ad un attento controllo circa la loro attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni, anche se nel caso in cui la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Cass. sez. 1, 24 giugno 2010 n.29372, Stefanini; sez. 1, 4 novembre 2004 n.46954, Palmisani; sez. 6, 3 giugno 2004 n.33162, Patella; sez. 3, 27 aprile 2006 n.34110, Valdo Iosi; sez. 3, 27 marzo 2003 n.22848, Assenza). Detto controllo avviene nell’ambito di una valutazione di fatto che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (Cass. sez. 3, 22 gennaio 2008 n.8382, Finazzo).

In particolare, con riferimento all’osservazione relativa alla mancata esplicazione da parte del C. delle ragioni che lo avrebbero spinto a rivolgersi ad un estraneo per ottenere un prestito che implicava il pagamento di interessi elevati, pur potendo rivolgersi alla madre o ad amici, il giudice di appello ha posto in adeguata evidenza che il C. aveva sin dall’inizio affermato di essersi trovato nella necessità di ottenere liquidità per far fronte ad un debito pregresso e che, comunque, ai fini della sussistenza del reato di usura nessuna rilevanza aveva la motivazione della richiesta e la destinazione della somma, ma il solo dato dell’interesse usuraio pattuito e/o corrisposto. Nè peraltro il C. aveva nascosto di essere stato vittima dell’usura anche in precedenza ed aveva indicato il nome di tale B.A., cui si era rivolto risultando protestato e impossibilitato quindi rivolgere alle banche. Non risultava comunque, come la Corte di appello ha posto opportunamente in rilievo, che i familiari, ai quali il C. aveva pensato in un secondo momento di chiedere la vendita un terreno di loro proprietà per consentirgli di far fronte ai pagamenti, disponessero di denaro liquido da prestargli o che la madre, la quale in una sola occasione gli aveva dato un assegno di Euro 1.200,00 da lui consegnato al D., disponesse di rilevanti somme.

Quanto all’esito negativo della perquisizione domiciliare, il giudice di appello ha ritenuto, con argomentazione del tutto logica, che trovasse giustificazione nel riferimento del D., secondo la versione della persona offesa, ad altre persone cui doveva rendere conto e quindi al suo ruolo di semplice emissario, del tutto plausibile dato il contesto ambientale in cui il rapporto con il C. si era sviluppato. Non manca inoltre nella sentenza impugnata la menzione dell’esito degli accertamenti patrimoniali e bancari svolti a carico del D. il quale, benchè non risultasse svolgere alcuna attività e avesse dichiarato di fare il mediatore di prodotti ortofrutticoli, era intestatario di due conti correnti con movimentazioni in entrata ed uscita anche per importi, privi di alcuna plausibile giustificazione, di Euro 5.000,00 o Euro 6.000,00. Comunque la Corte territoriale ha osservato che il D., il quale aveva riconosciuto di aver prestato denaro al C. per fargli un piacere, non era stato convincente sull’asserita mancata pattuizioni di interessi in relazione ai prestiti benevolmente elargiti ad un estraneo.

In ordine ai rapporti amichevoli tra il C. e l’imputato, la Corte territoriale ha poi sottolineato l’atteggiamento del C. il quale tentava, come da lui riferito in maniera del tutto plausibile, di instaurare un rapporto forzatamente amichevole con il D. per ottenere dilazioni nei pagamenti.

Nell’ordinanza impugnata non manca, infine, l’indicazione di elementi di riscontro alla versione dei fatti resa dalla persona offesa, costituiti dalla matrice dell’assegno tratto sul conto corrente del figlio del C. (il titolo, recante la data del 24 agosto e l’annotazione "don V.", era stato rinvenuto presso l’abitazione dell’imputato), le dichiarazioni del teste L. A. del N.O. dei Carabinieri di Cerreto Sannita il quale aveva assistito alla dazione da parte del C. al D. di due assegni, le dichiarazioni del teste T.G. circa i prestiti ricevuti dal D. con il pagamento di interessi nella misura di Euro 500,00 mensili.

Quanto al trattamento sanzionatorio la Corte rileva la genericità delle doglianze difensive a fronte della specifica menzione nella sentenza impugnata dei precedenti penali per rapina, lesioni personali, violazione della normativa sulle armi del D. che consentivano di ritenere la pena determinata dal giudice di primo grado del tutto adeguata ai fatti e la motivazione della sentenza appellata esaustiva, sia in ordine al calcolo della pena (non comprensiva delle circostanze attenuanti generiche) che alla misura dell’aumento per la continuazione e per la recidiva. La concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche rientra, del resto, nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Cass. sez. 6, 28 ottobre 2010 n. 41365, Straface).

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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